Venezia 2017
La nona edizione della Mostra sotto la direzione di Alberto Barbera, la sesta da quando riottenne l’incarico nel 2012, non fa altro che confermare le linee guida che hanno caratterizzato gli ultimi anni: grande attenzione alle produzioni anglofone, francofone e italiane, che da sole occupano il 70% dell’intero palinsesto di Venezia 2017, e desertificazione sempre maggiore di intere aree di produzione, dall’Asia all’Africa passando per l’Europa orientale. Qualche colpo al cuore, certo, ma la preoccupazione è che quei due termini, Mostra e Internazionale, rischino di diventare anno dopo anno solo degli orpelli.
Certo, Paul Schrader con l’atteso First Reformed, la prima volta in concorso per il quasi novantenne Frederick Wiseman (Ex Libris – The New York Public Library), Hirokazu Kore-eda e Abdellatif Kechiche, Guillermo Del Toro con il tentativo di rinverdire i fasti del cinema di Jack Arnold – il trailer di The Shape of Water è diventato virale nel giro un pugno di ore. Solo per rimanere al concorso di Venezia 2017, ovviamente. Ogni anno, a ogni singola presentazione alla stampa del programma della Mostra, si rincorrono le medesime chiavi di lettura, più o meno incardinate attorno all’eterna domanda: “quali sono i film che mi/ci/vi interessa vedere?”. Una domanda oziosa per una lunga serie di motivi, a partire dal fatto che a oggi, in un luglio così afoso che nessuno a memoria lo ricorda tale, nessuno ha ancora avuto modo di vedere anche uno solo dei titoli selezionati da Alberto Barbera e dai suoi collaboratori. Ecco dunque che non si può far altro che limitarsi al gioco sterile del “ce l’ho/mi manca” o lanciare strali contro il regista mai apprezzato e alzare peana verso i nomi più amati. Schrader, per l’appunto, Wiseman e via discorrendo. Ma questo conta poco. Meglio: dovrebbe contare poco.
In un periodo storico che fa della pura contrapposizione (a tratti ideologica, e nel senso più deteriore del termine) tra fan e pubblici detrattori lo scopo ultimo della critica cinematografica – e sulla crisi intellettuale del settore ci sarebbe bisogno di un approfondimento, e di una maggiore propensione all’autocritica – e ha oramai detronizzato il concetto di analisi favorendo al suo posto lo schieramento duro e puro, magari accompagnato dalla strizzata d’occhio maliziosa via social network, sarebbe utopico attendersi qualcosa di più del puro e semplice like (o anti-like, ça va sans dire) sotto questo o quell’altro titolo… [continua a leggere]