C’era una volta… la Svizzera
A pochi giorni dalla conclusione della rassegna Cinema Svizzero a Venezia, la confederazione elvetica torna protagonista nella città lagunare con un programma speciale intitolato C’era una volta… la Svizzera, e allestito in occasione della settima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival. Cinema delle origini prodotto tra Basilea e Losanna, tra sguardi antropologici e animazioni pubblicitarie, echi di cinegiornali e riprese industriali.
Il cinema svizzero è sempre più protagonista a Venezia. Dopo le giornate dedicate alla produzione elvetica contemporanea, ospitate nella sede del Consolato Svizzero, è stata la volta del Ca’ Foscari Short Film Festival (giunto alla settima edizione sotto la direzione di Roberta Novielli) di puntare l’occhio verso la confederazione. L’occasione è stata data dalla consueta sinergia che si sviluppa tra i due festival, e che questa volta ha preso corpo in un programma di film intitolato C’era una volta… la Svizzera: se l’anno scorso gli studenti dell’ateneo lagunare avevano avuto la possibilità di imbattersi nel sulfureo serial killer a cui era dedicata la web-serie Arthur, questa volta Massimiliano Maltoni, curatore della specifica programmazione, ha trascinato il pubblico dell’Auditorium Santa Margherita un secolo indietro. Niente più contemporaneità, dunque, ma un tuffo nel cinema delle origini.
Per quanto in pochi si siano presi la briga di approfondire la questione – vista anche la scarsa dimestichezza della maggior parte degli storici e critici nostrani con la produzione elvetica –, il cinema in Svizzera arriva molto presto, grazie alla grande disponibilità economica appannaggio di banchieri e grandi gruppi finanziari. Già nel 1898 è possibile rintracciare frammenti di pellicola; si tratta in gran parte di un cinema puramente compilatorio, con vedute paesaggistiche e squarci di vita quotidiana. La settima arte è più che altro una diavoleria moderna, come sembrano voler indicare gli sguardi indagatori, e a tratti preoccupati, che si imbattono a Basilea in un uomo armato di cinepresa: occhi fissi sull’obiettivo fotografico, e la condivisa intuizione di girare al largo, lontani da uno sguardo che si considera già forse indiscreto.
Se è indubbio, come espresso già in altre occasioni, che ci sia generalmente poca curiosità nei confronti del cinema svizzero, è però da sottolineare come C’era una volta… la Svizzera non nasca dal nulla, ma possa vantare un precedente illustre. Nel 2002 Le giornate del cinema muto di Pordenone furono le prime a oltrepassare le Alpi per cercare di conoscere e studiare le forme primitive del cinema da Zurigo a Basilea, da Lugano a Losanna, dai Grigioni al Ticino. Il tutto, ovviamente, grazie al lavoro congiunto con la Cinémathèque Suisse.
Quello che si è spalancato davanti agli occhi degli universitari veneziani, dunque, è un universo ai più ignoto, e proprio per questo ancor più interessante. C’è l’ideale controcampo de L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, con la locomotiva che irrompe dall’altra parte dello schermo, ideale specchio della produzione Lumière. C’è la lavorazione nella sede della Eos-Film, a Basilea, con tanto di filmato che termina sull’uscita degli impiegati e delle impiegate, altro rimando ai Lumière (ma con una malizia di partecipazione alle riprese che mancava completamente nell’asettica ripresa del reale; dopotutto questo filmato è del 1922, nel cuore delle grandi avanguardie che riscrivono l’immaginario europeo e mondiale). C’è una veduta, statica e plastica, delle cascate del Reno, con i fotogrammi colorati però a mano. C’è un camera car folle, sui binari del tramvai, che prelude alla ricerca di uno sguardo altro, non allineato all’altezza di prammatica. Ci sono Mary Pickford e Douglas Fairbanks in visita nel 1924, e Sergej M. Ėjzenštejn che si ferma nella confederazione nel 1929, in viaggio verso la Germania. C’è un Guglielmo Tell del 1910, con tanto di coro che si esibisce alle spalle dell’eroe mentre questo cerca di centrare, tra mille patimenti, la mela posta sulla testa dell’amato figlioletto.
Ma tre sono i frammenti che rendono davvero prezioso questo programma antologico. Il primo si intitola La Suisse inconnue. La Vallé de Loetschenthal, e l’ha diretto nel 1916 uno dei maggiori pionieri del cinema svizzero, Frederick Burlingham. Viaggio nel cuore della Svizzera meno avanzata, e più lontana dall’idea di progresso e di ricchezza che cercava di rilanciare (per di più in piena Prima Guerra Mondiale), La Suisse inconnue. La Vallé de Loetschenthal porta il pubblico alla scoperta della valle del Loetschenthal, un’area totalmente rurale nel Canton Vallese. Qui lo sguardo di Burlingham vaga tra l’antropologico e il sensazionalistico, riprendendo le abitudini quotidiane della popolazione, ancorate alla tradizione e per niente avvezze alle novità della scienza e della tecnica, quasi come si stesse assistendo a uno dei cosiddetti “mondo movie”; in questo senso acquistano particolare forza le riprese degli abiti tradizionali e lo stupore dei bambini di fronte alla cinepresa.
Il secondo frammento, del 1925, ha come titolo Spazio al progresso – L’ultima carrozza postale del Kiental, e non è null’altro se non un documentario, accurato da un punto di vista formale e con grande attenzione al montaggio, sull’ultimo tragitto compiuto dalla diligenza postale che si inoltrava nella valle del Kiental, nell’Oberland Bernese. L’atmosfera dimessa, l’ambientazione e l’utilizzo di alcune tecniche (non ultimo il passaggio piuttosto frequente da oggettiva a soggettiva) trasformano le riprese in una rilettura, in salsa svizzera, dei codici dell’epica western.
Impossibile non concludere però puntando l’accento su Pour être heureux, cinque minuti di cinema d’animazione che nel 1928 giocano sul registro della commedia borghese nel riprendere quattro amici, con tuba e sigaro, intenti a sparlare delle rispettive mogli di fronte a un boccale di birra. Mogli insoddisfatte, pigre, del tutto disattente ai doveri del maschio lavoratore: sarà un Don Giovanni a indicar loro la retta via, consigliando di fare qualche regaletto alle consorti. Basterà quello a vederle felici. Il regalo è un vestito da massaia, o magari un nuovo mobiletto per la sala da pranzo o la cucina; il corto è infatti lo slogan promozionale per un negozio di casalinghi (e per casalinghe), “À la ménagère”, per di più – come rimarca sibillino l’intratitolo – anche a prezzi ultra-popolari, che non metteranno in difficoltà le tasche dell’uomo. In cinque minuti, al di là di un’animazione piuttosto basica e rozza (ma non priva della deformazione grottesca tipica della presa in giro della borghesia dell’epoca), si può “ammirare” uno studiato lancio pubblicitario, che fa forza sui luoghi comuni dell’epoca. Non poi così distanti da quelli ancora in voga oggi, e non solo in Svizzera…