Wyrmwood

Low budget divertito e citazionista, Wyrmwood rappresenta l’esordio dei fratelli australiani Roache-Turner, che contaminano il filone dei morti viventi con l’estetica action dei vari Mad Max. Presentato al Trieste Science+Fiction 2015.

Oltre la sfera dello zombie movie

Durante una pioggia di meteoriti, il mondo è vittima di un’inspiegabile epidemia che trasforma gli uomini in morti viventi. Barry, meccanico, è costretto a uccidere sua moglie e sua figlia, appena contaminati; in fuga nel deserto australiano, apprende che sua sorella è prigioniera dei militari, che la stanno sottoponendo ad alcuni esperimenti… [sinossi]

Dire qualcosa di originale sull’argomento-zombie, ormai, è opera quantomai ardua. Sottogenere underground per eccellenza, nato (nella sua declinazione romeriana) come filone di rottura, e storicamente caricato di implicazioni politiche, il cinema dei morti viventi è stato sdoganato presso il pubblico mainstream da serie tv quali The Walking Dead, ma anche da edulcorati blockbuster come i recenti World War Z e Warm Bodies. Filone trasformatosi e contaminatosi con altri linguaggi (in primis il fumetto e il videogioco), quello zombistico continua comunque ad essere tra i sottogeneri prediletti da quegli esordienti e/o indipendenti che vogliano cimentarsi con l’horror, non disponendo di ingenti mezzi ma potendo contare su un immaginario codificato e di facile presa. Ne sono esempio il recente, italiano Anger of The Dead di Matteo Picone (nato come corto, in seguito esteso a lungometraggio), e ora questo australiano Wyrmwood, opera prima di Kiah Roache-Turner: film che ha richiesto circa quattro anni di lavorazione, realizzato dal regista e da suo fratello Tristan (produttore e co-sceneggiatore) durante i weekend, presentato con successo un anno fa al Fantastic Fest di Austin e ora parte della selezione del Trieste Science+Fiction.

Il “modello” produttivo (virgolette più che mai d’obbligo) di questa piccola opera prima fa pensare subito al primo La casa di Sam Raimi: e l’approccio del film, ludico e sanamente autoironico, il mood indipendente, la voglia esibita di giocare col cinema, hanno in effetti più di un punto di contatto col primo Raimi. Senza tradire i punti fermi del genere, tuttavia, i fratelli Roache-Turner mostrano qualche interessante, nuova idea: la prima, quella di contaminare l’estetica del genere con l’action post-apocalittico, polveroso e on the road della saga di Mad Max. Una saga che è considerata (giustamente) patrimonio nazionale per il cinema australiano, e i cui stilemi trovano qui una felice sintesi col filone zombistico: le strade che tagliano il deserto, le automobili sfreccianti, la lotta per il carburante, il look tra l’heavy metal e il futuristico delle maschere di alcuni personaggi. Da uno spunto della serie tv Z Nation viene invece l’idea-chiave del controllo telepatico, esercitato da uno dei personaggi principali, sui morti viventi: spunto tale da vivacizzare e rendere più dinamico un plot sempre a rischio di incanalarsi su binari risaputi. Rimarchevole, e del tutto originale, è invece la curiosa idea di utilizzare gli zombie (e in particolare il loro respiro) come carburante per i veicoli: un’intuizione che (in chiave autoironica) si lega bene all’ambientazione on the road e ai rimandi alla saga di George Miller, aumentando l’enfasi sul carattere smitizzante e grottesco di alcune soluzioni narrative.

Tra strizzate d’occhio cinefile, ritmo sostenuto, carattere deliziosamente gratuito delle sue trovate, Wyrmwood intrattiene e diverte nei suoi 98 minuti di durata; mostrando tutti i suoi pregi e i suoi intrinseci limiti. Tra i primi, va rimarcata l’ottima capacità di mascherare (nella scelta delle location, ma anche nell’evidente cura del make up) i limiti di budget del prodotto, che appare cheap solo laddove vuole farlo; ovvero, laddove il look da b-movie diventa scelta estetica precisa, e ammiccamento più o meno diretto all’appassionato. E di rimandi alle più svariate declinazioni del cinema di genere, nel film, se ne trovano tanti: dal già citato La casa al primo Peter Jackson (nel ritmo, nella scelta delle inquadrature e nel voluto parossismo della recitazione), dalle deviazioni del genere dei vari Re-Animator, arrivando addirittura a Le iene di Quentin Tarantino (e la scoperta, qui, la lasciamo volentieri allo spettatore). La sceneggiatura non si perde in descrizioni di psicologie, lascia consapevolmente fuori qualsiasi (pur velato) riferimento politico, non fa nulla per nascondere la sua natura derivativa, divertita, ma anche intrinsecamente esile. Stimolati dall’originalità di alcune trovate narrative, sorpresi dall’inventiva mostrata dal regista, a tratti si sente la mancanza di un intreccio con un po’ di sostanza in più: e, in alcuni punti, si finisce persino per sentire il peso (sembra un paradosso, ma non lo è) della scarsa credibilità di alcune soluzioni adottate.

Va comunque salutato positivamente, un esordio come questo, nel sempre più standardizzato ambito del panorama indie horror; tenendo, ovviamente, ben presenti i contorni creativi e produttivi del progetto, e le condizioni in cui questo è maturato e si è realizzato. Quella dei fratelli Roache-Turner è una firma che, chissà, potrà di nuovo far parlare di sé in futuro. Magari a cominciare da un possibile sequel di questo esordio: ipotesi tutt’altro che inverosimile, dati i contorni del plot, e gli incoraggianti risultati ottenuti.

Info
Il sito del Trieste Science + Fiction.
Wyrmwood su facebook.
Wyrmwood su twitter.
Il trailer di Wyrmwood.
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