Vito e gli altri

Vito e gli altri

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Antonio Capuano esordiva nel 1991 con Vito e gli altri: disturbante, violento, episodico e quasi sperimentale. Un film che vinceva quell’edizione della Settimana della Critica a Venezia e dava il via alla stagione della New Wave napoletana.

Vito e i suoi fratelli

Vito e gli altri sono un gruppo di ragazzini napoletani, sui dodici anni, che rubano, spacciano, si drogano, stuprano, si prostituiscono, uccidono… Perché la camorra, se non la fai tu, la fanno gli altri. [sinossi]

Una panoramica a 360 gradi sul Golfo di Nisida e sulle ciminiere fumanti di Bagnoli, che di lì a poco avrebbero chiuso per sempre. Una panoramica che segue i volti di un gruppo di scugnizzi, tutti sistemati in cerchio, ovviamente in posa, a guardare il desolante paesaggio davanti a loro. Questa è l’inquadratura cruciale, ripetuta due volte, su cui Antonio Capuano costruì nel 1991 il suo folgorante esordio: Vito e gli altri, vincitore allora della Settimana della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ora, a ventiquattro anni di distanza, Capuano è tornato a presentare un film alla Settimana della Critica, Bagnoli Jungle, stavolta fuori concorso. E si tratta di un titolo che – oltre a riflettere direttamente sulla chiusura delle acciaierie a Bagnoli e sulle rovine che vi sono rimaste, rovine fisiche e morali – rimanda direttamente a quell’esordio. Vi si ritrova infatti, a distanza di tanto tempo, la stessa libertà stilistica, la stessa voglia di sperimentare, il low-budget, l’amore viscerale per gli interpreti e la testimonianza di una conoscenza profondissima degli umori della città di Napoli, tanto che entrambi i film, Vito e gli altri e Bagnoli Jungle, portano con sé sia i segni, le cicatrici di una testimonianza dal valore documentaristico, sia la riscrittura violenta e sanguigna, addirittura sanguinolenta, che è tipica degli eccessi partenopei e che Capuano sa restituire benissimo sganciandosi da ogni tipo di manierismo neo-realista, e anzi seguendo il filo di una costante reinvenzione linguistica .

Non è forse un caso allora che Vito e gli altri cominci con un ardito piano-sequenza che, dal dettaglio di un televisore, arriva a mostrare un interno domestico in cui sono riversi dei corpi. Vi è appena stato un omicidio plurimo mentre si sentono scoppiare i fuochi del Capodanno. Un uomo ha sterminato la sua famiglia e ora punta la pistola anche contro il figlio, il protagonista Vito. Questo inizio, che unisce ardire stilistico e veemenza morale, potrebbe essere l’incipit di un thriller hongkonghese dell’epoca. Questo perché la modernità dell’approccio di Capuano verso la macchina-cinema, la sua libertà, il suo buttarsi a capofitto su storie personaggi e attori senza stare a domandarsi se finirà per farsi male, gli hanno permesso di affiancare e, anche, di anticipare quanto di simile si agitava nel cinema contemporaneo all’epoca.
La forza di Vito e gli altri infatti è proprio quella di non essere controllabile, di spiazzare continuamente lo spettatore, proprio come uno scugnizzo che s’incontra per strada e da cui non si sa mai cosa aspettarsi.
Capuano lavora su quadri a sé stanti, regalandoci delle istantanee fulminanti in cui la musica ha un ruolo decisivo nel sottolineare le varie sequenze (da brividi la sequenza in spiaggia con la canzone No, no, no dei Roccocò), poi costruisce la tensione in modo sarcastico e geniale (la rapina alla vecchietta in strada, in montaggio alternato con i ragazzi che prendono l’ostia dalle mani del prete, sa di geniale e ironica rivisitazione coppoliana), quindi ci sorprende facendo parlare i suoi protagonisti di come dovrebbe essere il cinema, o ancora ci mostra una sequenza di molestie, e così via.
Questo perché, come poi succederà sempre nei suoi film, Vito e gli altri non è solo e non tanto un film di denuncia su come la camorra sia parte integrante della vita sociale (“La camorra se non la fai tu la fanno gli altri”), quanto un’opera che ci racconta anche il modo in cui viene fruito il mondo dell’audiovisivo dai ragazzi di strada (Rambo è l’unico film che si possa davvero apprezzare, ma allo stesso tempo in ogni interno vi è la Tv a fare da padrona, così come nei bar i videogiochi sono l’unica forma di divertimento praticabile). Siamo dunque di fronte ad un approccio meta-cinematografico che però, rifuggendo il citazionismo spicciolo, si pone come radicalmente anti-intellettuale e, anzi, tende a riscoprire e a sottolineare quanto ancora il cinema possa avere un valore per il popolo, sia perché lo affascina con storie iconiche e grazie ad eroi invincibili (lo Stallone di Rambo per l’appunto), sia perché lo coinvolge facendogli capire le virtù dell’auto-rappresentazione (gli stessi film di Capuano in cui spesso, a distanza di anni, vengono recuperati gli interpreti, sia pur non professionisti, come ad esempio il bambino di La guerra di Mario, Marco Grieco, protagonista del terzo episodio di Bagnoli Jungle)

Come un funambolo, quasi come Maradona, Capuano in Vito e gli altri dribbla continuamente, accelera, rallenta e riparte, e lo si resta a guardare abbacinati, ci si lascia travolgere e “scorticare” dalla vitalità del film e dei ragazzi protagonisti.
Vito e gli altri è un film disarticolato? Sì, ma come sono disarticolati Vito e i suoi amici, e il modo in cui Vito e gli altri concepiscono la vita, ovvero come qualcosa che può essere esperita solo nell’istante, poiché la stessa giornata, lo stesso arco delle ventiquattro ore, sono troppo lunghi e impegnativi da programmare, anzi, sarebbe semplicemente stupido farlo.
Capuano, l’unico partenopeo rimasto a vivere a Napoli tra gli esponenti di quella New Wave, ha dimostrato da subito di essere tra tutti il più appartato e il più viscerale, il meno elitario e forse anche il più coerente. E oggi, con Bagnoli Jungle, ci fa capire come tutti gli altri siano rimasti indietro o perché troppo imborghesiti in produzioni medio-alte o perché, nel caso dei registi delle nuove generazioni, troppo concentrati sulla possibilità di poter realizzare a tutti i costi il loro film per interessarsi davvero anche al mondo che vorrebbero raccontare. E allora vale davvero la pena di riscoprire un film come Vito e gli altri per capire come potrebbe e dovrebbe essere il nostro cinema. Libero, indipendente, scorretto, molesto, spiazzante.

Info
La pagina Wikipedia di Vito e gli altri.
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