See No Evil
di Jos de Putter
Tre scimmie ripensano/rivedono il loro passato: See No Evil è il nuovo lungometraggio di Jos de Putter, presentato al Festival dei Popoli nell’ambito della retrospettiva a lui dedicata. Un film malinconico e dolente sul rapporto tra uomo e animale, osservato dal punto di vista di quest’ultimo.
Non parlo, non vedo, non sento
Cheetah è la scimmia più famosa del mondo, quasi quanto Tarzan, con cui ha condiviso la gloria cinematografica. Adesso si gode la sua pensione in una villa di Palm Springs. Kanzi è considerata la scimmia più intelligente al mondo, dopo anni passati ad apprendere il nostro linguaggio, insegna ad altri primati a comprendere l’uomo. Knuckles ha il corpo martoriato dai test a cui è stata sottoposta negli anni, ha esplorato lo spazio e ha visto cose incredibili. [sinossi]
La più che ventennale carriera di Jos de Putter lo ha portato in lungo e largo per il mondo alla ricerca di personaggi e storie prese dal mondo reale. Non solo la Cecenia di The Making of a New Empire, di Dans Grozny dans, o il Giappone di Nagasaki Stories o il Brasile di Solo, The Law of the Favela, anche gli Stati Uniti sono stati spesso oggetto privilegiato d’osservazione del cineasta olandese – cui la 55esima edizione del Festival dei Popoli ha dedicato una fondamentale retrospettiva. Nella cosiddetta “terra delle opportunità” de Putter ha ambientato Brooklyn Stories (incentrato sul concetto di losers), How Many Roads (omaggio a Bob Dylan) e il suo lungometraggio più recente, See No Evil del 2014, realizzato a ben sei anni di distanza dal suo precedente film (Beyond the Game).
In realtà, See No Evil non si concentra in maniera particolare sull’ambientazione americana, eppure è innegabile che la storia che vi si racconta poteva avvenire solamente negli States. Protagoniste del film sono tre scimmie, ciascuna con una sua propria storia. La prima, Cheeta, è quella dai tratti più “hollywoodiani”. Nota in Italia come Cita e interprete al fianco del Tarzan interpretato da Johnny Weissmuller (da Tarzan e la compagna del 1934 in poi; anche se c’è chi dubita che Cheeta sia così anziana e crede che sia invece una millantatrice), Cheeta – che in realtà è uno scimpanzé – vive ora in una villa a Palm Springs in compagnia del suo attuale istruttore (che si occupa di lei da quando è morto il suo trainer originario, Tony Gentry), ha una stella sulla Walk of Fame e la vediamo mentre, accomodata sul divano, si riguarda in TV i vecchi film in cui ha recitato. Vera e propria star sul viale del tramonto, Cheeta viene descritta da de Putter come una figura solitaria, isolata e malinconica – che si diverte anche a fare quadri astratti, “così come fanno parecchi divi in pensione” (come dice a una giornalista il suo ‘custode’/’accompagnatore’) – e la cui condizione richiama un po’ quella della Gloria Swanson di Sunset Boulevard, un po’ quella del Charles Foster Kane di Citizen Kane. L’episodio che la riguarda si chiude con la celebrazione del suo compleanno, a cui vengono invitati vari ospiti che la omaggiano e la rispettano, ma in una atmosfera ipocrita e da teatro dell’assurdo; e, in tal senso, de Putter – tramite alcune azzeccate inquadrature – dimostra la distanza abissale che esiste tra Cheeta e quegli umani che sono andati a trovarla. Un’ipocrisia che è sia quella che esiste tra il vecchio divo scontroso e le persone più giovani che gli ronzano attorno, sia ovviamente quella che esiste in un certo tipo di rapporti pseudo-codificati tra gli animali e l’uomo.
