Stand By for Tape Back-Up

Stand By for Tape Back-Up

di

Come si fa, partendo da una cassetta vhs su cui è registrata una scena di Ghostbusters, a ritrovare i fili della propria esistenza? Per scoprirlo basta affidarsi a Ross Sutherland e al suo Stand By for Tape Back-Up. A Torino 2015 nella sezione Onde.

Gone with the Rewind

Dopo la scomparsa del nonno, Ross Sutherland ritrova una vhs che erano soliti guardare insieme: incisi sul nastro, frammenti dal film Ghostbusters, dalla sitcom Willy, il principe di Bel Air, dal videoclip Thriller di Michael Jackson, da un reality anni Novanta e diverse altre cose. Immagini del passato che diventano lo sfondo sgranato per una riflessione sui ricordi, la morte e il concetto di ripetizione. [sinossi]

Bill Murray si muove circospetto per il piano dell’albergo, ma non immagina di trovarsi a tu per tu con un fantasma, uno sgorbio verdastro che, più spaventato di lui, gli corre incontro urlando. Urla a sua volta Murray, e si copre il viso in attesa dell’inevitabile scontro ectoplasmatico. Ma l’immagine, già in ralenti da qualche secondo, si immobilizza definitivamente, raggelando il volto dell’attore in un freeze frame. Nei primi minuti di Stand By for Tape Back-Up, sorprendente scoperta della sezione Onde alla trentatreesima edizione del Torino Film Festival, si racchiude l’intero senso di un percorso emotivo e visivo che non ha molti eguali. La storia, che racconta passo dopo passo il regista Ross Sutherland, la cui voce accompagna ogni singolo istante del film, è semplice: dopo la morte dell’amato nonno, Sutherland ritrova una vhs su cui negli anni erano stati registrati i programmi più disparati. Cosa c’è davvero da interpretare in quelle immagini? Sono segni? E se sì, cosa nascondono alle loro spalle?
La mente umana lavora per accumulo di connessioni, cercando di trovarne anche laddove l’impresa sembra improba. Non è un caso che Stand By for Tape Back-Up inizi con i titoli di testa de Il mago di Oz di Victor Fleming, accompagnato dalle musiche dei Pink Floyd di Dark Side of the Moon, forse la più celebre tra le “connessioni impossibili” dell’arte del Novecento, trip cerebrale in cui si è perso ogni adolescente dagli anni Settanta a oggi. Stand By for Tape Back-Up procede attraverso relazioni tra loro difficili da cogliere, e alle quali la voce di Sutherland sembra voler rassicurare delle spiegazioni. Sembra.

Ci sono vari livelli attraverso cui si può penetrare la corteccia di Stand By for Tape Back-Up, e tutti sembrano piuttosto validi. Il primo, ovviamente, è quello della narrazione orale, retaggio della performance live dallo stesso titolo che Sutherland ha portato in giro per l’Inghilterra a partire dal 2014; il secondo livello è quello della narrazione per immagini, con la sovrapposizione in vero blob iper-pop delle visioni più disparate, da Willy, il principe di Bel Air al già citato Ghostbusters passando per programmi televisivi, pubblicità e perfino una scheggia di un Arsenal-Newcastle di chissà quando; il terzo livello riguarda la confusione semiotica nella quale si è costretti a navigare (a vista); il quarto, infine, è la somma delle parti, la fusione di ogni singolo elemento.
L’esperimento del trentaseienne artista scozzese – il consiglio, per comprendere la portata del suo pensiero, è quello di visitare il suo sito personale, che trovate linkato anche al termine della recensione – si basa su un concetto molto semplice: in un’epoca in cui la visione ha surclassato qualsiasi altro elemento della vita quotidiana delle persone, il personale e l’universale possono ancora essere considerate categorie a se stanti, divise, parallele? Partendo da un dramma tutto intimo e personale, il tentativo di ricostruire la memoria del proprio rapporto con il nonno oramai defunto, Sutherland apre il cuore a una generazione che in quelle stesse immagini può ritrovare a sua volta connessioni infinite, ramificate. Le idee circolano, vagano e tornano, si parlano fra loro, come quelle immagini mandate avanti e indietro, in un forward/rewind che sembra non avere mai una reale soluzione; Sutherland, dal canto suo, racconta della propria vita, declama, strepita (l’ansiogeno crescendo sulla pubblicità del bancomat, in cui da uno spunto personale, e da una reclame di raro squallore, si vaga verso la ridefinizione del senso di libertà nella società occidentale), sembra sul punto di piangere, respira a fatica, verseggia a tempo di rap. Vive con la sua voce una videocassetta vhs che sembra inerte, ma vive a sua volta. Respira, quasi.

