Sul lago dorato

Sul lago dorato

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Congedo dall’arte con un passo a due per Henry Fonda e Katharine Hepburn. Sul lago dorato di Mark Rydell si radica nel divismo di due mostri sacri hollywoodiani per raccontare superficialmente mutamenti sociali, incomprensioni padri-figli e le fatiche della terza età. In dvd per Pulp Video e CG.

“Ho sentito che oggi fai 80 anni”.
“Questo hai sentito?”
“Sì… Però 80 sono tanti, no?”
“Dovresti vedere mio padre.”
“Tuo padre è ancora vivo?”
“No, ma dovresti vederlo.”
Norman ed Ethel Thayer si ritirano come ogni anno per le vacanze estive nella loro casetta sulle rive di un lago. Norman sta per compiere ottant’anni e affronta con rabbia l’idea della vecchiaia, accusando qualche sintomo di confusione mentale. Ethel tenta di farlo riconciliare con la figlia Chelsea, da anni in cattivi rapporti col padre. Ma ci vorrà Billy, nipote putativo, per ammorbidire il burbero Norman… [sinossi]

Ritornavano il privato e la famiglia sul finire degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Il cinema americano che in quegli anni raccoglieva tanta fortuna agli Oscar si distanziava fortemente da ciò che si era visto oltreoceano nella splendida New Hollywood del decennio in chiusura, restando tuttavia anche in eccentrica continuità col recente passato. Fatta eccezione per una certa tendenza all’appiattimento calligrafico, la frequente solidità degli script e annessa credibilità dei personaggi narrati era piena farina del sacco Seventies, capace nei casi migliori di sfiorare qualche tetra verità scavando alle radici di modelli socio-comportamentali.
Parliamo ovviamente per ampia astrazione, dal momento che in un comune filone tematico si annoverano comunque opere sensibilmente diverse. Tra i titoli più noti di tale ondata neo-familiare si spazia infatti dal misconosciuto capolavoro Gente comune (1980) di Robert Redford (che, sia chiaro, con i film vagamente “gemelli” condivide solo alcune linee generali, rivelandosi per un’opera più ambiziosa, complessa e crudele) al compitino ben fatto di Kramer contro Kramer (1979) di Robert Benton, al film ricattatorio per antonomasia Voglia di tenerezza (1983) di James L. Brooks, cocktail di sorrisi e lacrime di inarrivabile cinismo commerciale.
In mezzo a questi si piazza Sul lago dorato (1981), enorme successo di pubblico all’epoca della sua uscita, gradualmente dimenticato col passare degli anni. L’unico, in questo mazzetto di neo-melodrammi familiari, che intreccia paturnie padri-figli al racconto della terza età. Sotto tale aspetto il film di Mark Rydell appare anche abbastanza coraggioso, dal momento che gli anni senili non hanno mai riscosso grandi simpatie dalle logiche del cinema industriale hollywoodiano, se non per riconvertire il tema in occasione di garbato sorriso. Così come è altrettanto rara l’eventualità di affidare un intero film alle spalle pur solidissime di una coppia di vecchie star alle soglie del mito in vita. In Sul lago dorato Henry Fonda e Katharine Hepburn sono innanzitutto un monumento a se stessi.

Certo, anche Sul lago dorato non disubbidisce alle regole di cui sopra. È garbato, edulcorato, solo apparentemente cinico e provocatorio, parla sì anche di rifiuto della vecchiaia, malattia e morte ma senza trasgredire mai alla regola hollywoodiana. La quale, innanzitutto, esige spesso un percorso nei suoi personaggi che in qualche modo preveda una svolta e una redenzione. Magari, se possibile, dopo un evento-chiave a tre quarti del racconto.
Sul lago dorato nasce come pièce teatrale, la cui riduzione cinematografica è opera dello stesso autore Ernest Thompson. Rispetto alla fonte teatrale Mark Rydell tiene un atteggiamento ambivalente, non spendendosi troppo a dissimulare i lunghi e laboriosi dialoghi da palcoscenico ma al contempo arieggiando il racconto con ampio sfruttamento delle location lacustri. L’artificio teatrale appare ben evidente in almeno due ampie sequenze: l’esordio, con i due anziani coniugi che parlano e si muovono lungamente all’interno della casetta, e il divertente primo incontro tra suocero e futuro genero, che si estende per oltre dieci minuti in salotto. Ma a ben vedere l’artificio affiora continuamente anche in brani meno evidenti, come nel finale quando Ethel in ansia finisce quasi per monologare, e ancor più sottilmente in tutta una serie di “quadretti a due” non troppo mascherati (in brevi sequenze, decisamente forzose, Ethel si apparta spesso con qualche personaggio per dispensare centoni di saggezza spicciola). A ciò corrisponde una decisa scelta calligrafica nei confronti della natura, chiamata a testimone dell’eterno fluire dell’esistenza al quale non resta che arrendersi. Le anatrelle del lago, accoppiate e apparentemente monogame a vita, insegnano ai piccoli a nuotare, prima di farsi ritrovare prive di vita durante una battuta di pesca. È l’inevitabile ciclo della natura, al quale abbandonarsi senza troppi psicologismi secondo un’idea decisamente reazionaria.

