Turbo Kid

Presentato al Trieste Science+Fiction, Turbo Kid irretisce col suo armamentario enciclopedico che celebra (in modo studiato) gli anni ’80: ma non va oltre l’assemblaggio di omaggi e trovate estemporanee, con il risultato di un’operazione abbastanza effimera.

Effimero vintage

In un futuro in cui il mondo è devastato dagli effetti di un conflitto nucleare, un giovane orfano vaga in una terra solitaria, in sella alla sua BMX, in cerca di acqua e dei fumetti del suo eroe, Turbo Rider. Un giorno, il ragazzo si imbatte in Apple, una strana coetanea in cerca di avventure; i due diventano presto amici, fin quando Apple non viene rapita dagli emissari del despota Zeus, che controlla tutte le risorse idriche della zona… [sinossi]

Che il cinema popolare, tanto quello mainstream quanto quello indipendente, si stia affidando in misura sempre maggiore alle operazioni-nostalgia, è un dato di fatto. Raramente, tuttavia, è capitato di vedere un’opera che rappresentasse un compendio tanto esplicito, smaccato, enciclopedico, di tutte le espressioni della cultura di massa (dal cinema ai fumetti, fino alla televisione e ai giocattoli) degli anni ’80. Neanche un film furbo, in parte ricattatorio, programmaticamente nostalgico come il recente Pixels (limitato all’omaggio a un settore importante – ma non esaustivo – di quell’immaginario, quello dei videogiochi) si era spinto in là quanto questo Turbo Kid.
Il collettivo che si firma con l’acronimo RKSS (Road Kill Super Stars) formato dai registi Anouk Whissell, Francois Simard e Yoann-Karl Whissell dimostra di conoscere bene quegli anni, di averne introiettato rituali e simbologie, di averne fatto proprie le espressioni popolari più significative. Il loro esordio nel lungometraggio (dopo una lunga produzione di corti, che comprende più di venti titoli) è stato accolto con calore (viene da dire quasi inevitabilmente) dal suo pubblico di riferimento; prima nell’ambito della première al Sundance dello scorso gennaio, e ora nella sua proiezione nel nostrano Trieste Science+Fiction.

L’ambientazione del film è già esemplificativa del suo approccio: un mondo post-apocalittico ricalcato sui vari Mad Max (più simile, non a caso, a quello del terzo episodio della saga, più colorato e meno heavy) in cui i sopravvissuti, anziché a bordo di mezzi motorizzati, si muovono in bicicletta. Il protagonista, un ranger solitario adolescente a bordo della sua BMX, va a caccia di acqua potabile e fumetti del suo idolo (il supereroe Turbo Rider) quando viene approcciato da una stramba ragazzina, occhi sbarrati da bambola e attitudine borderline; i due incrociano la loro strada col crudele Zeus, dittatore e gestore di tutte le riserve d’acqua della zona, interpretato da un iconico volto degli eighties come quello di Michael Ironside. In mezzo, un cowboy del futuro che è un po’ Indiana Jones, un po’ Django, un po’ il Kurt Russell carpenteriano, la più classica delle storie di vendetta familiare, e un vero e proprio florilegio di oggetti, emblemi, marchi e strizzate d’occhio alla fascia di pubblico che va dai trenta ai quarant’anni: cubi di Rubik, biciclette con la carta nei raggi delle ruote, walkman a nastri magnetici, visori di diapositive, armi che sembrano accessori delle console a 8 bit, cuoricini a segnalare l’energia vitale rimasta a improbabili robot. In più (perché si citano sì gli anni ’80, ma il pubblico è pur sempre quello di oggi, abituato a vedere emoglobina in gran quantità) cartoonesche decapitazioni e smembramenti, geyser di sangue e truculente gesta eroiche che guardano un po’ ai film della Troma, un po’ ai più recenti prodotti di genere nipponici.

Di fatto, Turbo Kid è tutto qui. Entrati nel suo gioco, introiettatene velocemente le regole (le stesse, piuttosto rigide, enumerate dal protagonista alla sua nuova compagna) ci si lascia anche trasportare dal ritmo e dall’energia che i registi infondono nella pellicola; ma ci si rende anche conto della sua natura studiata, furba, tesa a prendere facilmente alla gola (e al cuore) il suo target. Non mettiamo in dubbio che l’approccio dei tre verso il materiale che trattano sia sincero; il problema è che un film non può essere (solo) un gigantesco ammiccamento a una certa fascia di pubblico, non può prescindere da una sceneggiatura che ne giustifichi la dimensione e l’estensione, pretendendo di vivere di estemporanee trovate visive. Non ci si stupisce ad apprendere che il film rappresenta l’estensione di un precedente corto diretto dai tre cineasti; e l’impressione, tuttavia, è che i tre non abbiano fatto molto per adattare il materiale alle dimensioni (e alle regole) del lungometraggio. Il film, strutturato su un canovaccio assolutamente classico (seppur virato al grottesco) risulta prevedibile in ogni sua singola svolta, elementare nelle psicologie, piuttosto ripetitivo nelle sue soluzioni narrative. Il suo mood eighties (sottolineato anche dalla colonna sonora, che il duo Le Matos ha composto rifacendosi filologicamente ai pezzi pop-rock del periodo) è in fondo poco funzionale alla sua trama: tolta l’oggettistica, le citazioni dirette e indirette, sostituiti i costumi e le armi, il film “funzionerebbe” lo stesso. Ma in quanti lo avrebbero notato?

Turbo Kid irretisce e ammalia col suo armamentario nostalgico, rispolvera un immaginario mai realmente sepolto (e che, diciamolo al netto di ogni partigianeria, ha fatto anche i suoi danni) ma cerca anche di tenere in piedi un legame col pubblico post-tarantiniano, con un impeto pulp che è tutto contemporaneo. Il suo guardare, con un occhio stereotipato che irriterà i filologi, (anche) ai tokusatsu e alle serie televisive fantastiche giapponesi, sta a testimoniare di questo suo approccio: frutto di quel calderone di cultura pop che mescola Oriente e Occidente, tutto basato sulle manifestazioni più esteriori dell’uno e dell’altro, che ha attraversato gli ultimi decenni fino a giungere alla ben più consapevole sintesi del regista di Kill Bill. Qui, siamo invece dalle parti di un assemblaggio di trovate estemporanee, di un insieme di omaggi slegati che, da soli, vivono nel ristretto ambito dell’ora e mezza del film. Un assemblaggio gradevole quanto effimero.

Info
La scheda di Turbo Kid sul sito del Trieste Science+Fiction.
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