Festival di Cannes 2018 – Presentazione
Al via il Festival di Cannes 2018, tra polemiche, strani divieti, lo spauracchio delle molestie (in sala?), incontri/scontri tra la stampa e Thierry Frémaux e fluviali lettere dell’ultimo momento agli accreditati. E i film? Si parte con Todos lo saben di Asghar Farhadi, per poi dividersi nei mille rivoli della sezioni ufficiali (Compétition, Un Certain Regard, Hors Compétition, Séances spéciales, Séances de minuit) e delle sezioni parallele, spesso più fertili e intriganti (Quinzaine des Réalisateurs, Semaine de la Critique, ACID). Senza dimenticare le certezze di Cannes Classics e Cinéma de la plage. Tanto, tutto, troppo.
Da dove partire? Il Festival di Cannes 2018 sembra un’edizione diversa dalle precedenti, nonostante quel filo rosso che da anni lega alla Croisette nomi ricorrenti, molto glamour, a volte un po’ fiacchi. Insomma, difficile aspettarsi una pioggia di sorprese da Thierry Frémaux e i suoi collaboratori: Cannes si autoalimenta innalzando autori, ponendosi in cima alla vetta, puntando su una visibilità da copertina. Le novità, semmai, vanno cercate tra Quinzaine, Semaine e ACID – e un po’ Un Certain Regard. Tutte cose che già sappiamo. Quindi cosa è cambiato?
A bocce ancora ferme, il cambiamento potremmo chiamarlo confusione. O indecisione. L’iniziale indecisione con Netflix, poi tramutata in esclusione, figlia di un sistema distributivo/protettivo che indubbiamente funziona. La confusione generata dalla querelle selfie (…), dal cambiamento significativo delle proiezioni stampa, dalle conferenze stampa spalmate forse troppo più in là rispetto alla prima proiezione. Forse. Volendola guardare da diverse angolazioni professionali, la ristrutturazione del calendario delle proiezioni stampa potrebbe essere un problema per i quotidianisti e una lieta novella per il resto del mondo. Forse. Vedremo. In fin dei conti, al mondo interessa poco…
Potremmo aprire un’ampia parentesi sulla questione molestie e sul nuovo numero telefonico attivato per far fronte a eventuali spiacevolissimi incidenti. E potremmo (ri)aprire, per restare in tema, il discorso Polanski/Academy. Potremmo. E invece guardiamo un po’ ai film, a quello che dovrebbe sempre essere il cuore pulsante di un festival. Proviamo a snocciolare alcuni titoli: Burning di Lee Chang-dong, Dogman di Matteo Garrone, Le livre d’image di Jean-Luc Godard, Asako I & II di Ryūsuke Hamaguchi, Les Éternels di Jia Zhangke, Under the Silver Lake di David Robert Mitchell, Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, The House that Jack Built di Lars von Trier, The Man Who Killed Don Quixote di Terry Gilliam, Dead Souls di Wang Bing, Donbass di Sergei Loznitsa, Chuva é cantoria na aldeia dos mortos di João Salaviza e Renée Nader Messora, Leave No Trace di Debra Granik, Mandy di Panos Cosmatos, Mirai di Mamoru Hosoda, Chris the Swiss di Anja Kofmel, Wildlife di Paul Dano, Woman at War di Benedikt Erlingsson, Cassandro the Exotico! di Marie Losier… dal Concorso, passando per la Quinzaine, fino alla crescente ACID. Alcuni scontati, altri meno. Ma è giusto una piccola parte di una fiumana dalle dimensioni non umane, una selezione che spesso stritola film inattesi, magari bellissimi. Cannes funziona così, come tanti troppi altri festival.
In questo turbinio di titoli verrebbe voglia di scappare via e rifugiarsi nel cinema d’antan, tra Cannes Classics e Cinéma de la plage. Lontani dal glamour, dai selfie, dalla scrittura e pubblicazione a rotta di collo. Un’immersione tra classici abnormi (2001: Odissea nello spazio e Il settimo sigillo, tanto per citarne due) e restauri più recenti e sfiziosi come Grease, presentato davanti al mare proprio da Travolta. Una serata evento a ritmo di musica, coccolati dalle onde e dalla copertina per arginare l’umidità. Altri ritmi rispetto al Palais, alla brulicante Croisette, al mastodontico Marché.