Petra

Con Petra, presentato alla Quinzaine des réalisateurs, il catalano Jaime Rosales dirige una sorta di racconto morale alla Rohmer, girandolo però come se fosse Haneke. Il risultato è maldestro e sin troppo ambiguo nei confronti della storia che vorrebbe – o forse non vorrebbe – raccontarci.

Il raggio nebuloso

Petra non sa chi è suo padre. Alla morte di sua madre, si lancia in una ricerca che porta a Jaume, un celebre artista, potente e senza pietà. Sul suo cammino per conoscere la verità, Petra si innamora di Lucas, figlio di Jaume, che intrattiene pessimi rapporti con suo padre. [sinossi]

Il catalano Jaime Rosales è un habitué qui sulla Croisette, particolarmente legato alla Quinzaine des réalisateurs, dove per l’appunto ha presentato quest’anno il suo sesto lungometraggio da regista, Petra. È dunque uno di quegli autori coltivati e coccolati dal festival, come ad esempio l’ungherese Kornél Mundruczó, i cui film vengono selezionati nelle sezioni collaterali in attesa di fare un bel giorno il gran salto nel concorso ufficiale. Cosa che è accaduta puntualmente a Mundruczó lo scorso anno (con il pessimo Jupiter’s Moon), e che forse toccherà anche a Rosales in futuro. Eppure questa pratica, se da un lato porta innegabilmente a dei vantaggi – quando l’autore sarà cresciuto non potrà che scegliere Cannes – dall’altro rischia di indurre a una fedeltà cieca e a una sorta di dorata placenta in cui questi registi si formano, finendo probabilmente per non crescere mai. Rosales, in particolare, sembra avere un gran talento da metteur en scène, mentre al contrario non pare avere molto chiaro – oppure, non ha intenzione di precisarlo con cura – quel che ci vuole dire.
In tal senso, Petra – per come è costruito e per come si sviluppa – appare paradigmatico: della vicenda che riguarda la protagonista, e cioè la sua ricerca della figura paterna, Rosales si disinteressa, prima in maniera accennata e poi – man mano che il film prosegue – in modo sempre più palese, fino agli eccessi di grottesco di tutta la parte finale.

In Petra è come se su una storia campestre in odore di racconto morale rohmeriano si fosse messo dietro la macchina da presa il sulfureo sguardo di Haneke. L’operazione perciò è interessante, ma schizofrenica ed è priva della personalità necessaria per maneggiare con cura tutti i rischi cui si può incorrere. La camera di Rosales si muove infatti fluida di fronte e di lato ai suoi personaggi, insistendo con precisione e con coerenza su mini-long-take che si chiudono quasi sempre su nature morte o paesaggi privi di figure umane. Ma quel che all’inizio potrebbe suggerire una buona serie di chiavi di lettura – aderenza al paesaggio, condizionamento dei personaggi nei confronti del contesto in cui si trovano a vivere, finzione della vita campestre nel mondo contemporaneo – si rivela semplicemente essere uno sguardo volutamente distante rispetto a ciò che si racconta, uno stare in cattedra a giudicare i personaggi e le loro risibili viltà.

D’altronde anche la riflessione sull’arte – e dunque sul cinema – si rivela ben presto pretestuosa: Petra dipinge e incontra il rinomato pittore Jaume, che crede essere suo padre; questi è convinto che l’arte sia finzione e ottenimento di soddisfazione economica – anche se non lo dice mai – mentre lei ingenuamente riflette affermando che lo scopo della sua pratica artistica è raggiungere la verità, di qualsiasi tipo essa sia. Ovviamente, in modo neppure troppo sottile, Rosales ci sta parlando di se stesso e del film che stiamo vedendo, in un incastro tra verità e finzione: non a caso, Petra è strutturato in capitoli disordinati (prima il secondo, poi dopo parecchio il primo, per poi addirittura tornare indietro nel pre-finale, come se fosse Pulp Fiction), occhieggiando dunque persino al surrealismo buñueliano. Ma, oltre a preparare maldestramente il terreno per le scomposte rivelazioni della seconda parte, questo spunto non diventa mai discorso e si limita a caratterizzarsi semplicemente come boutade. Ed è un peccato, perché un inquieto senso del vivere e un’opprimente e inquietante atmosfera Rosales le sa descrivere perfettamente. Solo che poi butta tutto via, mal consigliato dal suo narcisismo, che non può che finire per indispettire lo spettatore.

Info
La scheda di Petra sul sito della Quinzaine.
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