L’affido – Una storia di violenza

L’affido – Una storia di violenza

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Presentato in concorso a Venezia 74, L’affido (Jusqu’à la garde, in originale) di Xavier Legrand è un film di realismo sociale sulle violenze domestiche incentrato su una coppia separata, con un figlio piccolo e un padre violento. Storie che succedono purtroppo ogni minuto. Legrand riesce al contempo a raccontare una vicenda universale senza, quasi, scadere in facili sociologismi e a costruire un film di genere che culmina in una scena di grande tensione, tra Shining e Repulsion.

Domestic violence

Miriam e Antoine stanno discutendo davanti a un giudice la causa di divorzio. La donna cerca di ottenere l’affidamento unico del figlio Julien per proteggerlo dal padre che lei denuncia come violento. Ma il giudice decide per una custodia alternata. Ostaggio del crescente conflitto tra i genitori, Julien viene spinto al limite per evitare che accada il peggio… [sinossi]

Ogni giorno XXX donne e XXX minori sono vittime di abusi, percosse in ambito familiare, dietro le mura domestiche. Ci si aspetterebbe una simile scritta sullo schermo a mo’ di esergo o epitaffio per questo film, Jusqu’à la garde di Xavier Legrand, opera di crudo realismo sociale in concorso a Venezia 74, in uscita in Italia con il titolo di L’affido, che affronta una piaga sociale molto diffusa, e costruita con evidente lavoro di documentazione. E invece no.
A parte qualche cliché di banale psicologismo che il regista avrebbe in effetti fatto meglio a evitare – il padre che non comunica con il figlio, e che, nei momenti in cui è affidato a lui, lo trascura passando il tempo lobotomizzato e ipnotizzato davanti al televisore – L’affido riesce a evitare facili scappatoie. Poche cose sono chiare rispetto alla vicenda personale di Miriam e Antoine, rispetto alla loro precisa connotazione sociale, genericamente bassa per tanti aspetti, ai pregressi della loro vita matrimoniale che hanno portato a quella drammatica conclusione. Legrand punta invece alla, pur relativa, astrazione. Un tale tipo di dramma d’altronde è comunissimo in qualsiasi ceto sociale, in Francia, come in Italia e dappertutto.

L’affido funziona anche, effettivamente, come opera di genere nella parte finale, con l’assedio da parte del padre della ex moglie e del figlio che si sono barricati nell’appartamento. Siamo palesemente dalle parti di Shining ma uno Shining normalizzato, realistico dove il Jack Torrance della situazione usa un semplice fucile per abbattere la porta in luogo della sua rinomata ascia.
Dove comincia il film di genere e finisce quello di realismo sociale? Xavier Legrand riesce a tenere il piede in tutte e due le scarpe in modo che le due istanze coesistano e si alimentino reciprocamente. La deflagrazione della tensione conferisce un maggiore impatto alla denuncia sociale, nel rendere l’horror che si annida nel quotidiano. E allo stesso tempo il film di genere aumenta il suo impatto proprio con la consapevolezza di realismo. Non ci sono cose paranormali a sfumare il tutto o possessioni demoniache che rinviino la responsabilità del male. L’affido fa anche più paura di Shining. E Legrand si mostra anche un buon metteur en scène per esempio nel montare la situazione nella scena del concerto nel corso di una festa.

Normalizzato L’affido lo è anche nella fiducia delle istituzioni, nel mostrare l’efficacia dell’intervento della polizia, soprattutto nel ruolo dello zelante e tranquillizzante centralinista e della poliziotta che alla fine si prende carico di madre e figlio stremati dalla paura. Perché no? Una fiducia che tuttavia controbilancia la visione negativa dell’udienza per il divorzio, dove il magistrato decide sbrigativamente per l’affido congiunto, sorvolando sulle prove della violenza del padre.
Ma se un organismo dello stato sbaglia, interviene un altro a porre rimedio. E il lungo prologo iniziale, la discussione all’udienza per il divorzio con i due coniugi con relativi avvocati a fronteggiare il giudice, è reso come davvero estenuante, come accadeva già in CinquePerDue di François Ozon, con la lunga discussione tra le parti. Ma anche questo è funzionale a stordire lo spettatore, a far capire l’estrema difficoltà di soppesare le controparti, di prendere una decisione in merito.
Alla fine l’incubo su Miriam e il figlioletto è finito. Si chiudono due porte come un sipario su questa vicenda. Ma è un sipario strappato, una delle due porta i fori delle pallottole, segno indelebile che i protagonisti si porteranno dietro per tutta la vita.

Info
La scheda de L’affido sul sito di Venezia 2017.
Il trailer italiano de L’affido.
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