The Bleeder

The Bleeder

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The Bleeder ha un’anima divisa in due – il Rocky Balboa della saga di Stallone e lo sfortunato Luis “Macigno” Rivera di Una faccia piena di pugni – e un protagonista dalle spalle larghe: Liev Schreiber, davvero in ottima forma. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film di Philippe Falardeau è un biopic sportivo che punta al grande pubblico e non si nega niente: voce narrante, playlist di celeberrimi brani degli anni Settanta, la classica fotografia sgranata che si sposa perfettamente con lo stile e i cromatismi dell’epoca. E poi le donne, la cocaina, la fama e le illusioni…

Una faccia piena di pugni

The Bleeder è la storia vera di Chuck Wepner, venditore di alcolici del New Jersey che resistette 15 round contro il più grande pugile di ogni tempo, Muhammad Ali. La sua storia ha ispirato la serie Rocky, che ha registrato incassi record di miliardi di dollari. Nei suoi dieci anni sul ring Wepner subì due K.O., otto rotture del naso e 313 punti di sutura. Ma le sue lotte più dure furono fuori del ring, dove condusse una vita epica fatta di droghe, alcol, donne spregiudicate, incredibili successi e drammatiche cadute… [sinossi]

The Bayonne Brawler. The Bayonne Bleeder. The Real Rocky. La storia di Chuck Wepner, pugile destinato all’oblio, è raccontata con spirito vivace nel biopic sportivo The Bleeder di Philippe Falardeau. Presentato fuori concorso, il film non si nega niente: voce narrante, playlist di celeberrimi brani degli anni Settanta, la classica fotografia sgranata che si sposa perfettamente con lo stile e i cromatismi dell’epoca. E poi le donne, la cocaina, la fama e le illusioni. Una parabola umana, sportiva e sentimentale che punta al grande pubblico, con un montaggio dal ritmo sostenuto, una sequenza di straripante emotività e quel gioco di naturali e inevitabili rimandi a Rocky e al suo immaginario – un fertile cortocircuito di ispirazioni, di copie carbone e copie sbiadite, con Stallone che si ispira a Wepner che si ispira a Stallone che si ispira a… The Bleeder ha un’anima divisa in due – il Rocky Balboa della saga di Stallone e lo sfortunato Luis “Macigno” Rivera di Una faccia piena di pugni – e un protagonista dalle spalle larghe: Liev Schreiber, davvero in ottima forma.

Le dichiarazioni di Falardeau inquadrano perfettamente le intenzioni e gli obiettivi di questo biopic: The Bleeder è «un’opera sull’ascesa, sulla caduta e sulla redenzione, cioè mitologia classica estremamente raccontabile». Il raccontabile è la chiave di lettura delle scelte estetiche e narrative di Falardeau e del produttore/protagonista Schreiber, di una pellicola che imbocca la strada sicura delle Hits of the 1970s, ma che si permette, in un caleidoscopio di strizzatine d’occhio allo spettatore, di imbastire un fruttifero e stimolante intreccio tra mitologia e realtà, tra la vita, il ring e il grande schermo. Illuminante, in questo senso, il provino di Wepner per un cameo in Rocky II. Il “Vero Rocky” di fronte al Rocky di Stallone; l’attore di fronte alla sua fonte di ispirazione; il finto pugile di fronte a un barcollante e malmesso colosso, minato da alcool e droga, ma fisicamente inarrivabile. E Schreiber che cerca di diventare per un momento un attore improvvisato e improponibile, ma il suo Wepner non può che essere superiore allo Stallone di Morgan Spector. Come inevitabilmente squilibrato è l’incontro attoriale tra Schreiber e il Muhammad Ali di Pooch Hall. Stimolanti cortocircuiti.

The Bleeder gioca e si/ci diverte coi piani narrativi, con la mitologia, con una narrazione che è sagacemente stratificata e metatestuale – il wrestiling di Rivera, di Wepner e di Rocky III per una storia che passa da un pugile all’altro. Tra le pieghe della derivazione scorsesiana, The Bleeder racconta più di una ascesa e una caduta, più di un immaginario e di una realtà. Il film di Falardeau è un calibrato meccanismo mainstream che colpisce per la sua immediatezza, fulminante come i pungenti jab di Ali. Tra le tante canzoni, il più delle volte diegetiche, ci ritroviamo ad ascoltare la voce e le note di Sixto Rodríguez [1], una sorta di Wepner della musica, altro cortocircuito narrativo e testuale – ritroviamo nei dettagli e nella leggiadra complessità quella cura e quei rimandi, anche intimi e personali, che avevamo apprezzato in Ogni cosa è illuminata, esordio alla regia di Schreiber.

I colori e la grana della fotografia, le canzoni, il dolore dei pugni, il sangue, Chuck Wepner, Rocky Balboa e Luis “Macigno” Rivera. I sogni, Ali e il rumore dei suoi pugni. L’arbitro che conta, il sangue che sgorga a fiotti. L’amore e l’autodistruzione. E le fotografie, i ricordi, i ritagli dei giornali, nei film e nella vita. E quelle storie da raccontare, di mogli e amici, fratelli e allenatori con la faccia di cuoio (Ron Perlman, chi altro?). The Bleeder vola come una farfalla, punge come un’ape.

Note
1. La singolare storia del cantautore statunitense è raccontata nel documentario Searching for Sugar Man (2012) di Malik Bendjelloul.
Info
La scheda di The Bleeder sul sito di Venezia 2016.
L’incontro tra Muhammad Ali e Chuck Wepner.
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