Batch ’81

Batch ’81

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In Venezia Classici è stata presentata la versione restaurata di Batch ’81, misconosciuta ma fondamentale opera di Mike de Leon che racconta un paese, le Filippine, dominate da una mentalità machista e fascista. Un film attuale, anche alla luce della terribile presidenza Duterte.

Confratelli

Sette matricole si sottopongono a dei violenti rituali d’iniziazione per essere ammesse all’interno dell’Alpha Kappa Omega, la miglior confraternita del loro campus universitario, la quale viene messa a dura prova quando sorgono dei conflitti con una confraternita rivale. [sinossi]

Batch ’81 di Mike de Leon è stata una delle presenze più importanti tra i film selezionati all’interno della settantaquattresima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Se non ne avete letto in giro, sia sui quotidiani cartacei che su quelli online, e non vi siete imbattuti in questo titolo nemmeno bazzicando Facebook, Twitter e gli altri social network, non è il caso di stupirsi: presentato all’interno di Venezia Classici, la sezione dedicata ai restauri, Batch ’81 ha ricevuto un’attenzione solo parziale, schiacciato dalla mole dei titoli in concorso e nelle sezioni collaterali, e dalla presenza nella stessa Venezia Classici di opere più note, in grado di solleticare quella nostalgia che in molti associano all’idea di passato. La re-visione, prima ancora della visione. È un peccato, certo, e si aprirebbe con facilità il fianco a una discussione sulla dittatura del contemporaneo rispetto a ciò che si pretende già fruito, passato, andato via, oramai digerito; ma è invece piuttosto il caso di rimarcare il buon lavoro operato dalla Mostra, che ha permesso a cinefili giovani, o forse semplicemente poco attenti all’universo “orientale”, di imbattersi in un’opera monumentale, vero e proprio punto di snodo di un intero mondo, produttivo e culturale. Un’impressione non troppo dissimile la si avvertì lo scorso anno, quando venne invece riproposto The Ondekoza di Tai Kato, sublime immersione in un universo di suoni e rimbombi, sulle orme di un gruppo di musicisti libertari già fuori tempo massimo rispetto al tronitruante incedere della società.
Al di là dello strapotere visivo e dell’incedere tra thriller e paranoia politica che inchioda lo spettatore alla sedia, Batch ’81 è un film che non a caso venne accolto come un’epifania, una liberazione, alla sua uscita nelle sale filippine nel novembre del 1981. Quella che nella mente della produttrice Marichu Maceda – conosciuta dai più come Manay Ichu – , vera e propria veterana del cinema di Manila e dintorni, doveva essere un’incursione nel mondo dei campus universitari, con tanto di bagni in piscina, giovani amori e via discorrendo, si trasformò fin da subito, per volere di Mike de Leon e del suo team di sceneggiatori (Raquel Villavicencio e Clodualdo del Mundo Jr.) in una lettura neanche troppo metaforica di una nazione barbarica, dittatoriale, nelle mani di una legge marziale che tutto annienta e distrugge. Anche la giovinezza, anche il futuro. Una confraternita di sangue con regole ferree e alle quali non si può disobbedire mai. Perché la pena potrebbe essere letale.

È un film di formazione a tutti gli effetti, Batch ’81, con un personaggio che inizia un percorso da neofita e progressivamente si trova a far parte degli ingranaggi del sistema, fino a prendere il posto di coloro che l’avevano preceduto. Perché la ruota continua incessantemente a girare, e ogni stortura può essere replicata all’infinito, basta cambiare i protagonisti. La legge marziale nelle Filippine era in vigore dal settembre del 1972 per volere di Ferdinand Marcos, che la promulgò utilizzando come motivazione il timore di un insorgere delle forze “comuniste”: la legge marziale prevedeva l’arresto di molti oppositori politici (tra cui Benigno Aquino, che fuggì all’estero per poi essere ucciso nel 1983 proprio nel momento del ritorno in patria, all’aeroporto di Manila), la chiusura di giornali e di mezzi di informazione, la chiusura del Congresso e la riduzione della maggior parte dei diritti civili. Il 1981, l’anno precedente alla produzione di Batch ’81, la legge marziale venne fatta decadere, anche per compiacere l’arrivo nella nazione per una visita di Giovanni Paolo II. Una decadenza solo sulla carta, perché il potere restò saldamente nelle mani di Marcos, e l’asfissia per gli oppositori politici non venne meno per qualche altro anno.
Va dunque riconosciuto un merito, oltre a quello strettamente cinematografico ed estetico, a Mike de Leon: la volontà di sfidare apertamente il regime, firmando un’opera fiammeggiante e violenta, che discetta di machismo e fascismo, e lo fa senza rinunciare a nulla sotto il versante del visibile, deve essere apparso come uno schiaffo in faccia al potere istituzionale. Il cinema aveva il diritto di prendere una posizione, e lo fece: Mike de Leon, diversamente dall’approccio di Lino Brocka o di Mario O’Hara (altre due figure fondamentali del cinema filippino dell’epoca), orchestra una sinfonia malsana, il beffardo grido di una crudeltà inaudita, lo sguardo disilluso su una società incancrenita, in cui solo la violenza e la sopraffazione permettono di progredire sulla scala sociale, un passo per volta.

Un film-sarabanda, cupo e dissonante, che immerge nella notte le Filippine, una notte abitata da test a trabocchetto, bevute con i confratelli, vaudeville con fascinazioni naziste (con tanto di scritta Berlin 1931 a dominare un palco su cui si esibiscono, in puro stile cabaret della Germania anni Trenta, gli studenti: e infatti le canzoni vengono proprio dal film di Robert Fosse, e dalla scrittura di John Kander e Fred Ebb), scontri con rivali. Un viaggio di iniziazione completamente insano, permeato di un culto della dominante maschile che evapora in nuvole di brutalità e prepotenza.
Un’opera che squarciò il velo di un’ipocrisia istituzionalizzata, e che con il suo misero ma interessante successo di pubblico avvertì il potere di Marcos: il pensiero esiste. Sotterraneo, ma esiste. La violenza viene sublimata in violenza visiva, introiettata, vomitata in modi che la ricreano, la rivestono di un potere iconico e soprattutto universale. Film prodotto tra mille difficoltà ma vitale, di una freschezza che funge da megafono, Batch ’81 è un recupero essenziale per tutti coloro che sono interessati alla storia del cinema, e alle sue infinite ramificazioni. Un’opera tragicamente attuale, visto e considerato che Duterte, l’attuale presidente delle Filippine, ha reintrodotto la legge marziale: stavolta la scusa sono i miliziani dell’Isis, il comunismo deve essere passato di moda, ma la sostanza non cambia. Oggi, a proseguire l’opera di de Leon, tra gli altri c’è anche ovviamente Lav Diaz, che Batch ’81 l’ha citato in maniera aperta e dichiarata in Batang West Side; perché c’è ancora bisogno di lottare per la democrazia filippina, così fragile e pronta a essere sedotto – o sedata – dal fascino dell’uomo forte, e del fascismo. Opere come Batch ’81 combattono il fascismo a colpi di movimenti di macchina, scelte di campo, illuminazione, montaggio. Opere come Batch ’81 sono il fondamento della rivolta contro i soprusi. E vanno protette.

ps. Batch ’81 segnò l’ultima produzione della Sampaguita Pictures, storica casa filippina istituita nel 1937 e che chiuse i battenti proprio con il film di de Leon.

Info
Il trailer di Batch ’81.
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