La donna elettrica

La donna elettrica

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Una galleria di personaggi grotteschi eppure umanissimi, cieli e volti battuti dal vento, tante pecore ad animare il paesaggio: torna la comicità surreale dell’islandese Benedikt Erlingsson con La donna elettrica. Alla Semaine.

Terra e libertà

Halla, una donna sulla cinquantina, dichiara guerra all’industria locale dell’alluminio, che sta devastando il suo paese. Si fa carico di tutti i rischi per proteggere le Alte Terre d’Islanda…ma la situazione potrebbe cambiare con l’arrivo inatteso di una piccola orfanella nella sua vita… [sinossi]

A cinque anni di distanza dal debutto con il sorprendente (e spassosissimo) Storie di cavalli e di uomini l’attore (era in Il grande capo di Von Trier) e regista islandese Benedikt Erlingsson prosegue la sua indagine su vizi e virtù, bizzarrie e ruvido sentimentalismo dei propri conterranei con La donna elettrica.
Presentato alla Semaine de la critique di Cannes 2018, La donna elettrica è al tempo stesso una commedia, un musical, un film d’avventura, arricchito da quei guizzi di sapida genialità grottesca che Erlingsson aveva già avuto modo di esibire nel film precedente. A differenza di Storie di cavalli e di uomini – sorta di raccolta di novelle su personaggi insoliti visti dall’occhio attonito dei loro cavalli – La donna elettrica segue principalmente un unico flusso narrativo, per raccontarci di una donna, Halla (Halldóra Geirharðsdóttir), che lotta contro la locale fabbrica di alluminio con veri e propri atti di sabotaggio, armata di arco, frecce, cesoie e quant’altro. Il tutto per difendere la sua terra e il relativo ecosistema. L’arrivo imminente di un’orfanella ucraina, da lei richiesta in adozione, metterà però un po’ in crisi il suo spirito indomito e ribelle. Ma non troppo.
Ad affiancare la nostra eroina ci pensano poi la sorella gemella maestra di yoga (incarnata dalla stessa Halldóra Geirharðsdóttir), una talpa nella polizia locale e un (forse) lontano cugino corpulento. Tutt’intorno regna immoto, e talvolta anche complice, il paesaggio, che fa quasi da contraltare al dinamismo della protagonista, specie in una lunga sequenza action che la vede impegnata in un rocambolesco sabotaggio con annessa fuga da droni (esilarante la cattura la soppressione di uno di questi “rapaci” tecnologici) ed elicotteri della polizia.

Centrale è poi ne La donna elettrica il ruolo della musica, che Erlingsson ha diegetizzato con brillanti trovate. Scorgiamo spesso infatti tre musicisti posizionati sullo sfondo di varie sequenze, intenti ciascuno a suonare il suo strumento (un trombone, delle percussioni, un piano, a volte una fisarmonica) e a commentare dunque con intermezzi musicali, quasi fossero una sorta di “coro” da tragedia greca, gli eventi in corso. Sempre tre sono poi le cantanti ucraine in abiti tradizionali sempre pronte a intonare dei canti che svolgono ancora più apertamente un ruolo “morale” all’interno della storia, dal momento che stanno lì a rammentare ad Halla quanto le sue incursioni da eco-terrorista rischino di allontanare, per ovvie ragioni di legalità, il suo sogno di adozione della piccola orfanella. Infine, anche la nostra protagonista ha un attivo ruolo di stampo musicale, dal momento che dirige il coro cittadino ed è poi proprio tra i cantanti che si mimetizza la sua “talpa”.

Erlingsson si fa inoltre burla di quella che probabilmente è una novità inaudita per il cittadino islandese, dati gli ampi spazi naturali a disposizione e la ridotta pressione demografica, ovvero l’ossessione del cittadino occidentale contemporaneo di essere oggetto di controllo, da satelliti spia, telecamere a circuito chiuso, droni e così via, ossessione che accompagna qui buona parte dei personaggi diventando oggetto si gustose gag.
Il regista di Storie di cavalli e di uomini si cimenta inoltre anche con l’autocitazione, facendo tornare il personaggio del turista argentino (Juan Camillo Roman Estrada) qui bersagliato, per via della sua evidente estraneità al contesto, dai numerosi controlli della polizia locale, mentre nella sequenza in cui Halla si salva nascondendosi sotto il vello di una pecora morta, oltre che ad una scena gemella del film precedente (lì era un cavallo a prestare la sua carcassa quale salvifico rifugio) viene alla mente lo stratagemma omerico di Ulisse.

Divertente e divertita, La donna elettrica è una commedia che riesce a fare di un impianto narratologico tutto sommato classico, che comprende le due contrastanti missioni della protagonista (quella ecologista e quella materna), i suoi aiutanti (sorella, talpa, cugino e paesaggio), i suoi acerrimi oppositori (la tecnologia, prevalentemente), un’elaborazione dettata da uno humour tutto islandese, oscillante tra il fiabesco e il crudele. Sostenuto da un’immaginazione sfrenata e perfettamente in grado, come dimostra questo suo secondo film, di squadernare numerosissime variazioni sul tema del paesaggio e di chi lo abita, Benedikt Erlingsson si conferma dunque un talento prezioso per chi ama ogni tanto concedersi qualche ghignata intelligente, scatenata da una satira graffiante, condita del giusto quantitativo di cattiveria.

Info
La scheda di La donna elettrica sul sito della Semaine.
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