I ricordi del fiume

La documentazione del processo di smantellamento di una delle più grandi baraccopoli d’Europa dà luogo in I ricordi del fiume di Gianluca e Massimiliano De Serio a un dolente ritratto sulla fragilità dell’abitare. Fuori concorso a Venezia 2015 e in sala dal 21 aprile.

Che i luoghi siano sintomi, che i luoghi siano segni

Torino, Italia. Il Plat è una delle baraccopoli più grandi d’Europa. Un progetto di smantellamento si abbatte su una comunità composta da più di mille persone che vi abita. [sinossi]

Se non fosse stato per I ricordi del fiume di Gianluca e Massimiliano De Serio, il cinema documentario italiano si sarebbe congedato dalla 72esima edizione del festival di Venezia con un nulla di fatto. Ben lontani – in negativo – da un autentico spirito documentaristico si possono infatti considerare titoli come Italian Gangsters di Renato De Maria o L’esercito più piccolo del mondo di Gianfranco Pannone, sia perché il primo si rifà a dei codici da inchiesta televisiva, sia perché il secondo è soprattutto un lavoro su commissione che, al momento delle riprese, non ha inteso dare luogo a nessun tipo di indagine. Vi era poi, certamente – senza andare alle sezioni collaterali del festival, come ad esempio i documentari di Venezia Classici – un film come Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati, ma considerare un qualsiasi film di Maresco un documentario è un’operazione che devia dalla natura ultima del suo cinema, che è sempre quella di un processo di auto-coscienza e di ‘forzatura’ esplicita e virtuosa dei materiali in direzione di un preciso discorso autoriale.

Proiettato fuori concorso proprio negli ultimi giorni di Venezia 2015, I ricordi del fiume ci ha invece riportato alla memoria quel che dovrebbe essere il vero compito di un documentarista: scegliersi un punto di vista preciso e riconoscibile, prendersi il tempo necessario per conoscere la materia che si vuole raccontare e non abdicare il proprio compito a facili semplificazioni o a posticci processi d’identificazione. Il film dei gemelli De Serio risponde in pieno – con coerenza e con coscienza – a tutti questi requisiti, scegliendo di farci vedere il disfacimento del Plat, una delle più grandi baraccopoli d’Europa sita alla periferia Nord di Torino, senza indulgere in facili processi pietistici. Va in questa direzione, del resto, la scelta di non aderire a nessuna storia in particolare delle tante possibili da raccontare, quanto quella di registrare il senso stesso dell’abitare, oscillante tra precarietà e ambizioni stanziali.

Tutto nasce dalla scoperta che il Plat sarebbe stato destinato ad essere sgomberato, spingendo con ciò i De Serio a documentare quegli ultimi mesi di vita (trasformatisi poi in un anno e mezzo di riprese, a causa di un lento disfacimento del luogo). In modo molto simile a quanto fece Jia Zhangke in Still Life, che registrò gli ultimi mesi di esistenza della Valle delle Tre Gole prima della costruzione della diga più grande del mondo, i De Serio hanno dunque impressionato il ricordo di questo luogo, a futura memoria. Sappiamo del resto che i campi rom, le baraccopoli, i campi nomadi (o in qualunque altro modo li si voglia chiamare) creano nelle nostre città contemporanee un senso di vergogna e, dunque, vengono nascosti agli occhi, oppure vengono destinati a trovare spazio fuori dai centri urbani come se si trattasse di campi di concentramento militarizzati. E dunque il film dei De Serio ha in primis questo valore testimoniale e basilare: farci vedere com’era. Basterebbe in tal senso la sequenza ambientata sopra una barca da cui si vede il retro del Plat e da cui si può osservare il degrado con la spazzatura che digrada verso le sponde del fiume – un momento di pura potenza visionaria, tanto da sembrare quasi il fiume di Apocalypse Now per senso d’inquietudine trasmessa – per capire come I ricordi del fiume risponda a quello che dovrebbe essere il bisogno primario del cinema: la capacità di osservare prima ancora che di raccontare, il restituirci con un’immagine il senso stesso della scoperta di un luogo.

Ma il vero centro nevralgico di I ricordi del fiume lo si deve trovare nel va e vieni, nel processo di chi parte (perché ha avuto diritto a un appartamento) e di chi invece è costretto a restare. I De Serio entrano nelle abitazioni degli uni e degli altri, che si tratti di baracche o di neonate e asettiche case in palazzoni di periferia, per registrare l’andirivieni costante tra la precarietà e la stanzialità del vivere e dell’abitare. In tal senso allora, il film – partendo dal particolare – acquista una dimensione universale e, se vogliamo, eterna: quella dell’uomo alla ricerca di un riparo, ma anche quella di una comunità che finisce per sfaldarsi, nel momento in cui si trova in competizione al suo interno (si assistono a diversi momenti in cui gli uni si attaccano con gli altri perché privilegiati o meno). Non è per accidente allora che uno dei momenti centrali del film sia il dialogo tra un adulto e un bambino, in cui l’adulto spiega al giovane come loro – i rom nello specifico, ma l’umano in genere – siano come delle lumache, costretti a portare tutto quanto con sé, pur di mantenere una propria feconda identità o, quantomeno, per poter sopravvivere.

Al netto di tutte queste considerazioni, però, giova ricordare che I ricordi del fiume non è un film perfetto, poiché si perde un po’ prima della parte finale, quella che – con la premessa visionaria della vista del campo dal fiume – dà poi luogo all’effettivo momento dello smantellamento. Non era comunque facile tenere in gioco tutte le anime di questo film complesso e ambizioso, e ben vengano esperimenti di questo genere che ci ricordano quale sia il dovere di un documentarista, quello di parlarci di realtà spesso davanti ai nostri occhi e che troppo spesso non abbiamo voglia né tempo di voler davvero osservare.

P.s. Dopo la selezione veneziana, I ricordi del fiume è stato poi presentato al Trieste Film Festival in una versione più breve, di 96′, la stessa che uscirà in sala a partire dal 21 aprile. Alleggerito di alcune sbavature e di alcune eccessive sospensioni della narrazione, il film ora appare ancora più efficace.

Info
La scheda di I ricordi del fiume sul sito della Biennale.
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