Reach for the SKY

Reach for the SKY

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Reach for the SKY documenta l’edizione 2014 del temutissimo Suneung, equivalente sudcoreano drammaticamente più duro del nostrano esame di maturità, per filtrare attraverso il locale sistema scolastico un’interessante mappatura di una società basata sulla competitività estrema, sulla pressione e sul duro lavoro, ma rivela troppi elementi di messinscena che ne minano in parte l’aura di veridicità. Al Far East 2016.

Studio matto e disperatissimo

Suneung è la terribile prova d’esame che gli studenti sudcoreani devono affrontare alla fine del liceo e che segnerà il futuro della loro vita sociale e professionale. I risultati del test determinano la loro destinazione universitaria considerando che solo lo 0,01% di loro sarà destinato ad entrare in una delle tre università d’élite del Paese. [sinossi]
“Notte prima degli esami, notte di polizia
certo, qualcuno te lo sei portato via
notte di mamme e di papà col biberon in mano
notte di nonne alla finestra
ma questa notte è ancora nostra”
Antonello Venditti, Notte prima degli esami

Alzi la mano chi non ricorda – spesso come un incubo – i giorni interminabili che hanno preceduto il fatidico esame di maturità, quella sedia mai così scomoda a romperci la schiena, la testa dolorante e china sui libri di cui è sempre importato meno, le unghie mangiate nervosamente, le troppe tazze di caffè, il sole che filtra beffardo dalle persiane, le urla udite o immaginate dei quasi coetanei già in vacanza che inseguono il pallone. Ecco: abbiamo tutti scherzato, stavamo solo giocando allo studente e all’uomo, senza minimamente immaginare che cosa avremmo visto negli stessi giorni se avessimo volto il nostro sguardo verso est.
Il termine SKY, in Corea del Sud, non viene associato né al cielo né tantomeno a colossi mondiali di piattaforme satellitari, ma vale come acronimo del sogno di ogni adolescente: Seoul National University, Korea University, Yonsey University, le tre università più prestigiose della penisola, le uniche in grado di dare una svolta alla vita futura di chi riuscirà a frequentarle, ponendolo direttamente nell’élite di un Paese fondato sulla competitività più estrema e sulla necessità di primeggiare.
E infatti il principale e forse più interessante paradosso che emerge da Reach for the SKY, documentario a firma del coreano Choi Woo-young e del belga Steven Dhoedt presentato al Far East Film Festival 2016, è proprio come la durezza estrema del sistema scolastico coreano porti non tanto allo studio come necessario – e magari anche piacevole, perché no? – mezzo per formarsi: l’unica cosa che conta davvero, nella società coreana, è essere migliore degli altri, superarli, entrare in uno 0.01% che rivela tutta la mentalità oligarchica di un Paese nel quale persino i bambini, dalle elementari al fatidico Suneung, studiano ininterrottamente dalle 8 alle 23 e non vedono quasi mai la propria famiglia.
Un sistema scolastico per noi impensabile, con adolescenti portati all’ossessione, allo stress più estremo, alla drammatica paura del fallimento. Sono molti gli studenti che ripetono il Suneung magari due o tre volte, alcuni di loro non lo supereranno mai, altri magari diventeranno in futuro addirittura professori, ma quello che risulta davvero sconvolgente per lo spettatore occidentale è la mentalità che tutti loro hanno: la loro costanza in uno studio matto e disperatissimo, il loro terrore per l’inadeguatezza combattuto con la fatica, il loro culto per il duro lavoro che pare quasi ereditato dai gloriosi samurai dell’arcipelago dirimpettaio.

