Omicidio al Cairo
di Tarik Saleh
Con Omicidio al Cairo il regista svedese di origine egiziana Tarik Saleh tira le fila non solo di un noir claustrofobico e ben orchestrato, ma anche di una riflessione sulla cosiddetta Primavera Araba, sulle sue illusioni e sui destini di una nazione oramai lontana anni luce dalla sua indubbia bellezza monumentale.
Illusione di una primavera
A pochi giorni dalla rivolta che porterà alla deposizione Hosni Mubarak, una cantante viene assassinata nel lussuoso hotel Nile Hilton del Cairo. Una giovane donna delle pulizie, l’immigrata sudanese Salwa, vede l’omicida e scappa. Il poliziotto Noredin Mostafa inizia a indagare sul caso… [sinossi]
Omicidio al Cairo di Tarik Saleh è un eccellente noir che riflette amare considerazioni politiche. Il regista svedese di origine egiziana – eclettico autore del film di animazione Metropia, di due documentari con Erik Gandini, Gitmo e Sacrificio, ma pure ex writer e collaboratore video per la cantante pop Lykke Li – si è ispirato a un caso di cronaca del 2008, avvenuto a Dubai, inserendolo nel contesto immediatamente precedente la “primavera” di piazza Tarhir. Colpiscono molto positivamente sia la sceneggiatura dello stesso Saleh che la messa in scena elegante e perfettamente coerente con il senso della narrazione. Il regista utilizza alcuni consolidati stilemi del genere per raccontare una realtà di corruzione assoluta, sistemica, in cui la giustizia non esiste, nulla avviene senza la supervisione di qualche potere e tutto ciò che sfugge al controllo è ricompreso in men che non si dica. Il protagonista Noredin (Fares Fares, Zero Dark Thirty, Safe House, La comune) è un poliziotto cinico e marcio, ben adattato al sistema, che richiama alla memoria tanti suo “colleghi” del cinema e della letteratura americani: sigaretta perennemente accesa, arrogante con i deboli e accomodante con i forti, pronto a intascare mazzette, il poliziotto compie una traiettoria non sempre lineare, in conflitto tra la seduzione del potere e la “dignità” richiamata in una scena da suo padre, per distaccarsi dalle proprie abitudini e prendere pienamente coscienza della realtà.
In questa traiettoria fatta di passi falsi, né lui né lo spettatore hanno una visione coerente e completa fino alla fine. Saleh, e noi con lui, muove il suo sguardo in spazi chiusi, con scarsa o nulla percezione d’insieme, cui fanno spesso da contraltare scene in macchina che regalano squarci di una città magmatica, abnorme, totalmente frammentata, impossibile da decrittare. Esistono, decodificabili, solo ambienti singoli come le abitazioni (quella del protagonista, la topaia dove vivono gli immigrati, la residenza di lusso del parlamentare coinvolto nell’omicidio), le stanze negli uffici della polizia, il club dove la cantante morta si esibiva, che hanno regole proprie e producono realtà dissociate, così come i quartieri definiscono mondi inconciliabili tra loro, che non si possono intersecare e sono pensati per non incontrarsi mai. Molti movimenti si svolgono in corridoi e cunicoli dove la macchina da presa pedina Noradin o nega la possibilità di una conoscenza organica. In questa accezione centratissimo è il percorso visivo che, in una scena, ci porta dal sottopassaggio dove la testimone del delitto (l’immigrata sudanese Salwa) ha trovato riparo, fino alla strada e poi ancora fino a un terrazzo da cui il protagonista osserva il brulicare della città: dal basso verso l’alto, in una stratificazione in cui tutto è a portata di sguardo ma resta nascosto, segreto, e nulla è veramente visibile. La frammentazione e la parzialità del vedere sono ripresi efficacemente anche nell’uso degli specchi – dietro i quali misteriosi malviventi scattano foto, nel cui riflesso si possono avvistare delitti, mentre è proprio davanti allo specchio che viene inquadrato per la prima volta Noredin – e dall’uso dei carrelli per le vie del Cairo, che fanno emergere scorci destinati a essere attraversati ma non compresi. Verso la chiusura c’è un campo lunghissimo ma su uno spazio desertico, e solo nel bellissimo finale un dolly si spalanca sulla folla dei manifestanti mentre su di un palazzo l’immagine di Mubarak viene cancellata. Le luci sono fredde, come i neon della Centrale o delle case povere, e via via che la storia trova il suo percorso la notte prende il sopravvento con toni glaciali di grigio e blu. Anche la città di giorno è opaca, sa di polvere e di smog, e i colori sono molto attenuati.
