Going Clear: Scientology e la prigione della fede

Going Clear: Scientology e la prigione della fede

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Alex Gibney con Going Clear: Scientology e la prigione della fede ci immerge nell’universo di Scientology costruendo un terrificante documentario-horror sulla religione e le sue derive.

Il male dentro

Il documentario sulle origini di Scientology: dal concepimento del culto nella mente del suo fondatore L. Ron Hubbard fino al crescere della sua popolarità ad Hollywood e nel resto del mondo. Attraverso le testimonianze di otto ex fedeli – tra i quali anche alcune celebrità come lo scrittore e regista Paul Haggis – scopriamo informazioni scioccanti sulle violenze e i tradimenti perpetrati dai funzionari della Chiesa… [sinossi]

Un documentario sulla fede. È così che William Friedkin ama definire L’esorcista, la sua pellicola più celebre, scatenatrice di brividi e incubi notturni per più di una generazione e in ogni luogo del globo terracqueo. Non c’è forse allora molto da stupirsi se con Going Clear: Scientology e la prigione della fede, il documentarista premio Oscar per Taxi to the Dark SideAlex Gibney, abbia realizzato un vero e proprio horror in forma di documentario, per immergerci nella storia del culto più famigerato del pianeta, quello di Scientology.
Come in ogni horror che si rispetti, il male nel film di Gibney è infido e pervasivo, arriva ad identificarsi direttamente con le umane debolezze da cui tutti siamo affetti e, un po’ come il Bob di Twin Peaks, è pronto ad esplodere da dietro il divano del soggiorno o in altri luoghi parimenti accoglienti: un imponente e lustro edificio predisposto al culto e alla sua organizzazione, una sfarzosa convention allietata da pirotecnici effetti speciali, un panfilo veleggiante verso i mari del sud.

Tratto dall’omonimo saggio del premio Pulitzer Lawrence Wright (qui anche in vesti di produttore) e già presentato al Sundance Film Festival, Going Clear: Scientology e la prigione della fede si dipana come un documentario d’inchiesta nel quale si affastellano le testimonianze di otto ex fedeli del culto, tra cui lo sceneggiatore e regista Paul Haggis (Crash: contatto fisico, Tre giorni per la verità, Third Person) e materiali di repertorio (splendidi i filmati risalenti alle origini del culto) tenuti insieme da brevi ed essenziali inserti grafici, che raffigurano le lancette di quegli strumenti di misurazione del dolore che abbiamo imparato a conoscere già in The Master di Paul Thomas Anderson, dove il fondatore di Scientology era incarnato dal compianto Philip Seymour Hoffman.
L’organizzazione dei materiali è complessivamente impeccabile e il ritmo montante, Going Clear: Scientology e la prigione della fede ha una – davvero invidiabile per un documentario d’inchiesta – sceneggiatura di ferro, dove snodi e obiettivi emergono gradualmente, mentre lo spettatore è completamente immerso in un universo al tempo stesso reale e mentale.
Gibney si preoccupa inoltre, sin dal principio, di fornire allo spettatore la risposta alla sua principale domanda, ovvero come sia possibile cadere nella rete di un culto come Scientology. Niente di più semplice. Come non approvare una corrente di pensiero che si propone l’encomiabile obiettivo di mondare il mondo da guerre, crimine, follia e che come strumento operativo ha la gioia? Senza tralasciare che gli audit, ovvero quelle sedute in cui il fedele rievoca i propri traumi di fronte allo strumento succitato, consentono di purificarsi da ogni paura e di divenire, man mano “clear”, ovvero liberi dal dolore e dalle sue scaturigini. Impossibile resistere poi a un culto che promette di rendere possibile lo sviluppo di superpoteri e l’attraversamento del “ponte” con un salto quantico che conduce dritto alla prossima fermata: l’infinito.
Tutto ciò, come ci racconta Gibney attraverso gli strabilianti filmati di repertorio raccolti e accompagnati da accattivanti (si fa per dire) filmati promozionali volti a catturare nuovi adepti, è nato dalla mente diabolica di un aspirante scrittore di fantascienza, il mefistofelico fondatore di Scientology L. Ron Hubbard. Il suo obiettivo è presto detto: creare un culto in grado di generare introiti economici e che, in quanto religione riconosciuta, sia esente dal pagamento delle tasse. Non c’è dunque da sorprendersi se Hubbard, come Al Capone, abbia incontrato sulla sua strada proprio il nemico numero uno del self made man senza scrupoli: il fisco.

L’aspetto più interessante di Going Clear: Scientology e la prigione della fede è poi la rivelazione di quanto il culto fondato da Hubbard sia intimamente connesso con il cinema. Non si tratta solo del fatto che questa religione abbia una apposita branca dedicata al reclutamento di star hollywoodiane o di quello, ancora più sconvolgente, di come si sia occupata in maniera approfondita di salvaguardare Tom Cruise da una moglie (Nicole Kidman) poco propensa ad accettare le ingerenze di questa fede invasiva. Scientology ha infatti proprio nella sua liturgia un profondo legame con il dispositivo filmico (si parla di schermi rivelatori che paiono discendere dalla caverna platonica) e nelle sedute purificatrici dell'”audit” un utile metodo di rafforzamento dell’ego, che pare fatto apposta per il mestiere dell’attore. È come se la reviviscenza di Stanislavskij si fosse trasformata in uno strumento in grado di garantire fama e potere.

Nella sua alacre ricerca delle origini del “male”, l’horror- documentario di Alex Gibney risale dunque in sostanza dritto alle radici profonde della cultura americana, a quell’individualismo rampante associato all’etica protestante, le cui malvagie declinazioni non cessano di produrre mostri. Ecco allora che, dopo averci resi edotti delle avventure di Hubbard, agguerrito capitalista della fede, scaltro imbonitore dai denti marci, visionario seduttore di anime nonoché affabulatore fantascientifico, Gibney fa partire una sorta di count down alla rovescia, alternando le storie di prevaricazione, violenza psicologica e fisica che hanno condotto i suoi intervistati ad abbandonare il culto, dal primo all’ultimo in ordine di tempo.
Si va dalle reclutatrice di star hollywoodiane (suo il merito dell’adesione al culto di John Travolta) Spankie, fuggita nel 1988 da un centro di rieducazione (ebbene sì, la dittatoriale Scientology prevede anche questo) con la figlioletta di soli dieci mesi malnutrita e ricoperta di mosche, al già citato Paul Haggis (uscito dalla chiesa nel 2009), alle vicende di una donna che pur avendo raggiunto il livello spirituale più alto previsto, si è allontanata (nel 2013) dopo aver ricevuto l’ordine di non frequentare più suo marito e i suoi figli perché ritenuti “soppressivi”.

Il plot di queste storie è in fondo archetipico: si tratta di racconti di formazione a lieto fine, che hanno nella presa di coscienza di ciascun protagonista il fondamentale viatico verso l’autodeterminazione. In tal senso Going Clear: Scientology e la prigione della fede assume un importante valore pedagogico, che rende la sua visione auspicabile per grandi e, soprattutto piccini in età scolare. Ma soprattutto, il film di Gibney concorre a rammentare quanto il male si nasconda dentro di noi, nell’Ego di ciascuno e in particolare in quello di un imprenditore senza scrupoli pronto a tutto pur di non pagare le tasse. Una storia che può avvenire e ripetersi più o meno ovunque.

INFO
La scheda di Going Clear: Scientology e la prigione della fede sul sito della Lucky Red.
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