Jane Fonda in Five Acts

Jane Fonda in Five Acts

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Volto iconico degli anni ’60, simbolo, con alcuni suoi colleghi della New Hollywood, dell’America democratica, pacifista. La vita di Jane Fonda, raccontata nel documentario Jane Fonda in Five Acts di Susan Lacy, presentato come evento speciale al Biografilm Festival, è il ritratto di quella parte dell’America risvegliatasi con Trump, che è tornata all’impegno civile degli anni ’70.

Non si uccidono così anche gli ideali?

Ragazza della porta accanto, sex symbol, attivista, tycoon del fitness: l’attrice due volte premio Oscar® Jane Fonda ha vissuto una vita segnata da controversie, tragedie e trasformazioni. Con interviste – tra gli altri – a Robert Redford, a Lily Tomlin, alla produttrice Paula Weinstein e agli ex-mariti Tom Hayden e Ted Turner, i primi quattro atti della vita di Jane Fonda sono scanditi dai nomi dei quattro uomini che hanno condiviso e influenzato le sue ambizioni personali e professionali. Il quinto atto invece è intitolato alla stessa Fonda, chiamata a confrontarsi con i suoi demoni, riunirsi alla sua famiglia e rimettere in piedi una carriera di successo sia come attrice che come attivista. [sinossi]

Una carriera cinematografica che prosegue, con qualche interruzione e ripensamento, dal 1960 a oggi. Una vita di impegno civile di chi si è ribellato a Nixon al Vietnam e ora riscopre l’anima passionaria nelle proteste contro Trump. Con la parentesi del disimpegno che parte negli anni ’80, tra fitness e matrimonio con un miliardario. Una famiglia cinematografica che si rivela tutt’altro che serena. Tutto questo nel bel documentario su Jane Fonda, Jane Fonda in Five Acts di Susan Lacy, presentato al Biografilm Festival. Un ritratto che va oltre la semplice biografia. Nella vita dell’attrice si rispecchia una generazione di americani, un pezzo di storia del paese, in tutte le sue contraddizioni, nella sua anima liberal, democratica, pacifista, femminista e ambientalista. A partire dalla sua origine familiare, dal padre, quell’Henry Fonda che ha rappresentato l’America precedente, ingenua nella sua presunzione di purezza, il volto buono di chi è passato per la grande depressione, del giovane Lincoln, dell’innocente accusato ingiustamente, del giurato che si batte per l’assoluzione del processato, dell’uomo incorruttibile dai saldi principi. Ma anche i divi del cinema piangono. E Jane Fonda, riguardando una vecchia foto di famiglia durante un picnic, rivela quanto fossero forzati i sorrisi di quell’immagine. Il padre che aveva già iniziato una relazione con una giovane donna e la madre che si sarebbe poi suicidata, quando Jane aveva solo 12 anni.

Il conflitto generazionale avviene ancora attraverso il cinema, come del resto per il fratello Peter, centauro in Easy Rider e protagonista di trip lisergici nell’LSD in Il serpente di fuoco. Jane Fonda rappresenta prima il conturbante erotismo di Barbarella, frutto della relazione con Roger Vadim, e poi l’anima contestataria, democratica della New Hollywood, insieme a colleghi come Robert Redford, e a registi come Pollack e Pakula. Le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, contro Nixon, le battaglie femministe e ambientaliste. Una sensibilità che peraltro ha avuto un’influenza europea. Fu infatti, nel periodo francese del legame con Vadim, un’altra grande attrice militante come Simone Signoret a spronarla a scendere in piazza per quello che stava succedendo in Vietnam. E che l’ha portata a gesti estremi, facendosi arrestare e andando nel Vietnam del Nord durante il conflitto. Lo stesso presidente caduto nel Watergate parla di lei in uno dei famosi nastri che sono stati scoperti. La riconciliazione con il padre segna il nuovo decennio, gli anni ’80 dell’edonismo e del disimpegno, ed è nuovamente sancita in un film, lo struggente Sul lago dorato, fortemente voluto dalla stessa Jane che per la prima volta recita con il padre anziano, in quello che sarebbe stato il suo ultimo film. In quegli anni l’attrice si butta su un nuovo business, in realtà per finanziare i movimenti di contestazione di cui fa parte, devolvendo loro gli incassi. Si tratta delle videocassette in cui insegna la ginnastica aerobica, di cui diviene la grande guru. Ma che contribuiscono in modo determinante all’affermazione del mercato dell’homevideo, a un nuovo modo di fruire delle immagini in movimento. Basterebbe il confronto tra due suoi compagni, per avere un’idea del passaggio dei tempi. Jane Fonda ha avuto una lunga relazione il militante Tom Hayden, con cui viveva in una comune, insieme ai figli, da cui è partita anche per andare a ritirare l’Oscar. Il suo compagno successivo è stato invece il magnate Ted Turner, fondatore della rete televisiva CNN che ha raggiunto l’apice del successo coprendo, con una spregiudicata politica di esclusive, la prima guerra del golfo. Aspetti questi su cui, va detto, Susan Lacy glissa.

Ora Jane Fonda è tornata a battersi, un po’ come tutta quell’intellighenzia radical chic che si è risvegliata con Trump, presidente inaspettato. Sincera, non c’è dubbio, e autorevole. Ma un piccolo dettaglio – quando lei rivela alla truccatrice che una volta provvedeva lei stessa al proprio maquillage –, i suoi abiti sfarzosi, e il fatto che per esempio sia testimonial di L’Oréal, ci fanno capire come le cose siano ormai diverse da una volta. Jane Fonda resiste solo alla chirurgia estetica. Susan Lacy non giudica, comunque. Si limita a registrare, documentare. Se c’è un trucco o una maschera, non spetta a lei svelarli.

Info
La scheda di Jane Fonda in Five Acts sul sito del Biografilm.
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