Thelma

Thelma

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Girato con innegabile maestria, Thelma di Joachim Trier è un romanzo di formazione con venature horror che cade in qualche facile simbolismo e in un certo insistito intento educativo, ma che si rivela al contempo efficace e, a tratti, visionario.

Riesci ancora a volare?

Thelma è una timida ragazza di provincia cresciuta in una famiglia molto religiosa e appena arrivata a Oslo per frequentare l’università. Qui conosce Anja e presto l’amicizia tra le due si trasforma in un sentimento più profondo: proprio allora, però, Thelma scopre di avere dei poteri inquietanti e incontrollabili, legati a un terribile segreto del suo passato… [sinossi]

Nell’ambito di un cinema contemporaneo in cui i grandi maestri dell’horror-thriller come Dario Argento, John Carpenter, Brian De Palma e Joe Dante si sono auto-seppelliti o sono stati pensionati anticipatamente – con l’eccezione, pare, di De Palma – un film come Thelma del danese di nascita ma norvegese d’adozione Joachim Trier non può che apparire prezioso. Prendendo a modello una storia che ha uno scheletro molto simile a quello di Carrie – Lo sguardo di Satana, Trier mette in scena i turbamenti esistenzial-sessuali di una giovane donna, Thelma per l’appunto, che – provenendo da una famiglia molto religiosa e bigotta – scopre in sede universitaria di essere attratta da un’altra ragazza e di possedere dei poteri che non le riesce di controllare, legati evidentemente a delle pulsioni di natura sessuale.
Trier lavora in maniera certosina sulle premesse del film, costruendo un’atmosfera inquietante e affascinante e facendo ricorso anche a soluzioni visive ormai purtroppo dimenticate, come ad esempio degli imponenti campi lunghissimi dall’alto – dal sapore hitchcock-argentiano – in cui la figura della protagonista si confonde con quella dei passanti, creando così ulteriore spaesamento nello sguardo dello spettatore.
Ma, una volta che si è riusciti a creare l’empatia giusta con la protagonista e con la ragazza che ama, Thelma finisce inevitabilmente per scoprire un po’ troppo le carte e per insistere perciò – in modo forse poco opportuno – sul versante familiare di lei e dunque sulla sua educazione esasperatamente restrittiva che ha finito per reazione per far crescere nella ragazza delle oscure tentazioni verso il maligno. La descrizione del coté familiare appare infatti il lato più debole del racconto, quello più forzato e stereotipato, dove i personaggi del padre e della madre si rivelano esattamente per quello che sono, senza alcun rivolgimento: chiusi mentalmente, retrivi e ottusamente devoti a una certa idea del mondo che rifugge l’alcol, le relazioni omosessuali e qualunque altro aspetto dell’esistenza che possa fuorviare dalla norma di una condotta di vita ossequiosa dei dettami del Signore.

Nonostante ciò, il film di Trier riesce comunque a stare in piedi e a convincere soprattutto per la sopraffina capacità di costruire atmosfere di tensione, come ad esempio nella magnifica sequenza del teatro dell’opera in cui l’amica biricchinamente si rivela per la prima volta alla protagonista provocando in lei – e, soprattutto, nel mondo che la circonda, visti i suoi poteri – reazioni contrastanti e terremoti emotivi.
Su tutto, c’è un sentore da film educativo, da film sulla liberazione sessuale rispetto al confronto meccanico con l’ossessivo cristianesimo dei severi genitori; un sentore che pesa e che tarpa le ali, in particolare per via di certi grossolani simbolismi – il serpente a rappresentare, ovviamente, il sesso; l’uccellino a simboleggiare, naturalmente, la precarietà della vita e la sua voglia di continuare a volare. I maestri che Trier omaggia, Argento e De Palma in particolare, non si ponevano – e non si pongono – certi problemi, non hanno l’intento di insegnare qualcosa alle nuove generazioni, ma pensano piuttosto – esclusivamente – ad atterrire il pubblico e a sconvolgerlo con le loro riflessioni sullo sguardo che sono – caratteristicamente e caratterialmente – conformi a un’idea di cinema-cinema. Al contrario, Trier dà più volte l’impressione di non credere all’autosufficienza discorsiva della macchina cinematografica – e, in fin dei conti, come dargli torto di questi tempi? – finendo così per annacquare in parte la forza di un racconto sorretto comunque da una regia eccellente e, a tratti, visionaria.
Il nuovo lavoro di Trier finisce così per apparire come un film di grande – e spesso riuscita – ambizione e dalle preziose tendenze manieristiche, ma in cui forse si sarebbe dovuto osare ancora di più.

Info
Il trailer di Thelma.
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