Intervista a Fruit Chan
Nella sua carriera Fruit Chan è passato dai film a contenuto sociale a opere di genere. Ma nella sua filmografia rimane folgorante il suo primo film di rilievo, Made in Hong Kong, opera gravida di un senso di disperazione, un avvicinarsi a una fine del mondo imminente rappresentata dall’handover di Hong Kong, il passaggio della colonia britannica alla sovranità cinese. Sono passati vent’anni da quel film, scoperto da Marco Müller all’epoca direttore a Locarno e rilanciato nell’edizione 0 del Far East Film Festival. E ora, ancora a Udine, viene celebrato l’autore con il restauro di quell’imprescindibile opera. Abbiamo incontrato Fruit Chan in questa occasione.
Made in Hong Kong parla dell’handover prossimo venturo, ogni scena del film sembra alludere a una fine imminente. Eppure non viene mai citato l’handover direttamente. Il protagonista parla della fine del mondo e alla fine c’è un’allusione a Mao Zedong e all’insegnamento del mandarino, mentre a Hong Kong si parla prevalentemente cantonese. Puoi spiegarmi il significato di quest’ultima citazione?
Fruit Chan: Come ben sai il film parla di questa persona giovane e della sua vita, e non ha un lieto fine, è una specie di tragedia. È un po’ pessimista come visione generale. E a proposito della citazione di Mao, essendo lui un leader comunista vedeva le cose in una luce positiva, perché faceva sempre propaganda. Indipendentemente da quale sia il tuo credo politico o il tuo punto di vista, questa frase comunica un messaggio universale: il futuro appartiene ai giovani, la speranza appartiene alle prossime generazioni. Non ci sono ragioni politiche per cui quella frase è stata messa lì, però eravamo nel 1997, quando Hong Kong stava iniziando una transizione verso una nuova era, un nuovo volto, e il mandarino sarebbe diventata una lingua usata naturalmente, quindi anche averla messa in mandarino è totalmente appropriato.
È vero che hai realizzato Made in Hong Kong mettendo insieme scarti di pellicola recuperati qua e là lavorando in varie produzioni cinematografiche?
Fruit Chan: Sì è vero, ho usato residui scaduti di Agfa e Fuji. Se vedi la versione originale in pellicola, dato che usavo questi stock scaduti di diversa provenienza che erano molto vecchi e di diverso genere, ti accorgi che i colori non erano costanti. Per la versione digitale invece sono state fatte delle correzioni.
Quindi come valuti questo restauro in digitale?
Fruit Chan: Ah, i tempi sono cambiati e ci sono cose buone e cattive in entrambe. Possiamo sempre chiamare la versione originale la “versione classica”, ma la versione digitale permetterà al film di circolare più a lungo, giusto?
Nella scena, ripetuta nel film, del suicidio della ragazza che si lancia da un tetto, campeggia dirimpetto l’immagine di un campanile. Cosa volevi sottolineare con questa simbologia?
Fruit Chan: A Hong Kong molte scuole medie erano finanziate da una qualche organizzazione religiosa. Cristiani, gesuiti o cattolici. Dunque molte delle scuole medie erano amministrate secondo principi religiosi. La posizione di quella chiesa per coincidenza era vicino al mio ufficio, dunque quando guardavo fuori la vedevo. Perciò la vedevo sempre. Inoltre l’immagine della chiesa in qualche modo dà un senso di serietà, solennità. Purtroppo, storicamente Hong Kong ha delle alte statistiche di suicidi, che sono sempre costanti. Ci sono persone che si suicidano per motivi familiari o sentimentali o anche solo perché i loro voti a scuola sono bassi. Con ciò si rifletteva solo molto realisticamente a proposito di quello che succedeva a Hong Kong a quel tempo. Quindi mettere quella immagine nelle riprese crea delle domande negli spettatori, come è successo a te. E questo è un effetto positivo.
Dalla sua finestra di casa, Moon vede un grande complesso residenziale che ricorda molto il Plaza Hollywood che è stato poi al centro del tuo successivo film Hollywood Hong Kong. È ancora, come in quel film, un segno del divario tra ricchi e poveri a Hong Kong?
Fruit Chan: Per fare un film di Hong Kong, ambientato a Hong Kong, queste abitazioni che formano il 50-60% di tutti gli edifici residenziali a Hong Kong, sono praticamente impossibili da evitare. Rappresentano Hong Kong, in particolare in storie come quelle di questo film, ambientate in case popolari, dove il ragazzo vive. Per cui quando il protagonista esce, si vede per forza questo paesaggio di abitazioni della classe lavoratrice, non è il tipo di scenario che avresti dove vivono i ricchi.