Black Panther

Black Panther

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Sovrabbondanza di pixel, paesaggi mozzafiato e cast altisonante per il supereroe creato nel 1966 da Stan Lee e Jack Kirby. Accolto trionfalmente in patria, Black Panther non si discosta dai consueti valori produttivi, narrativi ed estetici del Marvel Cinematic Universe, nonostante le utopie del Regno di Wakanda, il Black Power e la colata di buoni sentimenti e propositi. Asgard e la Galassia sono distanti. Zamunda un po’ meno.

Eusébio da Silva Ferreira

T’Challa torna nell’isolata e tecnologicamente avanzata nazione africana del Wakanda dopo la morte di suo padre, il re del Wakanda, per succedergli al trono e prendere il suo posto come legittimo sovrano. Ma quando un vecchio e potente nemico farà ritorno, il suo ruolo di re e la sua identità di Black Panther verranno messe alla prova e T’Challa sarà trascinato in un tremendo conflitto che metterà a rischio il destino del Wakanda e di tutto il mondo. Costretto ad affrontare tradimenti e pericoli, il giovane re dovrà radunare i suoi alleati e scatenare tutto il potere di Black Panther per sconfiggere i suoi nemici, mantenere il Wakanda al sicuro e preservare lo stile di vita del suo popolo… [sinossi]

Direttamente o indirettamente, Black Panther si muove in varie direzioni, ci indica nuovi sentieri e percorsi. Alcuni già battuti. Prendiamo, ad esempio, una serie di punti in comune con Wonder Woman, pellicola della rivale di sempre DC Comics che è stata frettolosamente salutata come una sorta di manifesto femminista. Girl Power e tutto quel che segue. Il film della Marvel cavalca un altro potere, quello nero, mettendo in scena un cinecomic (un blockbuster!) che pochi anni addietro sarebbe stato impensabile, impossibile, irrealizzabile. Anzi, realizzabile, ma un probabile fiasco al botteghino – la mente torna al progetto mai andato in porto di Wesley Snipes, che forse avrebbe dato vita a una pantera nera meno politically correct.

Sono proprio le pastoie del politicamente corretto a dettare le traiettorie narrative e produttive di questo cinecomic, così assetato di spettatori, linfa vitale di progetti faraonici in cerca di entrate sicure – non dissimile, in questo senso, la superflua sortita in Corea del Sud (quindi, più in generale, in Asia), specchietto per le numerosissime allodole di un mercato in continua espansione.
Traiettorie che riecheggiano flebilmente l’indipendenza africana e i movimenti degli anni Sessanta, quando le suggestioni kennedyane venivano superate di gran carriera dalle idee, dalle parole e dalle azioni di Martin Luther King e Malcolm X. Riflessi opachi che ritroviamo nello scontro fratricida tra il buono T’Challa e il cattivo Erik Killmonger, attori di una messa in scena depotenziata – politicamente, culturalmente, umanamente – del dualismo Martin Luther King/Malcolm X. La rabbia, il rancore e la sete di sangue sono all’acqua di rose. Come la consapevolezza e tutto quel che dovrebbe seguire.
Si resta in superficie. Anche visivamente. Anche nelle scelte coreografiche, nella messa in scena degli scontri fisici, di quella lotta che non è mai realmente e liberamente ferina, tribale. La rabbia è mitigata dalle strizzatine d’occhio, dalle immancabili gag, da quell’eterno ritorno al family friendly. Anche quando non sarebbe proprio il caso.

Le blande parentesi sulle risorse naturali ed economiche, sullo sviluppo tecnologico negato e sulla guida dell’Africa hanno lo stesso peso specifico di questa sorta di CIA delle favole, coi siparietti prima comici e poi eroici serviti su un piatto d’argento (o era vibranio?) all’agente Everett K. Ross – Martin Freeman, nato per essere sempre e comunque bravo. Il mercato globale è anche trasversale e allora bisogna sedurre e conquistare zone geografiche, rendere malleabili target, diventare bandiera che sventola sui ponti col vento in poppa. È tempo di modulare le scelte estetiche, narrative, di casting e di location sulla scia degli hashtag, magari proprio #BlackLivesMatter. Nulla di nuovo, ma portato avanti con rigore marziale e con un perfetto mix di politicamente corretto e cinismo imprenditoriale.
Come detto, nuovi sentieri e percorsi. Alcuni già battuti. Come il sentiero delle valutazioni iperboliche che arrivano dalla terra dell’abbondanza. Abbondanza di voti. Abbondanza di sensi di colpa? Potremmo tornare a Wonder Woman e ai peana per Gal Gadot, ma andiamo oltre.

Godibile e altrettanto prevedibile, sorretto da un apparato grafico a tratti mirabolante, Black Panther ricalca alcune dinamiche di Thor: Ragnarok, dai rapporti padre/figlio al legame con il luogo natio, con la patria (Wakanda) o con l’idea di patria, di popolo e non di luogo (Asgard). La Marvel cerca e trova luoghi altri, dalla galassia alle dimensioni plasmate dal Signore delle Arti Mistiche, da Asgard e Wakanda, in attesa dei fuochi d’artificio di Avengers: Infinity War. Però l’impresione, tra suggestioni shakespeariane filtrate da Il re leone e parabole sportivo/tribali à la Rocky III, è di trovarsi non troppo lontani dai confini di Zamunda e dai tamburi di Hakuna Matata.

La sete marveliana di nuovi personaggi, di nuovi supereroi e (soprattutto) di gruppi di supereroi, possibilmente declinabili a seconda della aree geografiche e dei gruppi di riferimento, è la cartina tornasole dell’eccessiva e frettolosa espansione del Marvel Cinematic Universe, coraggioso anche se sbalestrato quando decide di mutare pelle a Thor e Hulk (Thor: Ragnarok) e così platealmente ligio al dovere del politicamente corretto quando deve mettere piede nel regno di T’Challa. Sarà colpa dei grandi poteri e delle grandi responsabilità?

Alla fine, a farne le spese è il (primo) cinema di Ryan Coogler. Ne restano poche tracce, automatismi svuotati di senso: la periferia, la strada e la comunità nera di Fruitvale Station si sono trasformate nel blockbuster marveliano in cliché spendibili in questa era dominata dagli hashtag. Una parabola discendente, rapidamente discendente: dal 2013 di Fruitvale Station al 2018 di Black Panther, passando per Creed (2015), già scricchiolante. Anche sul piano della messa in scena, in primis le sequenza d’azione, il Marvel Cinematic Universe non sembra il terreno più adatto per il giovane regista e sceneggiatore di Oakland – un cerchio che non si chiude, nonostante il Black Panther Party for Self-Defence, il 1966, la stessa Oakland, al tempo culla del potere nero e di un roboante spirito rivoluzionario.

Forse non tutti sanno che…
Le pantere del Wakanda hanno boicottato la Coppa del Mondo del 1966.
Info
Il trailer italiano di Black Panther.
Una clip tratta da Black Panther.
Il sito ufficiale di Black Panther.
Black Panther su facebook.
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