In tal senso Sul lago dorato appare anche un perfetto esempio di film da dibattito (ricordiamo vagamente i suoi primi passaggi televisivi su Raiuno nella prima metà degli anni Ottanta, quando spesso veniva incorniciato in serate a tema dedicate ai mutamenti in atto nella società e nella famiglia, con sociologi e psicologi che invocavano il “dialogo” come panacea di tutti i mali tra le quattro pareti di casa). Il film di Rydell racconta infatti una situazione paradigmatica di incomprensione tra padri e figli, scaturita dal solco generazionale e da mutati paesaggi comportamentali, tema fertilissimo dagli anni Settanta in poi specialmente nel cinema americano.
Il problema è che in Sul lago dorato la questione è e resta paradigmatica oltre ogni ragionevolezza. Il risentimento della figlia Jane Fonda nei confronti del padre è generico e autogiustificato, un semplice dato di fatto generazionale che si radica in ataviche insicurezze filiali, mai realmente motivate sul piano narrativo. La soluzione di mamma Katharine Hepburn è alla portata di tutti: non pensarci più, e tanti saluti. L’intenzione di Thompson e Rydell è quella di parlare di un passaggio nodale nella cultura del tempo, ovvero il conflitto tra la famigerata “società moderna”, dai rapporti d’amore cangianti, le famiglie allargate e il lavoro prima di tutto, e modelli antichi di fedeltà per una vita intera.
Ma Sul lago dorato finisce per enunciare i suoi crucci senza alcun vero sguardo in profondità, dando della modernità un ritratto talmente superficiale (stupisce in tal senso la direzione attoriale inaspettatamente disastrosa di Jane Fonda) da piegare l’intero racconto a un manifesto ideologico per la vecchia coppia. Tira aria insomma di garbata reazionarietà, che ritorna ampiamente con le ripetute sottolineature della splendida vita in mezzo alla natura a contrasto con le freddezze metropolitane (non a caso nella prima metà degli anni Ottanta abbonderanno nel cinema americano i drammi rurali come Le stagioni del cuore, 1984, Robert Benton, o Il fiume dell’ira, 1984, diretto dallo stesso Mark Rydell).

Ciò detto, Sul lago dorato resta a tutt’oggi un buon film soprattutto nei suoi tratti più scopertamente hollywoodiani. Se la Hepburn ha un ruolo un po’ più sacrificato, il personaggio di Henry Fonda è magnificamente scritto, ben scolpito nella sua disillusione e nel suo sarcasmo (vedi battuta in apertura), così come la sua redenzione tramite l’incontro col nipote putativo Billy è tanto prevedibile quanto brillante. Nelle uscite a pesca tra i due, fatte di silenzi, indugi e domande impreviste, il film ha alcuni dei suoi momenti migliori, quando il foglio di carta della vita si ripiega su se stesso facendo toccare i due lembi più lontani: 80 anni e 13 anni. E il tormento del burbero Norman mostra qualche bel tratteggio psicologico, soprattutto quando nei suoi primi segnali di confusione senile l’uomo invoca la figlia Chelsea sbagliando nome. Infine, nella stretta narrativa della “crisi a tre quarti”, Rydell azzecca almeno una sequenza di buona suspense con l’incidente in barca. Sia chiaro, non siamo nei territori del credibile e neanche troppo del sincero, bensì in una specifica maniera di raccontare, quella codificata da Hollywood che ha precisi modelli per i suoi anziani, per i suoi ragazzini e per i patetici pericoli che li uniscono una volta per tutte, per cui il contrasto generazionale è narrato ad esempio dal precoce e didascalico turpiloquio dei teenager e dalla loro spavalderia da sitcom, mentre l’affetto tra un vecchio e uno pseudo-nipote viene a redimere entrambi.

Le intenzioni sociologiche sono talmente allentate ed edulcorate che Sul lago dorato finisce per non dissimulare più di tanto nemmeno la sua principale natura di veicolo attoriale. Anzi, la sua natura di congedo a due dall’arte e dalla vita (Henry Fonda morirà poco dopo; Katharine Hepburn vivrà ancora a lungo ma da lì in poi prenderà parte a pochissimi altri film). L’Academy comprese a fondo la natura dell’operazione e premiò entrambi gli attori con un Oscar. Per Fonda era la prima statuetta da miglior attore, dopo aver già vinto quella alla carriera. Per la Hepburn era addirittura la quarta, a tutt’oggi record imbattuto di vittorie per un attore o attrice presso l’Academy. Curiosamente l’edizione degli Oscar 1982 ebbe una delle più alte medie d’età (probabilmente la più alta in assoluto) tra gli attori premiati di tutta la storia delle statuette. Se Fonda e la Hepburn sfioravano gli ottant’anni, tra i non protagonisti s’imposero John Gielgud (classe 1904) e Maureen Stapleton, “linea verde” del quartetto a 57 anni.
Sul lago dorato fu anche l’unico film che vide recitare insieme papà Henry Fonda e figlia Jane. Si diceva che il conflitto padre-figlia raccontato nel film riecheggiasse il vero rapporto burrascoso tra i due attori, e che la riconciliazione sullo schermo venisse a sancire la pace dopo un’intera vita di incomprensioni. Più di tutto, resta impressa la stupefacente somiglianza tra i due. Due gocce d’acqua.

Extra: galleria fotografica.
Info
La scheda di Sul lago dorato sul sito di CG Entertainment.
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