My Friend Dahmer
di Marc Meyers
Biopic sobrio ed equilibrato, privo di qualsiasi sensazionalismo ma anche scevro da un facile e assolutorio psicologismo, My Friend Dahmer si regge soprattutto sulla notevole prova del suo protagonista, un Ross Lynch al suo primo ruolo importante per il grande schermo. In Alice nella città alla Festa del Cinema di Roma.
I dolori del giovane Dahmer
1978: il giovane Jeffrey Dahmer, cresciuto in una famiglia disfunzionale, con una madre depressa e dipendente da farmaci, vive un’adolescenza solitaria, impiegando il suo tempo in esperimenti su cadaveri di animali rinvenuti per strada. Un giorno, un gruppo di suoi compagni decide di avvicinarsi al giovane, pensando di poter sfruttare la sua fama di soggetto stravagante… [sinossi]
Non è certo la prima volta che la storia del serial killer Jeffrey Dahmer, meglio conosciuto come il mostro di Mikwaukee, viene portata sullo schermo. Già un giovane Jeremy Renner, nel 2002, aveva vestito i panni del noto assassino (17 omicidi al suo attivo, tra il 1978 e il 1991) nel thriller/biopic Dahmer, diretto David Jacobson; mentre un’altra opera di finzione dedicata al killer è stata girata nel 2006 (l’inedito Raising Jeffrey Dahmer, diretto da Rich Ambier), oltre a un certo numero di documentari, equamente divisi tra grande e piccolo schermo.
Coerentemente con una cultura di massa (quella americana) che da sempre nutre di attenzioni e sensazionalismo le gesta dei suoi criminali seriali, trasformandoli sovente in icone pop (l’allegoria di Oliver Stone e del suo Assassini nati, in questo, resta assolutamente valida e attuale), la vicenda di Dahmer è stata più volte messa sotto i riflettori, dal cinema come dagli altri media. Presentato in Alice nella città alla 12esima edizione della Festa del Cinema di Roma, My Friend Dahmer ha però qualcosa di più e di diverso, non soltanto perché si concentra sull’adolescenza del futuro killer, prima che questi iniziasse a compiere le sue gesta; il film di Mark Meyers risale infatti, direttamente, alla fonte dei fatti, traendo spunto dall’omonima graphic novel scritta da John Backderf, compagno di liceo di Dahmer nei tardi anni ‘70.
In questo, resta apprezzabile l’approccio di Meyers (regista indie mossosi, finora, in tutt’altro tipo di territori e atmosfere), teso a evitare qualsiasi sensazionalismo, all’insegna di un’adesione spassionata alle notizie biografiche sul futuro serial killer: il suo Jeffrey Dahmer è un outsider adolescente segnato dall’alienazione e dalle dinamiche di una famiglia disfunzionale, che accumula segni di autentica follia sul volto (e nel comportamento) in modo graduale e quasi impercettibile. Bandita qualsiasi tentazione di trasfigurazione onirica degli eventi, rigidamente attinente alla cronaca minuta della vita del giovane, My Friend Dahmer rivela così un approccio più vicino a quello del teen drama (seppur sui generis) piuttosto che a quello prettamente thriller, mettendo in evidenza il “terreno” cresciuto attorno al futuro assassino, quello che ha coltivato e rinforzato i semi della sua personalità disturbata.
Lontano dalla morbosa, voyeuristica curiosità di molti analoghi prodotti, ma anche dalla tentazione di uno psicologismo fittizio e assolutorio, il film di Meyers si limita a riportare i fatti, fornendo un efficace e funzionale ritratto del contesto (scolastico, familiare, amicale) in cui il giovane protagonista si muove. Contesto, quest’ultimo, che evita (ed è un bene) di legare semplicisticamente le pulsioni di Dahmer ai fenomeni di bullismo e discriminazione da lui subiti, che pur presenti, trovano qui una rappresentazione equilibrata e realistica.
Nell’approccio, così insolitamente sobrio, che il film mostra verso il soggetto, molto viene demandato alla prova del protagonista Ross Lynch, cantante e teen idol, qui al suo primo ruolo di un certo rilievo per il grande schermo. Noto, come attore, soprattutto per la sitcom Disney Austin & Ally, Lynch offre qui un sorprendente e mimetico ritratto dell’adolescente Dahmer, lavorando al meglio sulla postura corporea e la mimica facciale, restituendo tutta la complessità di un carattere alienato, nelle movenze come in ogni minima variazione della gamma espressiva. Attento a tenere a bada un istrionismo che pure avrebbe potuto permettersi (specie nelle sequenze più esplicite) il giovane protagonista trova la giusta chiave di volta per approcciarsi al soggetto, offrendo una prova in perfetto equilibrio tra la spinta all’adesione empatica e la repulsione per le già evidenti tendenze antisociali del personaggio. Una prova, la sua, che trova il giusto complemento in un ritratto d’ambiente credibile ed equilibrato, che ben caratterizza la morsa rappresentata dal misto di solitudine, mancata empatia, disagio sociale e mentale, che lentamente si stringe attorno al protagonista. Senza risultare emotivamente troppo esplicito o ricattatorio, il film mostra chiaramente questa qualità in alcune singole, riuscite sequenze, quale quella delle convulsioni simulate all’interno del centro commerciale (sequenza chiave per i successivi sviluppi della trama).
Resta, tuttavia, legittimo domandarsi cosa sarebbe stato di un’opera come My Friend Dahmer senza il traino rappresentato dalla notevole prova del protagonista. Nella sua sobrietà e nel suo rigore, in una scrittura così attenta ed equilibrata (anche alla delineazione del contesto: la fine degli anni ‘70, come l’inizio di quel disimpegno che culminerà poi nel decennio successivo, si colgono con chiarezza tra le pieghe del racconto), il film di Mark Meyers è registicamente poco incisivo, privo di spunti personali, rigidamente ancorato a un cronachismo preciso quanto anonimo. L
La strada della sobrietà viene percorsa dal film, in modo coerente, per tutta la sua durata: ma un qualche “scarto” verso l’anticipazione di quelli che (è noto) saranno i successivi sviluppi del personaggio, verso quella gigantesca frazione di racconto lasciata fuori campo dopo i titoli di coda, era probabilmente possibile, pur senza tradire il rigore alla base del film. Per questo, quello di Meyers resta un approccio apprezzabile e poco convenzionale a un soggetto per sua natura scabroso e spigoloso, che però pecca di scarso coraggio nel non coglierne appieno (prendendosi anche i suoi rischi) tutte le potenzialità.
Info
La scheda di My Friend Dahmer sul sito della Festa del Cinema di Roma.
Il trailer di My Friend Dahmer su Youtube.
- Genere: drammatico, horror, storico, thriller
- Titolo originale: My Friend Dahmer
- Paese/Anno: USA | 2017
- Regia: Marc Meyers
- Sceneggiatura: Derf Backderf, Marc Meyers
- Fotografia: Daniel Katz
- Montaggio: Jamie Kirkpatrick
- Interpreti: Alex Wolff, Anne Heche, Cameron McKendry, Carmen Gangale, Christopher Mele, Dallas Roberts, Dave Sorboro, David Vegh, Dylan Keith Adams, Gary Lee Vincent, Harrison Holzer, Katie Stottlemire, Liam Koeth, Miles Robbins, Ross Lynch, Sydney Jane Meyer, Tom Luce, Tommy Nelson, Vincent Kartheiser, Zachary Davis Brown
- Colonna sonora: Andrew Hollander
- Produzione: Aperture Entertainment, Attic Light Films, Ibid Filmworks
- Durata: 107'
