Euforia

Euforia

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Tutto incentrato sui suoi interpreti, Euforia, opera seconda di Valeria Golino, sconta a lungo andare l’esilità sostanziale del suo plot, configurandosi come il resoconto di un frammento di vita tra l’oggi e la fine, riempito di incontri, bugie, metafore, sentimenti. In Un certain regard.

Siamo solo di passaggio

Matteo è un giovane e ricco imprenditore omosessuale, dinamico e sicuro di sé. Suo fratello Ettore vive ancora nella villa di famiglia nei dintorni di Roma e insegna in un liceo locale. Quando Matteo scopre che il fratello ha un tumore in fase avanzata, si prende cura di lui, ospitandolo nel suo attico su Via del Corso. I due si ritroveranno a scoprire il forte legame che li unisce… [sinossi]

L’idea della morte puó apparire straordinariamente folle quando si è vivi. E quando questa poi si profila, possono fare la loro comparsa una serie di “desideri” tutti, necessariamente, da esaudire.
Non è frequente che il cinema italiano rifletta sulla morte, ma di certo Valeria Golino rappresenta una chiara eccezione in tal senso, dal momento che, a cinque anni dal suo debutto alla regia con Miele, torna ad affrontare il tema del trapasso con Euforia, presentato a Cannes 2018 in Un certain regard. Se nell’opera prima dell’autrice la questione eticamente rovente dell’eutanasia rendeva però possibili sviluppi narrativi e relativi incontri umani di un certo peso, questa volta siamo di fronte a un lavoro dal respiro meno ampio, dove l’etica fa capolino solo nelle bugie a fin di bene propinate a un malato di tumore in fase avanzata.

È dunque un film semplice Euforia, che vede al centro della scena, e suo indiscusso mattatore, Riccardo Scamarcio, nei panni di un imprenditore omosessuale dedito all’edonismo che, quando scopre la malattia esiziale del fratello (Valerio Mastandrea), si prende cura di lui spronandolo anche ad aderire al suo stile di vita, fino a imporgli agi e divertimenti non richiesti, inclusi un autista personale, una gita a Medjugorie e una carta di credito. Il tutto per tenere la morte, e il suo spauracchio, il più lontano possibile dalla sua vita e da quella dei suoi cari. Ha il culto del corpo, dissipa senza rimpianti il suo denaro, si gode l’attico con ampia terrazza nel centro di Roma, la droga, gli incontri occasionali, una corte di amici chiassosi e adoranti, “un damo” di compagnia che lo ama, ma con cui lui rifiuta di giacere. Insomma un tipo come Matteo, questo il nome del personaggio incarnato dall’attore pugliese, può benissimo permettersi di fingere e mentire, d’altronde per questioni professionali è un abile venditore, di scuola vagamente berlusconiana, di quelli in grado di proporre ai prelati sfarzose e roboanti serate di fuochi d’artificio, con cupole che si aprono e giochi di luce che ne eruttano. Figuriamoci allora se non sa come “vendere la salute”, o quantomeno la sua illusione, a un morituro.

Come un eroe romantico, Matteo nasconde dunque la verità all’amato fratello, al fine di concedergli, e concedersi, un intervallo di tempo tra il qui e l’aldilà che sia il più possibile piacevole. Allo stesso modo, la Golino, affiancata alla sceneggiatura da Valia Santella e Francesca Marciano (a cui si aggiunge la collaborazione dello scrittore Walter Siti), ben consapevole dell’esilità del suo plot, innesta questo frammento di vita con incontri e commiati, bugie, metafore e sentimenti, per quanto deprivati di eccessi e lacrime. Distante dal melodramma così come dalla commedia vera e propria sulla malattia, Euforia scorre agile, senza intoppi, ma viene anche da chiedersi nel corso della visione quale sia il “quid” della questione, morte a parte. Ampliare un concetto di tal fatta non è certo difficile, per cui ecco baluginare, al fianco del tranche de vie, una serie azzeccata di metafore, come quella del puzzle, cui manca un pezzo e dunque non è ancora terminato, cosa ben sottolineata dal personaggio di Mastandrea, o, ancora, come quella del sub, il cui accesso alle oscure profondità marine apre a universi solitamente preclusi all’occhio umano, e che il nostro malato vorrebbe esplorare. Sempre restando al lavoro di sceneggiatura, Euforia rivela poi una certa originalità nel connotare i suoi personaggi, anche quelli di contorno, assegnando ad esempio alla madre dei protagonisti un talento tutto speciale: quello di saper egregiamente fischiare.

Quanto al versante registico, la Golino attraversa gli spazi con sicurezza, distilla con cura la messa a fuoco sui personaggi, si prodiga in plongéee e contro plongée, mentre cuce insieme lacerti di vita quotidiana che a tratti, come si è accennato, mostrano la corda, rivelando, nel susseguirsi di serate in terrazza e al ristorante, ospedalizzazioni, acquisti folli e gite al mare, la loro sostanziale interscambiabilità. Certo, va detto che a ben guardare un’evoluzione narrativa dei personaggi c’è, ed è graduale e ragionata, ma rappresenta un filo sottile che sta sullo sfondo rispetto alle performance, quelle sì coriacee e sempre in primo piano, dei due protagonisti. È un film innamorato dei suoi attori Euforia, che li lascia interagire sullo schermo godendosi le loro performance, perché forse in fondo sa che la sua storia termina in realtà dopo una breve porzione di film, e sono solo i suoi attori a traghettarla per tutta la sua durata.

Info
La scheda di Euforia sul sito del Festival di Cannes.
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