La seconda scimmia, Kanzi, sa scrivere al computer, sa giocare a Pac-Man ed è considerata l’animale più intelligente mai esistito. La vediamo persino interagire con una scimmia più giovane, cui prova ad insegnare l’utilizzo del pc, e la vediamo i compagnia della donna che l’ha istruita nel corso degli anni, impiegata in un progetto il cui obiettivo è quello di sperimentare fin dove possa arrivare l’intelligenza animale. La terza scimmia, Knuckles, è quella che invece è stata più apertamente maltrattata dall’uomo: ha subito una serie di sperimentazioni, è stata usata per dei viaggi nello spazio e per delle particolari terapie d’urto. Oggi vive in una capanna in un bosco e ogni tanto un ragazzo le fa dei massaggi alle articolazioni per aiutarla ad essere ancora autonoma nei movimenti. La vediamo arrancare nel bosco, incontrare altre scimmie in gabbia (mentre lei è libera) e discutere animatamente con loro.
Ciascuno dei tre episodi è costruito a partire dal punto di vista delle scimmie, nel senso che de Putter guarda attraverso i loro occhi, la loro prospettiva, e di ciascuna delle tre rievoca il passato. La giovinezza di Cheeta, di Kanzi e di Knuckles è stata infatti documentata a suo tempo da varie registrazioni e così assistiamo a degli intermezzi tra il presente e il passato di ciascuna di loro, come se si trattasse del più classico dei flashback in cui i personaggi ripensano a quel che sono stati. Cheeta era una star giovane e ricca e ora è vecchia e raggrinzita, sola e incompresa. Kanzi era una scimmia giovane e geniale, che forse sperava di poter fare più progressi e che invece oggi, quando viene portata fuori a camminare in un parco, viene comunque legata (perché, nonostante tutto, la sua padrona teme che possa scappare). Knuckles ha visto e vissuto l’orrore per colpa dell’uomo e ripensa con dolore a quanto ha dovuto sopportare.
Lavorando su questo trittico di personaggi, ciascuno con una sfumatura leggermente diversa nel rapporto che si è costruito con l’uomo, de Putter riesce a costruire in See No Evil forse l’unico film della storia del cinema in cui l’animale non ha bisogno di essere antropomorfizzato perché già lo è, nei fatti e nella vicenda reale che ha vissuto. Ma non solo: See No Evil va così a fondo nella riflessione sul rapporto tra l’uomo e l’animale che il tutto prende una piega imprevista e quasi indicibile. Non vi è solo e non tanto la condanna nei confronti della crudeltà che l’uomo dispiega verso gli altri esseri che abitano la Terra, vi è soprattutto una riflessione sull’insensatezza generale, sulla consapevolezza – che le tre scimmie sembrano aver acquisito – a proposito dell’inutilità di ogni sforzo, perché loro continueranno ad essere delle scimmie e l’uomo continuerà ad essere uomo. Non vi sarà mai la possibilità di una reale comunicazione tra le due specie. E non è forse un caso che de Putter abbia deciso di ‘caratterizzare’ i suoi tre protagonisti, ma non gli umani con cui vivono. Questi ultimi parlano, si rivolgono al pubblico, alle loro scimmie, ma è come se fossero privi di sentimento, distanti, estranei e irraggiungibili caratterialmente. Inconoscibili, per certi aspetti. Quel che provano le scimmie invece lo intuiamo con una forza innegabile, primigenia, incontrovertibile. Il dolore, la sofferenza, l’amarezza, la delusione, il nichilismo: sono questi i tratti che contraddistinguono i tre protagonisti di See No Evil. E de Putter documenta tutto questo con una grande semplicità nella messa in scena, con una regia sibillina e ‘invisibile’, quasi-filosofica, e in cui vi sono degli improvvisi squarci. Come quello di Kanzi, della geniale Kanzi che, inquadrata all’interno del guscio trasparente in cui si trova, poggia le zampe sul vetro, come a voler toccare le mani dei bambini – forse in gita scolastica – che la stanno osservando. A cosa serve saper giocare a Pac-Man se poi non si può interagire con l’uomo e se si è comunque costretti a vivere in cattività, come in uno zoo qualunque? A nulla. Kanzi l’ha capito, ma noi?
Info
Il trailer di See No Evil su Youtube
- Genere: documentario
- Titolo originale: See No Evil
- Paese/Anno: Olanda | 2014
- Regia: Jos de Putter
- Sceneggiatura: Jos de Putter
- Fotografia: Stef Tijdink
- Montaggio: Stefan Kamp
- Colonna sonora: Vincent van Warmerdam
- Produzione: Dieptescherpte BV
- Durata: 72'