BlacKkKlansman

BlacKkKlansman

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Presentato in concorso al Festival di Cannes 2018, BlacKkKlansman ci restituisce almeno in parte uno Spike Lee graffiante e ispirato, come sempre molto arrabbiato. Tra dramma, commedia e cronaca di una lotta senza fine, BlacKkKlansman cerca di rimettere a posto i tasselli storici e politici della supremazia bianca e del potere nero, dal blockbuster ante litteram Nascita di una nazione a Shaft, dal Ku Klux Klan a Stokely Carmichael, dalle Pantere Nere a Donald Trump, fino ai sanguinosi fatti di Charlottesville.

Un giorno d’estate a Charlottesville

Colorado, primi anni Settanta. Dopo la laurea, l’afroamericano Ron Stallworth entra nel Dipartimento di polizia di Colorado Springs. Dopo un noioso inizio come archivista, Ron ottiene il suo primo incarico importante: in abiti civili, si infiltra all’incontro con il leader afroamericano Stokey Carmichael. Proprio in questa occasione conosce la bella Patrice, presidentessa degli studenti, organizzatrice dell’evento e convinta attivista. Il passo successivo, imprevedibile, lo porterà fino al Ku Klux Klan… [sinossi]

Non è facilmente decifrabile la parabola produttiva di Spike Lee. Passato in fretta dai primi passi fulminanti e corrosivi – Lola Darling (1986) e Fa’ la cosa giusta (1989) – a pellicole più ambiziose come Mo’ Better Blues (1990) e Malcolm X (1992), il cineasta afroamericano sembra intrappolato da anni e anni in una lunghissima e interminabile fase altalenante: se abbiamo dimenticato titoli come Girl 6 – Sesso in linea (1996), sappiamo di non poterci sempre aspettare He Got Game (1998) o La 25ª ora (2002)1.
Guardando al bicchiere mezzo pieno, possiamo tenerci stretto questo BlacKkKlansman, presentato in concorso al Festival di Cannes 2018 e ricco di idee, suggestioni, slanci mirabili. C’è l’incipit con Via col vento e la successiva lettura e contestualizzazione di Nascita di una nazione, ci sono la blaxploitation e una gustosa vena caricaturale; ci sono soprattutto Harry Belafonte in una incisiva e stratificata macrosequenza e il doppio potentissimo finale, fiction e documentario – un ceffone a mano piena rifilato a tutti, ma proprio tutti, perché la Storia si sta ripetendo e sarebbe meglio non voltarsi dall’altra parte. Dall’altra parte, tra l’altro, c’è già Donald Trump. A braccetto con David Duke.

Il bicchiere però è anche mezzo vuoto. La declinazione tra commedia e dramma della blaxploitation funziona nelle singole sequenze, ma le due ore e otto minuti di BlacKkKlansman alla lunga faticano, arrancano, si aggrappano a snodi narrativi davvero troppo allentati. Non bastano le spietate caratterizzazioni dei suprematisti bianchi, ottusi e (anche fisicamente) ridicoli, e il fascino irresistibile del potere nero per fare da collante a un film fatto più di intuizioni e idee che di scrittura. Ridondante, ad esempio, è la sottotrama dedicata al poliziotto razzista e fuori controllo, e la grana caricaturale dei vari membri del Ku Klux Klan finisce per essere un po’ monocorde e per depotenziare la portata drammatica – non a caso, servono le brusche sterzate di Belafonte e dei due finali per scrollarsi di dosso le scorie della parodia e dello sberleffo (si veda l’ultima telefonata a Duke, siparietto divertente ma ripetitivo).

Spike affonda il coltello nella piaga evidenziando il contrasto culturale, umano e (soprattutto) fisico tra le due figure femminili. Da un lato, l’ottusa e sgraziata Connie (Ashlie Atkinson), donna sottomessa, vittima inconsapevole di altri squilibri di potere. Dall’altra, di una bellezza stordente e fatalmente cool con la voluminosa capigliatura afro, Patrice (Laura Harrier), studentessa dal brillante futuro e dai solidissimi principi. Un confronto impossibile. Una delle numerosissime frecciate di Spike Lee, che da sempre gioca con gli stereotipi, risponde e provoca, (giustamente) rinfaccia. Cool. Potere nero. Shaft e Super Fly. Belafonte e Wilt Chamberlain. Carmichael e il momento di agire. La forza e i colori degli anni Settanta. E gli innumerevoli complessi del bianchi, dei suprematisti.
Connie e Patrice, nella loro fin troppo facile contrapposizione, riassumono perfettamente lo spirito di rivalsa, la presa di coscienza delle Pantere nere e degli afroamericani (anche se l’appello è per tutti, per tutto il popolo), ridicolizzando le folli posizioni del Ku Klux Klan e di gentaglia come Duke e Trump. Ieri come oggi. Ma la messa in ridicolo di BlacKkKlansman è anche il limite del film di Spike Lee, lontano dalla compattezza delle operazioni tarantiniane col cinema di genere (Django Unchained, The Hateful Eight). A farla breve: manca un corrispettivo di Calvin Candie. Anzi, c’è, ma lo ritroviamo a Charlottesville, in un tragico giorno d’estate. Bicchiere mezzo pieno o bicchiere mezzo vuoto, alla fine Spike Lee ci porta proprio lì. A Charlottesville. Ed è difficile girarsi dall’altra parte. Speriamo che lo sia…

Note
1 Dopo La 25ª ora arrivano Lei mi odia (2004) e l’indifendibile Miracolo a Sant’Anna (2008), intervallati da Inside Man (2006) e il notevole documentario When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts (2006). Imprevedibile Spike Lee…
Info
La scheda di BlacKkKlansman sul sito di Cannes 2018.
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