Ananke
di Claudio Romano
L’esordio alla regia di un lungometraggio di Claudio Romano. Ananke è un film che crepita, brucia, spazzando via anche i filamenti più labili che potrebbero legarlo al cinema industriale. Vitale e respingente, presentato alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.
L’ultima capra della Terra
Ananke nella mitologia greca è la dea che rappresenta la personificazione o potenza del destino. In un presente immaginario l’umanità si sta estinguendo a causa di una terribile pandemia. Una nuova forma di depressione virale induce al suicidio chi la contrae. L’unico modo per sfuggire alla morte è evitare gli esseri umani, fuggire, rimanere soli. Dopo un lungo peregrinare, un uomo e una donna trovano riparo in una casa isolata fra le montagne, lontani dalla società e dalle metropoli. Sperano di salvarsi adattandosi ad una vita primitiva ed essenziale, priva di nevrosi e contaminazioni tecnologiche. I protagonisti parlano in francese, una lingua dal bel suono che contrasta con lo sfacelo che si compie attorno a loro. A far loro compagnia una capra di nome Ananke. Soli, ignari e in balìa degli eventi, faranno i conti con l’ineluttabile. La natura veglia su di loro, osservandoli dall’alto. Tutto scorre, tutto muta, tutto si trasforma. Per sfuggire alla morte è sufficiente sfuggire all’uomo? [sinossi]
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Oltre il confine, con molto dolore
non trovai fiori diversi
ma sulla strada incontrammo una capra
che era curiosa di noi.
Mio padre le andò più vicino
e lei si lasciò catturare
così la legammo a una corda
e venne con noi.
Francesco De Gregori, La casa di Hilde
Nel 2003 iniziava così Guerra agli umani, primo romanzo “eremitico” di Wu Ming 2: “L’auto arrampica nervosa le prime curve. Fari abbaglianti scavano il buio. Asfalto sale tra i castagni, sei chilometri oltre il paese. La strada di servizio per il ripetitore di Colle Torto. All’ottavo tornante, una carrareccia si stacca sulla destra. Il motore scala. Le ruote sterzano. Un ventaglio di luce corre tra i cespugli. Caprioli intenti a brucare sciamano verso il bosco. La sterrata attraversa il pascolo e raggiunge i ruderi di un casone. Rovine recenti, finestre ancora intatte. Auto in circolo sull’aia in disuso. Paia di fari convergono al centro.”
Non si muovono in automobile i due protagonisti di Ananke, esordio al lungometraggio di finzione di Claudio Romano, ma arrancano a piedi. I luoghi però sono quelli boschivi descritti anche da Wu Ming 2; le rovine, recenti anche loro. L’umanità sta scomparendo, come afferma la voce della donna nella sua lettera (impossibile) alla madre, a causa di un virus che coglie impreparato il sistema nervoso e trascina all’orlo del suicidio chi ne risulta infetto. È la depressione l’arma per combattere l’umano. La depressione di un mondo che non ha più stimoli.
Ananke risulta essere una anomalia fin dalla sua presentazione alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, nell’edizione del cinquantennale. Inserito all’interno della retrospettiva dedicata agli esordi italiani dell’ultimo lustro, Ananke approda sulle rive dell’Adriatico come anteprima assoluta, contrapponendosi (nella visione standardizzata, non nei fatti) all’idea stessa di “retrospettiva”. Al punto da far coniare il neologismo “reprospettiva”.
Non ha uno sguardo contemporaneo, l’esordio che Romano ha scritto insieme a Elisabetta L’Innocente. La sua sincope dilatata non ha un ritmo contemporaneo. Perfino la sua testarda scelta tecnica, con l’utilizzo in ripresa del super-16 in luogo del video, rimarca la volontà di non lasciarsi assuefare dalle dinamiche del contemporaneo. Rifugge nel suo eremo anche Ananke, cercando riparo dalle lusinghe spesso solo abbaglianti dell’odierno, e si affida a un’estetica che oggi appare aliena, ancor più se messa in relazione con i lavori degli esordi a lui coevi (con qualche debita eccezione: rimanendo nel nucleo delle opere presentate a Pesaro non si può non citare Arianna di Alessandro Scippa). Ma si può sopravvivere fuori dall’umano?
È attorno a tale quesito che ruota il film di Romano e anche, suo malgrado, la discussione sul ruolo che potrebbe svolgere nel macchinoso sistema cinematografico italiano. Ananke si accuccia in una posizione laterale, ma come la capra che gli dona il titolo non riesce a rimanere reclusa, legata, asservita. Per quanto possa apparire come il singulto di un corpo morente – e la nettezza delle immagini, con la loro perentorietà, sembrano muoversi in questa direzione – il film della coppia Romano/L’Innocente è un barbarico grido contro la disgregazione dell’umanità.
Non c’è salvezza in una vita fuori da ogni consesso, ma solo sopravvivenza; reiterazione sfinita eppur cocciutamente convinta di gesti, ritualità svuotate di senso alle quali inconsciamente ci si aggrappa. È in questo, più ancora che nel martirio/resurrezione, che si può forse trovare una componente cristologica, messa in quadro e restituita allo spettatore con una vis puramente terracea, agnostica, virulenta.
L’incedere compassato di Ananke è distruttivo, mai compiaciuto e ancor meno lamentoso. Non c’è melanconia, in Ananke, ma furia. Una furia silente, e per questo insostenibile. Pur rifuggendo qualsivoglia abitudine del cinema post-apocalittico – e la stessa definizione appare forzata, visto che il film narra un’apocalisse in corso d’opera – il film di Romano è un corpo non-morto, atto di resistenza a tutto, forse persino a se stessi. È un atto di rigore, e come tale lo si può accettare o rigettare, forse in egual misura. Ma non coglierne il respiro, la vita che vi pulsa all’interno, sarebbe un’ingiustizia, un errore madornale. Fuori dal tempo, come il cinema di Franco Piavoli. Fuori dallo spazio asfittico, come spesso accade con le opere prodotte da Gianluca Arcopinto: forse anche per questo Ananke, pur con le inevitabili differenze, sembra vivere della stessa riottosa insoddisfazione che agitava le acque mai chete di Dall’altra parte del mondo di Arnaldo Catinari, Girotondo, giro attorno al mondo di Davide Manuli, Occidente di Corso Salani.
L’umano può trovare ancora una propria via d’espressione, se sa uscire da se stesso. E cercare altrove un contatto. Come una capra ritrovata nel bosco.
Info
Ananke sul sito della Mostra di Pesaro.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Ananke
- Paese/Anno: Italia | 2015
- Regia: Claudio Romano
- Sceneggiatura: Claudio Romano, Elisabetta L'Innocente
- Fotografia: Juri Fantigrossi
- Montaggio: Ilenia Zincone
- Interpreti: Marco Casolino, Solidea Ruggiero
- Produzione: Axelotil Film
- Durata: 69'

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