Arianna

Arianna di Alessandro Scippa, già ammirato nel 2012 al Torino Film Festival, è stato riproposto a Pesaro all’interno della retrospettiva dedicata agli esordi italiani degli ultimi cinque anni.

Piantata in asso

Sulla piccola isola dove vive e lavora, Arianna si prepara a festeggiare l’arrivo del nuovo anno e a dire addio a quello passato. Forse però quella notte non sarà solo la fine dell’anno, ma anche della sua relazione con Nanni, un apicoltore che viene dalla città. La separazione incombente rimane per la donna un mistero: non ne capisce le ragioni e a poco servono le ore passate a parlarne con l’evasivo Nanni, il quale sembra considerare il loro rapporto un ostacolo alla sua libertà. Di fronte al dolore di un’altra donna, Arianna riesce tuttavia a trovare dentro di sé la forza di andare avanti. [sinossi]
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Uno dei compiti che dovrebbero essere assegnati ai festival cinematografici è quello di preservare, ricordare, proteggere ciò che corre il rischio di essere rimosso dalla memoria. Un compito che non può essere assegnato in forma esclusiva agli archivi e alle cineteche, ma che deve far parte della quotidianità di ogni rassegna. In tal senso, per quanto da alcuni accusata di rivolgersi troppo al “presente”, la retrospettiva dedicata agli esordi italiani degli ultimi cinque anni (a partire dal 2010) organizzata durante i lavori della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, ha svolto un ruolo di primaria importanza. Accanto a opere senza dubbio di maggior fruizione e circuitazione all’interno del sistema (Scialla! di Francesco Bruni, Smetto quando voglio di Sydney Sibilia) è stato possibile recuperare film sfuggiti dalla vista troppo in fretta, alcuni con un passaggio fugace nelle sale – Tir di Alberto Fasulo, Piccola patria di Alessandro Rossetto, I primi della lista di Roan Johnson –, altri che non avevano potuto godere neanche su quello.
Fa parte di questa ultima categoria anche Arianna, esordio alla regia dello sceneggiatore e documentarista Alessandro Scippa (al lavoro tra gli altri con Daniele Gaglianone per Ruggine); gli addetti ai lavori ebbero l’opportunità di scontrarsi con quest’ode poetica alla donna e alla sua inevitabile condizione di sofferenza e abbandono durante le giornate del Torino Film Festival del 2012. A dargli accoglienza Massimo Causo e Roberto Manassero nella sezione Onde. Le immagini di Arianna illuminarono lo schermo del cinema Lux con un bianco e nero contrastato, stordente, lirico abbandono del “realistico” per rimanere avvinghiati al cosmo ben più affascinante e al contempo pericoloso del “reale”. Poi, il nulla. Come la figlia di Minosse e della ninfa oceanina Pasifae, anche Arianna è stato in questi anni abbandonato, forse destinato a scomparire dalle mappature cinefile se non fosse intervenuto Pesaro a restituire il film alla memoria collettiva.

Arianna vive a Procida, nelle isole Flegree, ma Procida, come ogni isola, è a suo modo un’Arianna: l’uomo la abbandona per poi sbarcarvi nuovamente, in un ciclo infinito e reiterato al di là di ogni volontà. Non a caso Scippa apre il film con le parole vergate da Ovidio nelle Eroidi: “quella Arianna da te abbandonata alle belve, vive ancora. Vorresti forse ricevere queste notizie con pacata indifferenza, infame Teseo?”. Perché Arianna vive, ed è questo il punto focale del viaggio ipnotico e disadorno edificato da Scippa.
Arianna è un film costruito per immagini, atmosferico, che trae ispirazione dalla mitologia per raccontare ciò che è effettivamente impossibile da trattenere nell’obiettivo: il dolore, la perdita, l’abbandono, la sensazione di essere sradicati. C’è un mare in cui si sperde lo sguardo di Arianna, un mare che non necessariamente prevede un ritorno. Scippa filma onde, tempeste in cielo, luci e ombre di una natura con la quale l’umano può solo confrontarsi; e qui, per quelle vie che possono essere collegate solo con un immaginario filo di Arianna, si trova a dialogare con Ananke di Claudio Romano, a sua volta presentato sullo schermo del Teatro Sperimentale di Pesaro. Due film estremamente diversi, ma che si ostinano a resistere alle comodità del già filmato, cercando di spingere la ricerca più in là, evitando il colore – che pure fa la sua comparsa nel finale di Arianna – e diffidando, per una volta, della narrazione classica.

Arianna è un film che scava nel segreto della sua protagonista, utilizzando la macchina da presa per rimanere sui volti, sui dettagli, magari anche con uno sguardo instabile, ma di una sincerità dolente. Non c’è scelta estetica che rifugga dal confronto con l’umano, anche nella messa in dubbio dei confini e della rappresentazione di ciò che può essere ripreso, filmato, intrappolato. Scippa si aggira per le stanze vuote di una magione, conferendo al suo film una statura mitica, staccata dallo spazio e dal tempo, viva oltre ogni immaginazione.
Non esiste confine, non esiste sconfitta. Arianna sa già che sarà abbandonata dal suo uomo (Nanni Meyer, apicoltore che fu protagonista anche di un documentario diretto nel 2009 da Scippa, Nanni e le api), e gli chiede “non avercela con me, non avercela per niente con me. Non sai quanto ti capisco”. Poi, fiera e disperata, l’estrema ammissione: “Io sono forte, fortissima. Ma non riesco ad alzarmi, non riesco a muovermi”.
Neanche il cinema italiano sembra sapersi più muovere, preferendo rimanere chino su se stesso, ritorto, sempre uguale e immobile. Opere come Arianna permettono di trovare una via di fuga, se le si sa cercare. E ritrovare, una volta perse.

Info
Arianna, il trailer.
Alessandro Scippa, regista di Arianna, intervistato a Pesaro 2015.
  • arianna-alessandro-scippa-2012-01.jpg

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