Assolo

Assolo

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Con Assolo, Laura Morante dirige il suo secondo, problematico ritratto di una figura femminile, in una commedia coraggiosa negli intenti quanto deficitaria nella realizzazione.

Solista e corale. Stonati.

Flavia è una cinquantenne in crisi, con alle spalle due matrimoni falliti e una patologica dipendenza dall’approvazione altrui. La sua nuova vita da single, tra incubi, ricordi d’infanzia, e qualche relazione estemporanea, le porta ansia e cupe prospettive. Una psicoterapeuta cercherà di farle recuperare (o forse acquisire per la prima volta) autonomia e autostima… [sinossi]

Alla sua seconda prova da regista, Laura Morante confeziona una commedia per molti versi paradossale. Paradossale a partire da quel titolo, un Assolo che descrive in realtà una sorta di concerto a più voci (emblematicamente rappresentate nella sequenza iniziale) a fare da commento, in chiave di accompagnamento o contrappunto, all’esistenza della protagonista interpretata dalla stessa regista. Una sorta di polifonia attoriale (affidata a nomi di un certo peso: Piera Degli Esposti, Francesco Pannofino, Lambert Wilson e Marco Giallini, solo per citarne alcuni) che si regge però in funzione di un centro che la guida e giustifica, finendo spesso per fagocitarne spazio e istanze. Non era facile, e questo dobbiamo concederlo alla regista/attrice italiana, dirigere un’opera che coscientemente tradisse se stessa, che fosse in grado di risultare contemporaneamente intima e collettiva, capace di scavare a fondo nell’anima di un personaggio femminile attraverso le interazioni con una composita e variopinta galleria di altri caratteri. Ancora più difficile, sicuramente, raggiungere questo obiettivo con gli strumenti della commedia.

Questo Assolo, nel piatto panorama della commedia italiana (attualmente scossa dal fenomeno-Zalone) mostra almeno un po’ di coraggio. A partire dalla sua apertura (un incubo a tema funerario) per proseguire poi con una struttura volutamente frammentata, la Morante cerca di portare un po’ di aria nuova nel genere, mescolando toni e atmosfere, scenografie teatrali ed esterni naturalisti, onirismo e “garbato” bozzetto sociale borghese. Un’alternanza di registri e scelte estetiche sicuramente insolita, col programmatico intento di restituire lo spaesamento, la dipendenza fisica e affettiva, la mancanza di prospettiva univoca, di un personaggio femminile sui generis. Attraverso gli occhi della protagonista, si assiste alla rappresentazione di un universo borghese (nella fattispecie romano) che più e più volte è stato oggetto di attenzione da parte della nostra commedia, e che qui la Morante prova a leggere da un punto di vista leggermente diverso dal solito. Contemporaneamente più intimo e (almeno nelle intenzioni) meno legato agli stereotipi.

Di un prodotto come Assolo (secondo problematico ritratto al femminile della regista, dopo il precedente Ciliegine) vanno lodate più le intenzioni che gli effettivi risultati. La frammentazione voluta dalla regista (e dal co-sceneggiatore Daniele Costantini) non trova mai un centro narrativo né una vera quadratura del cerchio; se non in un personaggio che la Morante non riesce a rendere del tutto credibile, dalla resa più convincente quando la recitazione punta a suggerire, piuttosto che quando tenta il registro parossistico. Il filo conduttore della vicenda (le sedute di psicanalisi con la terapista interpretata da Piera Degli Esposti) guidano il personaggio e lo spettatore in un collage episodico perennemente in bilico tra passato e presente, realtà e sogno/allegoria: ma le vicende, punteggiate da personaggi in gran parte sprecati o mal utilizzati (i due mariti, rispettivamente interpretati da Pannofino e Gigio Alberti) non riescono a legarsi l’un l’altra in una struttura narrativa sufficientemente solida. Il film, generalmente incerto sul tono da adottare, finisce per inciampare spesso sul registro grottesco (nei maldestri tentativi autoerotici della protagonista) o in quello più patetico (ne è un esempio tutta la sottotrama legata al cane dei vicini).

Il tentativo compiuto dalla regista di svecchiare, almeno in parte, temi e motivi dell’attuale commedia nostrana, risulta sulla carta apprezzabile quanto deficitario nei risultati. La sua volontà di restare lontana dagli stereotipi e dalle macchiette resta più un proposito che altro: ne sono emblematici esempi l’indigeribile personaggio della donna divorziata col volto di Angela Finocchiaro, o l’altrettanto fastidioso collega sbruffone interpretato da Marco Giallini (altro talento sostanzialmente sprecato). Del film restano comunque alcune interessanti scelte registiche e di scenografia, negli interni essenziali (di stampo quasi teatrale) del primo incubo della protagonista, uniti alle sequenze ambientate nel bosco, dalla forte valenza simbolica e dalle significative componenti cromatiche. La risoluzione della vicenda appare fin troppo scontata, e banale nella morale che sembra sottendere, per dare una qualche consistenza all’intera costruzione della sceneggiatura. Un ulteriore limite narrativo, che contribuisce a relegare questa seconda prova registica della Morante nel recinto dei buoni tentativi, frustrati da una poco convincente elaborazione tematica.

Info
Il trailer di Assolo.
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