Lo chiamavano Jeeg Robot
di Gabriele Mainetti
Esordio alla regia di Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot ha rappresentato l’unica autentica sorpresa della decima edizione della Festa del Cinema di Roma: un film supereroistico che, con (auto)ironia, mostra una possibile via nostrana al genere.
(Super)eroismo di borgata
Enzo Ceccotti, piccolo delinquente romano, si getta nel Tevere per sfuggire a un inseguimento della polizia. Qui, venendo a contatto con del materiale radioattivo, acquisisce una forza e una resistenza sovrumane; l’uomo pensa di sfruttare le nuove facoltà per le sue attività criminali, ma poco dopo incontra una ragazza che crede di vedere in lui l’eroe del cartone animato Jeeg Robot… [sinossi]
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In Italia si auspica da anni una “rinascita” del cosiddetto cinema di genere. Va detto, però, che le opere e gli autori che, finora, si sono mossi in questa direzione, hanno perlopiù cercato di recuperare immaginari e filoni che sono appartenuti al nostro cinema fino a pochi decenni fa, per essere poi, progressivamente, abbandonati. Si ragiona spesso, insomma, di “genere”, ma raramente ci si sofferma su quali siano i generi che un’ipotetica new wave nostrana dovrebbe davvero affrontare; e raramente si ipotizza che forse, per ricostruire un’industria che sappia davvero guardare al pubblico, sarebbe opportuno anche esplorare territori del tutto nuovi, affrontando temi e filoni che non hanno fatto parte (finora) del nostro patrimonio. Matteo Garrone si è mosso in questo senso, pochi mesi fa, con la sua ricerca di una via locale al fantasy nel coraggioso Il racconto dei racconti; mentre il filone supereroistico era stato oggetto di un tentativo di approccio (riuscito solo in parte) nell’ibrido Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores. Proprio seguendo il tentativo di Salvatores, ed evitandone in gran parte gli errori, si muove l’esordio nel lungometraggio di Gabriele Mainetti (già attore, nonché compositore e regista di corti): Lo chiamavano Jeeg Robot ha rappresentato l’autentica sorpresa della decima edizione della Festa del Cinema di Roma, riscuotendo un consenso trasversale (in tre affollatissime proiezioni) tra pubblico e addetti ai lavori.
Il film di Mainetti, in realtà, parte da un canovaccio noir all’insegna del realismo: il protagonista Enzo Ceccotti (un ingrassato Claudio Santamaria) è un piccolo delinquente di borgata, che assume i suoi poteri mentre sta fuggendo dalla polizia. Sullo sfondo, una Roma sconvolta da una nuova, ipotetica (ma non improbabile) “strategia della tensione”: tradotta in una serie di attentati che squassano la vita di una città (già) attraversata da una montante insicurezza. Il quartiere periferico di Tor Bella Monaca, quello in cui il protagonista si muove, è oggetto di un affresco quasi naturalista: spaccio, degrado e contesa violenta del territorio sono il tessuto in cui la storia si dipana, e della cui materia si nutre. Roma, insomma, è di nuovo protagonista: e il fatto che il film di Mainetti arrivi quasi contemporaneamente a Suburra di Stefano Sollima deve far riflettere sui tanti modi che il “genere” (stavolta inteso nel senso più ampio) ha di parlare di noi. Modi apparentemente lontanissimi tra loro, ma tutti ugualmente necessari.
Perché Lo chiamavano Jeeg Robot, oltre a essere mosso da autentica passione per il cinema, e da uno sguardo composito su immaginari diversi ma non confliggenti, è impregnato di romanità: e della rappresentazione plastica di quella decadenza di un sentimento di solidarietà, dell’abbandono a se stesso di un sottoproletariato sempre più incattivito, del violento razzismo che attraversa le periferie, che chi vive la Capitale conosce e respira. Non è un caso che l’interpretazione (sopra le righe quanto realistica) dello “Zingaro” Luca Marinelli (l’abbiamo appena visto in Non essere cattivo di Claudio Caligari) finisca quasi per mettere in ombra il pur bravo Santamaria. Quasi un antieroe, più che un villain, l’espressione più brutale (ma vera) di una logica di potere, e di anarchica aspirazione al dominio, che permea l’intera vita di una città.
La componente grottesca, tenuta sempre dal regista al di qua del bozzetto gratuito e autoreferenziale, si inserisce in modo quasi naturale nel tessuto noir della storia: in una città in cui un personaggio come lo Zingaro vive, si arricchisce e acquisisce potere, non è in fondo così strano che una ragazza trasfiguri la sua realtà nei personaggi di un cartone animato. I deraglianti dialoghi che vedono protagonista il personaggio di Alessia strappano sì risate, ma, inserendosi in un contesto metropolitano che non si fa mai mero pretesto di sfondo, trovano una precisa giustificazione narrativa; mantenendo anche (considerate le premesse della storia) una loro credibilità.
Mainetti passa così, con naturalezza, dal registro realistico a quello grottesco, preparando il terreno per la presa di coscienza del protagonista (maturata nel modo più originale e sui generis) e abbracciando infine le logiche del genere supereroistico. Lo fa mantenendo intatto lo sguardo cinico e disincantato per i suoi personaggi, con la geografia umana che li circonda (dall’una e dall’altra parte della barricata), descrivendo una love story sopra le righe quanto vera, e gestendo il tutto con grande mestiere e senso dell’intrattenimento. Lo chiamavano Jeeg Robot non è privo di passaggi narrativi forzati, di cadute di ritmo e lungaggini (in questo senso, i 112 minuti sono probabilmente troppi, per la dimensione che si è scelto di dare alla storia): ma Mainetti dimostra gusto cinematografico e consapevolezza, autoironia e vigore, e si produce anche in ottimi pezzi di regia (la lunga sequenza finale è, in questo senso, pregevolissima). Soprattutto, il regista evita di perdere di vista, nella giustapposizione e sovrapposizione dei suoi immaginari di riferimento, il senso ultimo della storia: una fiaba metropolitana che vuole descrivere un moderno e originale senso di “eroismo”. Il riconoscimento del coraggio, e della passione che il regista ha profuso in questo suo esordio, è inevitabile. Così come il puntuale, ma questa volta pienamente convinto, applauso che accompagna i titoli di coda.
Info
Il trailer di Lo chiamavano Jeeg Robot.
La scheda di Lo chiamavano Jeeg Robot sul sito della Festa del Cinema di Roma.
- Genere: commedia, fantascienza, fantastico
- Titolo originale: Lo chiamavano Jeeg Robot
- Paese/Anno: Italia | 2015
- Regia: Gabriele Mainetti
- Sceneggiatura: Menotti, Nicola Guaglianone
- Fotografia: Michele D'Attanasio
- Montaggio: Andrea Maguolo
- Interpreti: Antonia Truppo, Claudio Santamaria, Daniela De Vita, Daniele Trombetti, Francesco Formichetti, Giampaolo Crescenzio, Gianluca Di Gennaro, Hassen Jamal, Ilenia Pastorelli, Jennifer Distaso, Joel Sy, Juana Jiménez, Luca Marinelli, Luigi Mazzullo, Marta Pinna, Maurizio Tesei, Salvatore Esposito, Stefano Ambrogi, Tamken Abdulaziz, Tommaso Di Carlo
- Produzione: Goon Films, Rai Cinema
- Distribuzione: Lucky Red
- Durata: 112'
- Data di uscita: 25/02/2016

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