La coppia di registi racconta un intero anno scolastico, quello 2013-2014, seguendo vari studenti, con le relative famiglie al seguito, impegnati nella preparazione del Suneung. Accompagnati dalle massime dei grandi Maestri del passato proiettate sulla lavagna, si assiste a un intero anno sui libri, un anno fatto di costosissimi corsi privati integrativi in aggiunta al liceo (pronti a mostrare con sguardo indagatore e sardonico il business dietro ad una società così duramente impostata) e svelando un intero microcosmo fatto di santoni e paradossale religiosità di fronte a tanta scienza per proteggere lo studio dei ragazzi.
Il giorno del Suneung tutto il Paese si ferma: le schede con le domande vengono trasportate da camion blindati scortati dalla polizia, i giovani candidati vengono invitati a chiamare il 112 in caso di ritardo per farsi trasportare alla sede d’esame a sirene spiegate, persino il traffico aereo viene bloccato, per non disturbare la concentrazione degli esaminandi con il possibile rumore. Fino a quando la giornata campale sarà conclusa, e il countdown sul muro della scuola ripartirà da -364 giorni, un altro anno di folle studio in attesa della prossima infornata.

Quello che si evince da Reach for the SKY è l’origine di una società così rigida e di una così forte personalità da parte di chi riesce a superare questa drammatica selezione, quel sistema scolastico che incide come un macigno sulla formazione dell’individuo sin dai primissimi anni di vita e che stabilirà già quale sarà il ruolo dell’adulto. Nella gestione di uno stress al limite della follia e di una giovinezza per sempre repressa, i giovani studenti convivono con l’ossessione del bel voto come primaria e ancestrale ricerca di un avanzamento sociale. La coppia di registi porta sullo schermo un mondo di anime in pena, rese fantasmatiche dalle non rare inquadrature fisse e fuori fuoco sugli studenti che passano, pronto ad assumere toni quasi da thriller, complici anche i pad elettronici extradiegetici che paiono estrapolati da un album dei Goblin, nel momento in cui l’esame si avvicina. I registi mostrano le madri in preghiera, i figli sui libri, la necessità forzata di credere in se stessi e nel superamento dei limiti come unico modo di vivere, la gioia infinita per il traguardo raggiunto, ma anche il fallimento come punto da cui ripartire per “studiare di più” e riprovarci ancora, con una costanza e una forza di volontà erculea ed eroica.

Reach for the SKY è poi l’unione fra un occhio asiatico e uno occidentale, è la conoscenza sulla propria pelle di un sistema scolastico follemente gerarchico e meritocratico che incontra un secondo paio di occhi provenienti dall’Europa, da una cultura che, come noi spettatori, quasi fatica a credere a ciò che vede. Ed è un film che vorrebbe farsi forte di questo strabismo culturale, riuscendo pure per lunghi tratti a nutrirsi di questa dicotomia, ma che finisce però per affievolirsi nell’amaro retrogusto di un troppo costruito a causa di un utilizzo troppo massiccio, per le velleità di veridicità di cui si nutre, della messa in scena.
Risulta infatti alla lunga “finto” notare l’assoluta invisibilità della macchina da presa in situazioni di tale sovraffollamento: troppi sono i personaggi a favore di camera senza che mai uno sguardo finisca per sbaglio nell’obiettivo, come pure le voci fuori campo degli studenti-cavie-protagonisti che accompagnano il film finiscono per cadere in una sovrabbondanza narrativa, minando parzialmente quella che è la credibilità del documentario con la sua adesione alla pura realtà.
Reach for the SKY è un film in definitiva ottimo per la televisione, come testimoniato dalla produzione National Geographic e dalla forza intrinseca della situazione raccontata, ma troppo forzosamente costruito per decollare davvero anche sul grande schermo. Peccato, perché le atmosfere mozzafiato della tensione prima e durante gli esami, come pure una lettura non certo banale della società sudcoreana ci sono, tangibili e piacevoli da afferrare. Ma rimane la consapevolezza che, con una cura paradossalmente minore per la narrazione e per i dettagli visivi, il lavoro di Choi Woo-young e Steven Dhoedt avrebbe potuto essere cinematograficamente ed emotivamente ancor più efficace.

Info
La scheda di Reach for the SKY sul sito del Far East.
Il trailer di Reach for the SKY su Youtube.
Il sito ufficiale di Reach for the SKY.
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