Nell’atto della ripetizione, punto di non ritorno di una società del consumo che replica in serie se stessa, neanche si trattasse di un incubo distopico, Stand By for Tape Back-Up trova il proprio ritmo, la necessità di un’esistenza che sembrerebbe quasi futile. In quel non essere nulla, neanche un film, ma solo spezzoni di varia qualità, campionario casuale dell’Inghilterra tra gli anni Ottanta e i Novanta, Stand By for Tape Back-Up scarta verso l’alto, trova un proprio ruolo.
Ma la vera forza del lavoro di Sutherland, al di là delle speculazioni teoriche che fa nascere in maniera spontanea durante la visione (rarità, questa, che va tutelata e protetta), risiede nella sua naturale, endemica dolcezza. C’è una tenerezza infinita in quella vhs stropicciata, con le immagini instabili, con il suo caraccolare lento e lo svolgimento a nastro che si fa movimento, ancora analogico, ancora materico. C’è la tenerezza della voce di Sutherland, e c’è la tenerezza di un ricordo. Che non è più però quello del regista, ma il ricordo di un vissuto, che è di tutto: il vissuto che abbiamo dimenticato, rimosso. Rimosso perché quotidiano, ripetuto, replicato così tante volte da svuotarlo di significato. Sutherland, con Stand By for Tape Back-Up, quel significato glielo rende, e lo eleva a valore. Gli concede un ruolo, e neanche secondario. Si può uscire in lacrime, dalla sala, o tenendosi la pancia dalle risate (Sutherland possiede una verve comica da non sottostimare), ma Stand By for Tape Back-Up non è un oggetto inerte. Parla, con voce e immagini. Si ramifica, e così facendo ci restituisce una vita, o forse ci permette di riconoscerne una, alle spalle di tutto. La nostra. Quella che esiste anche per assenza, come lo squalo che terrorizza gli abitanti di Amity nel capolavoro di Steven Spielberg e che è metafora di un finale che è elaborazione, del lutto e di tutto.

Info
Il sito di Ross Sutherland, regista di Stand By for Tape Back-Up.
  • stand-by-for-tape-back-up-2015-ross-sutherland-03.jpg
  • stand-by-for-tape-back-up-2015-ross-sutherland-02.jpg
  • stand-by-for-tape-back-up-2015-ross-sutherland-01.jpg

Articoli correlati

  • Festival

    Torino 2015 – Minuto per minuto

    Eccoci nuovamente all'ombra della Mole per il Torino Film Festival 2015, all'inseguimento di opere prime (seconde e terze), documentari italiani e internazionali, retrospettive, omaggi, (ri)scoperte...
  • Festival

    Torino 2015

    Il Torino Film Festival 2015, dal 20 al 28 novembre. La trentatreesima edizione del festival sabaudo, tra opere prime, sci-fi, documentari, film di ricerca, passato e futuro. Tutte le nostre recensioni.
  • Torino 2015

    Torino 2015 – Presentazione

    Con uno sguardo al passato che è sguardo al futuro (e viceversa) il Torino Film Festival si conferma, sulla carta, l'evento metropolitano più ricco dell'attuale panorama festivaliero italiano.

Leave a comment