Afterlife
di Virág Zomborácz
Opera prima dell’ungherese Virág Zomborácz, Afterlife affronta il tema della morte, del lutto e della sua elaborazione, con surreale leggerezza. Vincitore del Bergamo Film Meeting 2015.
Ci sono più cose in cielo e in terra
Mózes, un ragazzo diffidente e insicuro, vive un rapporto conflittuale con il padre. Un giorno questi muore all’improvviso e il suo fantasma inizia ad apparire al figlio. E se fosse l’occasione per regolare i conti con il defunto? [sinossi]
Ooh, baby, do you know what that’s worth?
Ooh heaven is a place on earth
They say in heaven love comes first
We’ll make heaven a place on earth
Ooh heaven is a place on earth
Belinda Carlisle – Heaven is a Place on Earth
Ciò che distingue un organismo vivente da uno inanimato sono le funzioni vitali. Lo spiega l’insegnante di scienze ai bambini della sua classe, mostrando loro piccoli animali, topi, rane, sezionati e con gli organi interni in bella mostra, tenuti sotto formalina. Il mistero della morte, il passaggio che intercorre tra un essere animato e un corpo inanimato, la cessazione del flusso vitale. Afterlife ruota attorno a questo discorso, che rimane il più grande interrogativo della nostra esistenza, con un tono che si mantiene sempre di leggerezza.
La famiglia di Mózes, al centro della pellicola vincitrice del BFM, è il ritratto della mediocrità, e neanche aurea. La figlia adottiva che suona il violino da schifo, con tutti i famigliari ad ascoltarla per dovere, la colomba che al funerale non vuole volare. Tutto sembra permeato dall’incapacità, dal non essere in grado di fare le cose più elementari. I rapporti tra padre e figlio sono forzati e governati da tentativi di superare la palese incomunicabilità tra i due. Il primo ha la mentalità dell’uomo duro, che si forma arpionando delfini, ancora quindi con un’attività di morte. Vediamo padre e figlio andare a pesca,dopo che il secondo è stato dimesso dall’ospedale, in un modo forzato di stare insieme nel tempo libero, su dei capanni sull’acqua. Un paesaggio naturale contaminato da grandi ciminiere sullo sfondo, che dominano quel mondo e lo funestano. I panini premurosamente preparati per Mózes non gli piacciono e approfitta della momentanea assenza del padre per gettare in acqua gli ingredienti sgraditi. I due cattureranno una grossa carpa che però Mózes riuscirà a tenere in vita in una boccia.
La narrazione si dipana. Il padre non ascolta i suoi clienti, ai quali si presenta in ritardo, che confessano i loro problemi con frasi imparate a memoria e uscirà dall’ufficio lasciandoli parlare. La sua improvvisa morte è giocata con un tripudio di montaggi analogici, ed elissi: cade per un malore in sintonia con una statua del Cristo, che si frantuma per terra, lasciata andare dall’uomo che la sta trainando con una fune. E già al funerale, il suo fantasma si aggira tra la folla, visibile solo dal figlio, per il quale diventerà una presenza assillante e inopportuna, mentre in vita si era distrinto per la sua assenza. Un fantasma che peraltro rimane silente e che quando riacquista la parola si scopre affetto da amnesia. Un fantasma comunque con tutti i crismi, intangibile, etereo: è in grado di attraversare le porte chiuse e quando il figlio gli tira un sasso, questo gli passa attraverso. Come volevasi dimostrare. Patetica, e non poteva essere altrimenti, anche la figura dell’acchiappafantasmi, consultato da Mózes che esercita l’attività di bonifica di case infestate nei ritagli della sua professione di meccanico, basandosi su quanto vede nel programma Investigation Discovery. Arriverà a far fare a Mózes un esorcismo, nudo, su una grande tavola ouija.
La morte, come si diceva, è il tema ricorrente di Afterlife. Il padre l’ha già vista in faccia quando è stato soldato in un contingente a Tuzla, nella Bosnia Erzegovina, ma è un’esperienza così tremenda che non vuole raccontare. Gli animali sotto formalina, il corvo morto. Il cane investito, che viene tenuto nel lavabo agonizzante, poi abbattuto per risparmiargli sofferenze, con il dubbio che invece avrebbe potuto sopravvivere, e quindi seppellito nella seconda scena di sepoltura, dopo il funerale del padre, del film. La recita scolastica dei vangeli, con la scena, feroce, dell’uccisione dei bambini ordinata da Erode. Il teschio d’alce, trofeo appeso su una parete. E poi la violenza latente. Nel poligono di tiro dove si esercita la corpulenta signora in pelliccia. E si discute su chi soccomberebbe in un ipotetico scontro tra un Varano di Komodo e un Drago della Tasmania. La statua di Cristo, che aveva accompagnato il decesso del padre, viene ricomposta alla bell’e meglio, riattacandone i pezzi. Solo la morte è irreversibile. E a rimanere viva è, improbabilmente, la carpa, che alla fine Mózes rilascerà nel suo ambiente originale, ricomponendo quell’equilibrio che era stato rotto. Ancora quel paesaggio di baracche per pescatori , sormontato dalle ciminiere. Ma Mózes andrà alla deriva con la barca, essendogli scivolato via il remo. E gli si paleserà davanti un’altra barca con una ragazza bellissima. Segno di un punto di fuga, della possibilità di una nuova vita. In fondo il paradiso è sulla terra come recita la strofa della famosa canzone di Belinda Carlisle che ricorre nel film.
Afterlife è un filmetto accattivante, con una fresca regia che riflette briosamente sui massimi sistemi. Un’operina buffa proprio come la recita scolastica che si vede nel film.
INFO
La scheda di Afterlife sul sito del Bergamo Film Meeting.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Utóélet
- Paese/Anno: Ungheria | 2014
- Regia: Virág Zomborácz
- Sceneggiatura: Virág Zomborácz
- Fotografia: Gergely Pohárnok
- Montaggio: Károly Szalai
- Interpreti: Andrea Petrik, Eszter Csákányi, Gergely Kocsis, József Gyabronka, László Gálffi, Márton Kristóf, Szabolcs Thuroczy, Zsolt Anger, Zsolt Kovács
- Colonna sonora: Adam Balazs
- Produzione: KMH Film
- Durata: 93'