My Italy

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My Italy è un film sfilacciato e stralunato, nel quale l’Italia, come entità emotiva più che geografica, è un pretesto per esplorare le mille pieghe dell’arte, della musica, del viaggio, della bellezza, della poesia. In maniera talvolta pretestuosa ma sempre sincera e vitalissima.

Un viaggio senza bussola, alla ricerca dell’arte per l’arte

Un produttore italiano e il suo assistente si aggirano per l’Europa in cerca di fondi per finanziare un progetto cinematografico che racconta la vita e le opere di quattro grandi artisti di arte contemporanea: il polacco Krzysztof Bednarski, il danese Thorsten Kirchhoff, l’americano Mark Kostabi, californiano, e il malesiano H.H Lim, nato in Malesia da genitori cinesi; i quattro artisti, protagonisti della scena dell’arte contemporanea anche nella realtà, sono tutti innamorati dell’Italia e hanno casa a Roma. [sinossi]

Bruno Colella è un animale strano: un artista napoletano poliedrico e dai mille risvolti creativi, differenti e disparati, un autore teatrale e di prosa che non ha mai disdegnato delle collaborazioni illustri con personalità e cantanti di diversa origine ed estrazione. My Italy, lettera d’amore in forma di ronda stralunata al Belpaese ma anche qualcosa di più (e di diverso), tradisce fin dal titolo il desiderio di raccontare l’Italia e le sue risorse, ma lo fa da una prospettiva puntualmente spiazzante e imprendibile: si concentra, infatti, su quattro artisti stranieri che tuttavia risiedono nello stivale da molti anni, delle figure a loro volta aliene nelle quali Colella dà l’idea di rispecchiarsi e confrontarsi a più riprese.

Accennando alle caratterizzazioni biografiche dei singoli personaggi e premendo il pedale dell’acceleratore su elementi onirici e caratterizzazioni sognanti e ovattate, Colella imbastisce un viaggio attraverso l’Italia che sembra non avere davvero confini, perché libero e scriteriato è, sopra ogni altra cosa, l’approccio rapsodico con cui il regista immagina e pensa la griglia narrativa del suo film, privato in maniera solare e liberatoria da ogni esigenza di equilibrio e buona scrittura: è così che dalla Napoli dei travestiti e di Città della Scienza si va al Festival di Spoleto, passando per il sud, con le sue mitiche storie di briganti che hanno lasciato per strada ricordi e fantasmi, e addirittura per il Festival di Cannes (nella fattispecie, il McDonald della Croisette aperto anche nottetempo, come chi bazzica il festival in questi giorni sa bene).

Nonostante il budget ridotto My Italy transita eccome in location sperdute, a conferma che il nucleo dell’identità italiana è solo un punto di partenza per intavolare l’esplorazione di qualcosa di ben più ampio, e si spinge alla Wroclaw del vecchio teatro di avanguardia e perfino a New York, attraversando gli ambienti più creativi, vitali e alla moda del panorama culturale della Grande Mela. Il film di Colella è in fin dei conti un’operazione apolide e di travolgente simpatia, che somiglia moltissimo al suo regista: insegue il tratto buffo e strampalato di Kaurismaki ma senza alcun crudele disincanto maliconico, al quale si sostituisce una sensibilità partenopea rigorosamente frizzante ma non meno stralunata.

Un film bislacco, My Italy, che però, esattamente come l’artista danese Thorsten Kirchhoff che trova spazio nel film, sembra avvezzo a cavar fuori l’inaspettato dall’ovvio, lavorando sull’immaginario dell’arte contemporanea, fulcro al quale fa sempre ritorno, con la sana e sincera voglia di renderlo popolare e fruibile, lontano dagli altari sacrali del concettualismo ma anche dallo snobismo elitario dei cultori e dei collezionisti della materia.
Inanellando partecipazioni amichevoli in numero impressionante (Lina Sastri, Luisa Ranieri, Rocco Papaleo, Piera Degli Esposti, Sebastiano Somma, Alessandro Haber, Nino Frassica, Jerzy Stuhr ed Edoardo Bennato, solo per citarne alcuni) e maneggiando perfino i codici del giallo in forma bozzettistica ed elementare, Colella ha il merito di trasformare l’arte contemporanea in qualcosa di accessibile e alla portata di molti, affidando per altro il ruolo di tessitura narrativa alle spiegazioni sempre preziose e brillanti del grande studioso d’arte Achille Bonito Oliva, sorta di giostraio di questo luna park all’insegna dell’immediatezza priva di seriosità e di un giocosa, sfrontata spensieratezza. Un mondo capovolto in cui è perfettamente plausibile e accettabile perfino che la moglie di un camorrista chieda all’artista polacco Krzysztof Bednarski lo stesso monumento funebre che egli dedicò al grande regista Kiéslowski, suo connazionale, nel cimitero di Varsavia…

Info
Il trailer di My Italy su Youtube.
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