Veloci di mestiere – Fast Company

Veloci di mestiere – Fast Company

di

Strutturato come un western classico, Veloci di mestiere – Fast Company di David Cronenberg esalta l’etica sportiva dei cowboy-piloti, ma è principalmente la storia di un’auto, forgiata dalle mani dei suoi guidatori, nutrita da una miscela che loro stessi hanno composto, lanciata per pochi minuti a tutta velocità sull’asfalto.

Velocità e turbine

Il celebre drag racer Lonnie ‘Lucky Man’ Johnson è la star della Fast Company, scuderia governata dal manager corrotto Phil Adamson e di cui fa parte anche il pupillo di Lonnie, il promettente pilota Billy ‘The Kid’ Brocker. Quando Adamson stringe un accordo con l’avversario di sempre di Lonnie, Gary ‘The Blacksmith’ Black, sottrae anche la funny car a Lonnie e Billy. Ma loro decidono di rubarla e correre da indipendenti la prossima gara. Adamson userà ogni mezzo per fermare Lonnie e la sua squadra… [sinossi]

Non sempre l’ermeneutica è il grimaldello più utile per interpretare l’opera di un autore, ma a volte aiuta. Ogni artista di certo ha il proprio background, le proprie passioni più o meno dichiarate e le si può rintracciare, siano esse celate o manifeste, nelle sue creazioni. Frequentemente l’interesse principale di un regista cinematografico è il cinema stesso, l’unica, grande ossessione, spinta quasi verso una perfetta identificazione tra arte e vita. Basti pensare, ad esempio, a Martin Scorsese, al Wim Wenders dei tempi d’oro o a Francis Ford Coppola. L’hobby, nel senso migliore del termine, ça va sans dire, di David Cronenberg non è dissezionare i corpi per rendere esteriore quello che è interiore, questo tipo di lavoro il regista canadese lo sa fare benissimo attraverso il linguaggio cinematografico e le storie che solitamente racconta. L’hobby di Cronenberg sono le auto, preferibilmente da corsa, ne possiede alcune, le colleziona, le usa – o perlomeno le ha usate in passato – per lanciarsi in pista.

È bene avere in mente questo dettaglio biografico quando si guarda Fast Company (noto anche come Veloci di mestiere) per non incorrere nell’errore di considerarlo un corpo estraneo all’interno della sua filmografia, un giocoso cedimento al b-movie action-sportivo senza ripercussioni né conseguenze. C’è infatti un filo conduttore ben evidente che collega questa pellicola del 1979 con buona parte della produzione cronenberghiana, a partire dall’antecedente lavoro televisivo The Italian Machine (1976) dove un gruppo di amici patiti di motori ordiva un piano ingegnoso per “liberare” una Ducati 900 dal suo status improprio di opera d’arte-installazione da salotto altoborghese e lanciarla dunque sull’asfalto in un’estatica corsa a tutta birra. La riflessione di Cronenberg sulle auto troverà poi indubbiamente degno compimento in Crash (1996) dove tra l’altro tale smaniosa passione si sposa in un intreccio di amorosi sensi con quella di un degno sodale: il James Ballard autore dell’omonimo romanzo. Il compimento di cui sopra è poi purtroppo mancato al progetto Red Cars, trasformato in un lussurioso libro-installazione (o libro d’arte che dir si voglia) edito da Volumina nel 2005. Il prezioso oggetto, disponibile in sole 1000 copie, contiene tra varie ricercatezze grafiche e dietro una lucente copertina in alluminio, anche la sceneggiatura mai realizzata dell’omonimo film, dedicato alla rivalità tra i piloti della Ferrari Phil Hill e Wolfgang Von Trips. Dettagli accurati di motori sono poi rintracciabili in vari film, come ad esempio nell’incipit di Rabid, mentre numerosi sono i bisunti garage che costellano il cinema di Cronenberg (si vedano ad esempio Rabid, eXinstenZ). Inoltre, un altro incontro con un talentuoso romanziere, Don De Lillo, ha dato modo a Cronenberg di ambientare buona parte di un suo film, parliamo naturalmente di Cosmopolis (2012), all’interno di una lucida limousine.

Connessioni filmografiche a parte, David Cronenberg di fatto non ha mai rinnegato Fast Company, anzi, nel suo commento al film contenuto nell’edizione in doppio DVD della Mondo Home Entertainment, rivela un’affezione sincera e mai doma per questa storia di motori scoppiettanti e turbine incendiarie.

