Shinjuku Triad Society

Shinjuku Triad Society

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Shinjuku Triad Society è il primo capitolo della cosiddetta “Black Society Trilogy” che rese noto il nome di Takashi Miike anche in occidente.

Da Taiwan con furore

A Tokyo, nel quartiere Shinjuku, arriva Wang Zhiming, un sadico boss taiwanese omosessuale, che cerca subito contatti tra gli yakuza locali, per gestire un traffico di organi umani. Wang ottiene così la collaborazione dello yakuza Karino e del giovane avvocato Yoshihito. Il poliziotto corrotto e violento Tatsuhito Kiriya, di origini cinesi, fratello di Yoshihito, inizia a indagare su Wang e scopre il coinvolgimento del fratello nel traffico di organi. Sconvolto, Kiriya decide di proteggere a ogni costo il fratello… [sinossi]

Prima di parlare di Shinjuku Triad Society conviene fare un passo indietro nel tempo… Da quando Gozu venne selezionato dalla Quinzaine des réalisateurs al Festival di Cannes del 2003, cinefili e addetti ai lavori si sono abituati a imbattersi nel nome di Takashi Miike: i film del regista giapponese hanno con regolarità preso parte ai principali festival europei, finendo talvolta anche in concorso (Sukiyaki Western Django e 13 assassini a Venezia, Hara-Kiri: Death of a Samurai e Shield of Straw a Cannes). Eppure, è forse il caso di ricordarlo ai più distratti, al momento di portare in scena il delirio onirico/ossessivo di Gozu Miike aveva già alle spalle la bellezza di 49 lungometraggi diretti, oltre a un documentario, tre film per la televisione e due miniserie televisive (tra cui la celeberrima MPD Psycho, andata in onda nel 2000); il tutto in appena dodici anni di attività.
Il rapporto di Miike con l’audiovisivo si sviluppa in uno dei periodi di maggior crisi del cinema giapponese: sul finire degli anni Ottanta la produzione è infatti agonizzante da oltre un decennio. Diplomatosi (senza brillare) alla Yokohama Eiga Semmon Gakkō, la scuola di cinema e televisione creata anche da Shōhei Imamura e alla quale si può accedere senza alcun requisito, Miike iniziò a lavorare come assistente alla regia per lo stesso Imamura (è sul set de Il mezzano e Pioggia nera) e per altri registi quali Toshio Masuda, Kazuo Kuroki, e il grande vecchio Masahiro Makino. Nel fiorire del fenomeno del cosiddetto V-Cinema o Original Video, vale a dire le produzioni straight-to-video, Miike ribalta l’idea di studente inoperoso e pigro e diventa una vera e propria macchina da guerra, saltando da un set all’altro, e dimostrando una capacità di organizzare il lavoro registico dominato dal metodo ma sempre pronto a lasciar deflagrare una follia strisciante che diventerà il tratto distintivo della sua poetica espressiva.

Negli anni del V-Cinema Miike dimostra già di puntare l’occhio in direzione di una categoria sociale e umana ben precisa: titoli come Bodyguard Kiba (1993) e Shinjuku Outlaw (1994) mostrano già l’interesse per il sottobosco umano popolato da balordi e chinpira [1], oltre all’utilizzo estremizzato e ai limiti del parossismo della violenza e alla smitizzazione di qualsiasi ideale romantico in riferimento alla malavita.
Questa gavetta nel mondo delle produzioni destinate direttamente alla visione casalinga – che in Giappone è una vera e propria categoria industriale, ben più sviluppata che in occidente – dimostra la sua coerenza anche quando Miike passa al cinema pensato per la fruizione collettiva in sala. Contrariamente a quanto spesso viene scritto e affermato, Shinjuku Triad Society, distribuito nell’agosto del 1995, non è il primo titolo della filmografia di Miike a uscire in sala: il 17 gennaio dello stesso anno era infatti uscito Daisan no gokudō, senza lasciare però particolari tracce né di critica né al botteghino. Il successo commericale di Shinjuku Triad Society è però determinante per il proseguo della carriera di Miike, oltre a definire in maniera più concreta il ruolo che il regista occuperà di lì in avanti nell’industria nipponica e nell’immaginario collettivo.

Prima parte di una trilogia dedicata alla Kuroshakai (letteralmente “società oscura”, ovvio riferimento alla yakuza e al concetto stesso di mala-vita) che comprende anche i successivi Rainy Dog del 1997 e Ley Lines del 1999, Shinjuku Triad Society aggredisce lo spettatore fin dall’ansiogeno incipit per non lasciargli mai alcuna via di fuga, attraverso un montaggio convulso, ipnotico, che trasgredisce a qualasiasi regola di narrazione procedendo per allitterazioni visive, lasciando lo sguardo tramortito, confuso, privo di punti di riferimento. Una pratica che si lega in maniera stretta allo sguardo dello stesso Miike: la sordida società giapponese in cui si insinua la macchina da presa – traballante, quasi organica nella sua ipercinesi non dimentica della lezione impartita solo pochi anni prima da Shinya Tsukamoto con Tetsuo – non può dare punti di riferimento, né pratici né tantomeno etici o morali.
Al di là del divertissement e del gioco ludico che è spesso parte integrante della poetica miikiana – e che non viene meno, tra fiotti di sangue a pochi passi dal cartoonistico e ghignanti soluzioni visive – Shinjuku Triad Society si immerge nella lordura del Giappone dei primi anni Novanta, in cui la yakuza è diventata oramai parte integrante della società e ne coordina i movimenti, neanche si stesse parlando di un mastro burattinaio; il “suicidio” di Jūzō Itami avverrà dopotutto appena un paio di anni più tardi, nel dicembre del 1997. [2] Per il reso l’umanità indagata è già quella che diventerà marchio di fabbrica negli anni seguenti, in film destinati a un culto resistente come la trilogia di Dead or Alive, o Ichi the Killer, Visitor Q e il folle pastiche ultra-pop The Happiness of the Katakuris. Depressi, maniaci ossessivi, sadomasochisti, pervertiti, ma soprattutto sradicati, membri di una società che vorrebbe dimostrarsi monolitica e che nega qualsiasi tipo di multiculturalità. Per quanto immerso nel magma (salvifico) dell’exploitation, Shinjuku Triad Society è anche un film profondamente politico: un film che fa politica dello sguardo, cercando nuove traiettorie alla prassi della produzione cinematografica, e che ha il coraggio di mostrare un Giappone inconsueto, scavando a fondo in quella società oscura cui si è fatto cenno anche in precedenza.
Ne viene fuori un intrattenimento scorbutico, affascinante e a tratti volutamente respingente e malsano, teorema del quale è impossibile trovare la reale soluzione. Con Shinjuku Triad Society nasce il Miike che ancora oggi imperversa sugli schermi dei festival di mezzo mondo. Sacralizzato e blasfemo allo stesso tempo, come il demone ammazzatutti Izo.

Note
1. Chinpira è il termine gergale con cui in Giappone vengono chiamati gli appartenenti alla classe più infima di un clan della yakuza.
2. Jūzō Itami, autore di punta del cinema giapponese degli anni Ottanta grazie a titoli come The Funeral, Tampopo e A Taxing Woman, morì dopo un volo dal tetto del palazzo in cui si trovava il suo ufficio. Si disse che si era suicidato a causa di una relazione extraconiugale, ma in realtà fu forzato a lanciarsi nel vuoto dai membri del clan yakuza Goto-gumi; Itami nel 1992 aveva diretto il film Minbō no Onna, un pamphlet satirico contro la yakuza.
Info
Il trailer di Shinjuku Triad Society.
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