Point Break

Point Break

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Ispirato al cult movie magistralmente diretto da Kathryn Bigelow nel 1991, il Point Break di Ericson Core intrattiene con qualche prodezza atletica, ma scivola nel ridicolo per la sua scrittura maldestra.

Cerco il mio sentiero

Johnny Utah, giovane agente dell’FBI, si infiltra in un gruppo itinerante di atleti amanti del brivido, capeggiati dal carismatico Bodhi. Gli atleti sono sospettati di crimini perpetrati in maniera estremamente inusuale. Sotto copertura, costantemente esposto a grandi pericoli, Utah dovrà trovare chi è la mente che si nasconde dietro crimini apparentemente inconcepibili… [sinossi]

Il cinema come vetrina di attrazioni, circensi e dunque atletiche, non è certo una novità. Si parte dallo slapstick più puro di una comica dell’era del muto e si arriva magari, con i dovuti distinguo, ad un Tom Cruise intento a prodigarsi in veste di “stuntman di sé stesso” nei capitoli più recenti della saga di Mission: Impossible. Vive più o meno di queste pulsioni anche il Point Break di Ericson Core (Imbattibile), solo che se da un lato le evoluzioni dei suoi atleti riescono a provocare nello spettatore qualche momento di vertigine, dall’altro riesce a segnalarsi per una comicità tutta involontaria, che poggia non sullo slapstick bensì su una scrittura maldestra condita da dialoghi non-sense.

Ispirandosi all’insuperato cult movie diretto nel 1991 da Kathryn Bigelow, Ericson Core riporta sullo schermo il duello (e l’attrazione) virile tra l’agente dell’FBI Johnny Utah (Luke Bracey), e il filosofo-atleta di sport estremi nonché rapinatore Bodhi (Edgar Ramirez). Questa volta però anche Utah ha un passato da “atleta estremo” e dunque per lui infiltrarsi nella banda di criminali scavezzacollo, è un diktat imprescindibile. Lo sa bene anche il suo capo (Delroy Lindo) che, dopo un verboso proclama privo di ars oratoria del ragazzo, gli cede subito – e inspiegabilmente – il caso, forse pregustando già le future ramanzine di rito. Onere che condividerà con un collega europeo (il film è girato per buona parte in Francia e sulle Alpi nostrane), il tenente Pappas, incarnato non più da Gary Busey, bensì dal più corpulento Ray Winstone. Poi, naturalmente, nella gang dei “cattivi” in cui il nostro Utah brama infiltrarsi c’è ad attenderlo anche una donna, la bella Samsara (Teresa Palmer), arruolata (e adottata) da Body fin dalla più giovane età.

Insomma gli ingredienti sono posizionati, la fase di aggiornamento del prototipo può iniziare. Ecco allora che i nostri antieroi possono ora indossare le maschere di presidenti più recenti (sì, c’è anche Obama) e spingere più a fondo sul pedale del populismo (oggi, evidentemente, siamo più buonisti di ieri) rubando ai ricchi per dare ai poveri. Poi c’è il problema odierno degli sponsor, risolto qui con il personaggio di un magnate arabo (tale Pascal Al Fariq , incarnato da Nikolai Kinski, figlio di Klaus) pronto a sborsare denaro per le imprese acrobatiche e a dare party lussuosi ovunque. E infine ecco tornare l’elemento chiave del prototipo: la filosofia dell’atleta kamikaze. E qui tutto collassa. Già perché, se le aspirazioni panteistico-superomistiche del Bodhi originale poggiavano sul carisma e sui lineamenti angelici di Patrick Swayze, lo stesso certo non si può dire per la sua versione 2.0, incarnata da un ghignate Edgar Ramirez, adorno di rozzi tatuaggi, invasato da teorie posticce e deliranti. Il tutto si riassume più o meno nella possibilità di cambiare il mondo con un’idea, alla quale deve affiancarsi però anche l’azione. E così, mazzinianamente, ecco che i nostri eroi si cimentano – dopo aver opportunamente filosofeggiato – in ogni prodezza: surf e paracadutismo (presenti anche nel prototipo), wingsuit (volteggio nell’aere con apposite tutine aerodinamiche) e freeclimbing. Il “sentiero” di cui vaneggiano tanto è già tracciato: devono superare le fantomatiche 8 prove di Ono Ozaki, tutte dai nomi altisonanti (e risibili), che vanno da “Forza emergente” fino a “Atto di fede estrema”, passando per “Padrone delle sei vite”.
Peccato che si faccia solo un gran parlare di queste pratiche, mentre di spiritualità, in questo Point Break dei mesti tempi moderni, non se ne percepisca nemmeno una briciola. Sarà anche colpa di questa tendenza al vaniloquio, che spinge gli interpreti ad alternare momenti di pura fisicità ad altri di tedioso chiacchiericcio, senza nerbo e di fatto senza vera recitazione. Dei personaggi originari restano di fatto solo gli archetipi, deprivati di ogni sincera motivazione e, paradossalmente sia di vitalità che di tridimensionalità (il film esce nelle sale anche in 3D).

Ma non sono solo i dialoghi un po’ loffi a gravare sulla cattiva riuscita di Point Break, anche le soluzioni narrative sono infatti alquanto tirate via. Pensiamo ad esempio a quando dopo il lancio con wingam, misteriosamente Utah e i membri della gang si abbracciano dimenticando ogni astio o reciproca diffidenza. E, soprattutto, al fatto che pochi metri più in là ci sia lei, la donna del film, che si intrattiene abbarbicata a una roccia (non si capisce bene perché non ha potuto partecipare al volo), giusto accanto alla baita dove di lì a breve tutti insieme si rifocilleranno in cordiale convivialità (evidentemente lei ha anche preparato il pranzo).
Dopo ogni prova d’altronde è previsto, in maniera non poco schematica, un momento di decompressione in un locus amoenus: dopo il surf c’era lo yacht di Al Fariq con Dj e fanciulle sculettanti, ora la casetta alpestre, più tardi, dopo una perigliosa discesa in snowboard, ecco una mega villa (ancora una proprietà di Al Farq) adorna sempre di Dj e ragazze svestite. Poco dopo, l’amplesso del nostro eroe con Samsara su una folta pelliccia d’arredo completa il quadro con la dovuta impennata kitsch.

Quanto alla regia, se si escludono le esibizioni atletiche ad alta quota (il surf senza il “tubo” mostrato dalla Bigelow è solo un’onda alta e impetuosa), ovvero i momenti di stampo “documentaristico” del film, la messa in scena di Core risulta poi piuttosto piatta, come ben rivela uno scadente corpo a corpo che vede Bodhi e Utah ripresi per lo più di spalle.
Così privo di motivazioni sia narrative che artistiche, questo tentativo di aggiornamento di certo non può soddisfare le aspettative dei fan del prototipo. Resta da vedere se farà la sua parte da un punto di vista meramente commerciale. Le filosofie di vita con i loro “sentieri” spirituali da intraprendere hanno forse oggi perso ogni appeal, ma quelle del vil denaro sono dure a morire.

Info
Il sito ufficiale di Point Break.
La pagina facebook di Point Break.
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