È grazie a queste precise scelte stilistiche che Saleh in Omicidio al Cairo riesce a far emergere anche espressivamente la trama più profonda del racconto. Che certamente riguarda i destini del suo protagonista (e si concentra su un Egitto lontano anni luce dalle indubbie bellezze monumentali), ma più ambiziosamente riguarda i destini di una rivoluzione nata per essere ricompresa in fretta dai meccanismi più ferali della lotta tra poteri, in uno Stato che, pare suggerire il film, è strutturato per non cambiare mai. I prodromi della rivolta egiziana puntellano ovviamente l’intero racconto, che si ferma il 25 gennaio 2011, il giorno in cui migliaia di persone scesero nelle strade del Cairo per chiedere riforme al governo. Come Noradin, chi era animato da un desiderio autentico di libertà e di giustizia è destinato a essere intrappolato ancora una volta. E come Noradin (la cui televisione, che propagandisticamente decanta le lodi di un Egitto in crescita, è sempre mal funzionante), anche noi europei, che guardavamo quegli eventi attraverso lo specchio dell’informazione, abbiamo avuto una percezione parziale e monca. Da Mubarak non si poteva che arrivare ad al-Sisi, sembra dire Saleh, e solo la miopia ci ha illuso.
Come ha illuso Noredin, che per un attimo ha creduto di guidare delle “vere indagini”. Ma non esistono vere indagini, vere rivolte, vera giustizia, in un luogo in cui anche un caso di omicidio è terreno di ricatti e dove la morte non è mai solo quel che sembra. Intelligente, infine, il ruolo assegnato alla testimone del delitto, una “clandestina” fuggita dal proprio Paese, che cerca di imparare l’inglese per andarsene (come anche il giovane collega del protagonista, un poliziotto ancora ingenuo che guarda all’Europa come meta esistenziale), completamente sola e che, proprio perché al di fuori di ogni ingranaggio, compirà l’unico atto netto e definitivo della vicenda. Vincitore del Premo della Giuria come miglior film straniero al Sundance 2017, Omicidio al Cairo è uno di quei film in cui il godibile intreccio serve a leggere una vicenda più grande e vasta, perché ne coglie efficacemente la struttura. Impossibile non pensare a Giulio Regeni, rapito proprio il 25 gennaio 2016, la cui morte resta un caso angosciosamente irrisolto, avvolto da omertà e menzogne.
Info
Il trailer di Omicidio al Cairo.
- Genere: drammatico, noir, poliziesco
- Titolo originale: The Nile Hilton Incident
- Paese/Anno: Danimarca, Francia, Germania, Svezia | 2017
- Regia: Tarik Saleh
- Sceneggiatura: Tarik Saleh
- Fotografia: Pierre Aïm
- Montaggio: Theis Schmidt
- Interpreti: Abdelaziz Hajji Hassan Guennouni, Abdelhak Belamjahd, Abdellatif Bennani Abdellatif Ward, Abderrahmane Medkour, Abderrahmane Oubihem, Adil Ammor, Ahmed Abdelhamid Hefny, Ahmed Khairy, Ahmed Messaoudi, Ahmed Selim, Ashraf Tolba, Azzedine Riyad, Brahim Khay, Chouaib Bakkal, Elizabeth Arjok, Emad Ghoniem, Fares Fares, Fatah Sail, Ger Duany, Hachem Oubaida, Hamid Lahwad, Hamid Zouak, Hania Amar, Hiba El Mekki, Hicham Belaoudi, Hichem Yacoubi, Ibrahim Salah, Imane Yakine, Insaaf Ben Asker, Khaled Abdelhamed, Laila Kadiri, Margret Malual, Mari Malek, Mohamed Abdouni, Mohamed Bekoury, Mohamed Kafi, Mohamed Sanaaeldin Shafie, Mohamed Yousry, Mourad Hmimi, Nabil Zaari, Nael Ali, Rebecca Simonsson, Said Zitouni, Slimane Dazi, Taher Badr, Tareq Abdalla, Yasser Ali Maher, Yassine Benhamida, Zoubir Amimi
- Colonna sonora: Krister Linder
- Produzione: Atmo Production, Chimney, Copenhagen Film Fund, Film i Väst, Kasbah-Film Tanger, Nordsvensk Filmunderhallning, Ostlicht Filmproduktion, Sveriges Television
- Distribuzione: Movies Inspired
- Durata: 106'
- Data di uscita: 22/02/2018

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