Obbligo o verità

Obbligo o verità

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Tornata sul versante più ludico della sua produzione, la Blumhouse offre con Obbligo o verità un intrattenimento orrorifico facile, effimero nella concezione ma anche poco incisivo nella messa in scena.

Gioco dannato

Durante una vacanza in Messico, un gruppo di studenti viene avvicinato da un misterioso coetaneo, che li conduce in un santuario abbandonato dove propone loro il classico gioco dell’”obbligo o verità”. Il gruppo, annoiato, accetta di giocare: ma, al suo ritorno a casa, scoprirà che il gioco prosegue inspiegabilmente anche nella vita reale, con conseguenze potenzialmente mortali… [sinossi]

Dopo i riconoscimenti ottenuti per Scappa – Get Out, con la nomination all’Oscar e lo sdoganamento presso un target cinefilo non necessariamente (solo) legato al genere horror, dopo la “resurrezione” di un autore come M. Night Shyamalan, favorito di un’insperata seconda giovinezza, la Blumhouse continua ad alternare ai suoi progetti più ricercati e ragionati, un buon numero di prodotti di più modeste dimensioni e più facile consumo, pensati per tenere vivo il sempre redditizio mercato dei teen horror. Proprio a questo tipo di target, fin dall’inizio parte importante del bacino di spettatori della factory di Jason Blum, si rivolge in primis Obbligo o verità, variante sul tema dei vari Final Destination con un po’ dello sguardo cinico sul mondo post-adolescenziale di film come Unfriended, e un pizzico (ma solo un pizzico) della logica orrorifica del contagio e del male pervasivo di un’opera come It Follows. Può sembrare quasi una bestemmia citare un film come quello di David Robert Mitchell, certo tra i più interessanti e riusciti horror degli ultimi anni, accanto a un prodotto di ben diverse ambizioni (e riuscita) come il film di Jeff Wadlow: ma l’accostamento può servire, se non altro, a dare un’idea di come soggetti parzialmente affini, almeno nei concetti di base, possano condurre a risultati completamente diversi per spessore, atmosfere, approccio al genere e sua lettura.

L’idea del contagio e del male che si riproduce e replica, in effetti, poteva trovare una diversa sistemazione (e un altro peso) in un soggetto come quello del film di Wadlow, pur basato su un materiale di base, in sé, abbastanza standardizzato: ma lo script, fedele al titolo e al suo elemento di partenza, sceglie di dare al tutto un approccio squisitamente ludico e da (pur macabro) scherzo adolescenziale, affine a quella divagazione orrorifica, da cui la trama muove, dello spring break che saluta la fine della giovinezza. Si gioca, insomma, e in questo senso siamo abbastanza vicini a un altro prodotto Blumhouse come l’inoffensivo Ouija (con relativo sequel): le morti dei giovani che si susseguono nel racconto sembrano non turbare più di tanto il sempre più ristretto gruppo di superstiti, mentre il sangue (forse per non limitare il target di riferimento nel mercato americano) viene sparso solo per il minimo indispensabile, restando sempre al di qua del dettaglio cruento e splatter. Più che veri e propri limiti di realizzazione, quindi, a questo in parte godibile, quanto effimero, Obbligo o verità, vanno imputati semmai limiti di concezione: risaputi, e tagliati narrativamente con l’accetta, tutti i personaggi che compongono il gruppo che si confronterà col gioco maledetto al centro della trama, scontate le dinamiche interpersonali che li legano, tutt’altro che imprevedibili i principali snodi di trama.

Certo, il richiamo alla sincerità (e alle sue conseguenze) di un gioco come quello del titolo poteva dar adito a qualche interessante riflessione sul peso della menzogna nel mantenimento dei legami sociali (specie in un universo come quello giovanile): ma lo script, anche da questo punto di vista, sceglie di volare basso, limitandosi a delineare un susseguirsi di schermaglie sentimentali sconvolte (a volte in modo volutamente grottesco) dall’irrompere della maledizione; alzando un po’ il tiro in questo senso solo nella parte conclusiva, quando viene tirato in ballo il lutto di uno dei personaggi principali. Di nuovo, siamo di fronte a consapevoli scelte, nel segno di un approccio dichiaratamente facile, ludico e volutamente stereotipato. Resta comunque, nel film di Jeff Wadlow, una regia tutt’altro che memorabile, priva di fantasia anche nella rappresentazione delle morti (al netto della già ricordata mancanza di graficità), capace di appiattire anche alcune delle sequenze a più alto potenziale di tensione: tra queste, citeremmo quella, sciupata per come viene diretta, della passeggiata di un personaggio su un cornicione. Se quindi, da una parte, l’approccio easy ed evanescente al soggetto costituisce il principale limite del film, la regia poco incisiva e priva di guizzi ne castra ulteriormente il potenziale d’intrattenimento. Da questo punto di vista, invero, l’unica intuizione degna di nota (e con un qualche elemento di originalità) resta il lavoro sulle espressioni facciali degli individui posseduti, rese con una distorsione effettivamente non priva di inquietudine.

Sarebbe inutile (e tutto sommato anche ingeneroso, in un genere in cui un certo grado di forzatura può essere fisiologico, e persino accettabile) stare a elencare i passaggi a vuoto della trama e gli elementi più meccanici e pretestuosi che l’intreccio presenta: ci limitiamo qui a rimarcare come la conclusione, da questo punto di vista, appaia fuori tono e un po’ posticcia, forse frutto di una mancanza di soluzioni credibili all’interno dei confini che il soggetto si era dato. Il regista e i co-sceneggiatori, in questo senso, hanno dimostrato (ancora una volta) scarsa dimestichezza nella gestione di un soggetto che finisce per avvitarsi su se stesso, prima vittima del “gioco” da esso stesso messo in moto. Un gioco che comunque, fermi restando i suoi limiti intrinseci, riesce a offrire un discreto intrattenimento nelle premesse ludiche che offre, facendosi poi rapidamente (e altrettanto inconsapevolmente) dimenticare.

Info
Il trailer di Obbligo o verità.
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