Dreams by the Sea

Dreams by the Sea

di

Risaputo coming of age sullo sfondo di una comunità isolana, aderente alle coordinate di un cinema indie ormai traboccante di stereotipi, Dreams by the Sea segna l’anonimo esordio nel lungometraggio del regista danese Sakaris Stórá.

Estate nordica

Nata e cresciuta su un’isola sperduta del Nord Europa, Ester vive la sua vita nella minuscola comunità di cui fa parte, obbedendo ai precetti religiosi dei suoi genitori. Un giorno, la sua coetanea Ragna si trasferisce con la madre e il fratellino sull’isola, facendo scontrare la ragazza col fascino di un diverso stile di vita… [sinossi]

Un po’ dramma adolescenziale, un po’ coming of age con al centro il tema dell’amicizia, un po’ racconto dell’incontro/scontro tra una cultura comunitaria chiusa e autoreferenziale, e una realtà urbana che piomba, “aliena” e imprevedibile, a turbarne la quiete, l’esordio del regista Sakaris Stórá segue in gran parte coordinate ben note.
Incluso nella selezione di Alice nella città, nell’ambito della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, Dreams by the Sea è esattamente il tipo di film che ci si aspetta venga inserito nella sezione indipendente della kermesse romana: a partire dal plot (l’amicizia tra due ragazzine sullo sfondo di una gelida estate di un’imprecisata isola – probabilmente facente parte delle Fær Øer), proseguendo con le scelte estetiche, l’andamento narrativo e i principali snodi di trama. Non ci si discosta, nell’esordio del regista danese, da un format di cinema adolescenziale ormai codificato, anche piuttosto rigido, che qui trova l’unica variante (in sé non disprezzabile, ma utilizzata poco e in maniera discontinua) di un’ambientazione che contrasta con l’immagine mainstream della stagione in cui in film è ambientato. Paletti piuttosto stretti, quelli che il film si autoimpone, all’interno dei quali il regista fa il minimo indispensabile per narrare la sua storia.

Dreams by the Sea segue quasi alla lettera un copione ampiamente sperimentato, introducendo una piccola galleria di personaggi (a partire dalle due protagoniste, per proseguire con le varie figure – familiari e non – che intorno a loro si muovono) il cui ruolo e il cui sviluppo risultano facilmente intuibili, non appena li si vede apparire sullo schermo. L’inquieta protagonista educata in una rigida osservanza religiosa, la ragazzina di città dalla famiglia disfunzionale (madre sbandata e alcolizzata, padre assente, fratellino la cui cura grava unicamente sulle sue spalle), i bulli provenienti da fuori che esibiscono la loro effimera (e innocua) superficialità. Tutto appare come predeterminato, evoluzione dei rispettivi personaggi compresa, incasellato in categorie talmente rigide e prive della duttilità e malleabilità della realtà, da rendere difficile qualsiasi processo di identificazione. La sceneggiatura sceglie consapevolmente di bandire ogni possibile rischio o deviazione, costruendo un racconto di formazione che trova il suo centro nell’emergere della voglia di fuga della giovane Ester, interpretata dall’esordiente Juliett Nattestad (la cui prova difetta decisamente in quanto a gamma espressiva). Nel mezzo, esattamente ciò che ci si aspetta, comprese le esperienze “trasgressive”, le tappe dell’amicizia tra due giovani talmente diverse da risultare perfettamente compatibili, l’incontro col sesso, la separazione e la consapevolezza della chiusura di una stagione (del calendario e della vita).

L’elemento scenografico, tradotto quasi in un non-luogo (un pugno di case in mezzo al nulla, col mare a delimitarne i confini), viene oltretutto usato in funzione meramente esornativa, rivelandosi incapace di andare a comporre insieme ai personaggi il quid del racconto; men che meno di fornire un ritratto di una comunità isolana che mostri un minimo di spessore e credibilità. Le uniche note “antropologiche” che il regista dissemina nel film (al di là delle riunioni ecclesiastiche, e del loro armamentario di liturgie e canti) si riducono al gruppo di amiche della madre della protagonista, che ostentano il loro lavoro all’uncinetto tra un pettegolezzo e l’altro. Non si va più in là del bozzetto grottesco e stereotipato, insomma, bozzetto che trova il suo elemento speculare nella (caricaturale) figura della madre di Ragna. Non è un caso, forse, che laddove lo script inizi a delineare un personaggio potenzialmente più complesso e interessante (quello del padre di Ester), scelga poi di sfumarne i tratti e di sacrificarne lo spazio nella storia, lasciandogli una funzione di mero accessorio narrativo. Parimenti sacrificati appaiono i cenni della sceneggiatura a una riflessione più complessa sul desiderio di fuga, sui suoi contorni e sulla sua necessità di scontrarsi con nuove gabbie e strutture. L’allusione, in un dialogo tra le due protagoniste, al sogno che si chiude con un “recinto alla fine del mondo”, resta al livello di suggestione embrionale, lasciata subito cadere dalla sceneggiatura.

Dreams by the Sea non riesce insomma ad ergersi sulla media di un cinema indipendente dal carattere calligrafico, dall’attenta confezione (la fotografia è decisamente ben curata, mentre l’ambientazione dispiega comunque, seppur nel modo più risaputo, il suo fascino) e dallo svolgimento anonimo. Se la regista possiede personalità e uno sguardo specifico sui temi presi in oggetto dal film, qui non è riuscita adeguatamente a farne mostra. Il suo esordio, dei sogni evocati dal titolo, non trasmette che una lieve (e imprecisata) eco.

Info
Il sito di Alice nella città.
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-1.jpg
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-2.jpg
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-3.jpg
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-4.jpg
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-5.jpg
  • Dreams-by-the-Sea-2017-Sakaris-Stórá-6.jpg

Leave a comment