Fast Company si apre in medias res con una gara automobilistica persa dal giovane Billy ‘The Kid’ Brooker (Nicholas Campbell) a bordo della sua “funny car” sponsorizzata dalla FastCo, multinazionale nel campo del petrolio che tramite le corse sponsorizza il suo olio per motore. Poco dopo, nello stesso autodromo, il veterano Lonnie “Lucky” Johnson (William Smith), sempre della scuderia FastCo, si cimenta in pista con la sua biturbo A (categoria superiore rispetto alle funny car), che per la prima volta monta un motore con tubi di scarico a 4 turbine. Durante la gara l’auto prende fuoco, ma Lonnie, tenendo fede al suo eloquente soprannome di “Lucky”, ne esce indenne. Il manager della FastCo Phil Adamson (John Saxon) non è affatto contento dell’accaduto: per l’azienda un’auto incendiata significa una spesa non da poco, e così intima alla squadra di volare più basso, basta esperimenti (le 4 turbine di cui sopra) per vincere, l’importante è che l’auto e il suo marchio si mettano in mostra.Nella gara successiva, l’arrogante Adamson imporrà dunque a Lonnie, che è un testimonial più appetibile, di prendere il posto del giovane Billy sulla funny car, cercherà poi di costringere la nuova Miss FastCo, Candy (Judy Foster), ad andare a letto con un giornalista per ingraziarselo, infine tradirà la sua stessa squadra assegnando la funny car al loro rivale di sempre Gary ‘The Blacksmith’ Black (Cedric Smith), il tutto nel nome del profitto. Ma non ha fatto bene i conti con la banda di outsiders ribelli capitanata da Lonnie “Lucky” Johnson e dal suo giovane pupillo Billy ‘The Kid’ Brooker .

Come ben anticipato dall’onomastica dei due protagonisti, in cui riecheggiano le avventure e la relazione edipica padre-figlio di Pat Garrett e Billy The Kid, Fast Company è strutturato come un western classico, dove gli eroi professano una schietta etica sportiva che va a scontrarsi con le regole di un capitalismo rampante (incarnato dal manager Phil Adamson), pronto a sacrificare ogni cosa, vittorie incluse, nel nome del Dio denaro. Governando i loro destrieri meccanici, Lonnie e Billy acquisiscono inoltre quel tipo di nobiltà ed eroismo che a Cronenberg sta particolarmente a cuore e che proviene dalla perpetua messa a rischio della propria integrità fisica, e dunque della vita. In tal senso vanno interpretate le accurate riprese di stampo documentaristico del film, che riportano con precisione le dinamiche dell’assemblaggio delle auto, la composizione elaborata del carburante per ciascuna gara, i dettagli di scocche lisce e variopinte, quelli delle fiammate emergenti dai tubi di scappamento, i cappucci ignifughi che celano sovente le identità dei piloti.

Forte della sua giovanile esperienza documentaristica, Cronenberg nel riprendere le gare automobilistiche si cimenta con inquadrature dall’interno dell’abitacolo, gira e inserisce nel film del materiale in 16mm ripreso negli autodromi dell’Alberta (provincia canadese in cui Fast Company è stato girato), esalta la forte instabilià delle funny car con angolazioni dal basso sulla carrozzeria, si sofferma su pneumatici semisgonfi che solo l’energia centripeta rende aderenti all’asfalto. In tutto ciò, oltre all’approfondita conoscenza della materia che va a raccontare, Cronenberg rivela anche un certo feticismo che lo spinge a girare la prima vera scena di “intimità” tra Billy e Candy (la nuova Miss FastCo) davanti al motore in bella vista della funny car e nel dettaglio proprio mentre lui le spiega come si miscela il carburante. Altrettanto feticistico è poi l’utilizzo che farà Billy di una lattina di olio FastCo, probabilmente il migliore possibile: verserà infatti il liquido sul seno nudo di una graziosa autostoppista.
Centrale poi nel film è la composizione del suono persistente e martellante dei motori, vero strumento di un’esperienza audio-visiva che immerge lo spettatore in un sottomondo, quello delle corse, delle funny car e dei dragsters (questo il nome tecnico dei piloti di queste auto) che presumibilmente prima gli era del tutto estraneo, ma che per poco meno di un’ora e mezza di film diventa di fatto l’unico possibile.

Quanto alla contrapposizione tra le due scuderie avversarie, la FastCo e i Blacksmith, essa è netta e ben definita anche da un punto di vista estetico: la prima ha i colori della bandiera americana (colori che, come chiarito in un’intervista dal direttore dlela fotografia Mark Irvin, compongono la paletta cromatica dell’intero film), la seconda è nera, così come la divisa di Gary Black. Quest’ultimo, da non confondere con il vero villain della storia (che, come detto, è il capitalismo incarnato in Phil Adamson), è un rivale di gara a cui il film attribuisce la stessa nobiltà d’animo di Lonnie e Bill. Anche lui d’altronde rischia la vita per professione e non è per nulla propenso all’inganno: la sportività e il fair play contano infatti quanto una vittoria. A un versante “classico” appartiene anche quella scena di tradimento, con Adamson che va ad arruolare Gary Smith, e che Cronenberg ambienta di fronte a una partita da biliardo, quasi fossimo nel più sordido dei saloon del vecchio west.

A tratti i protagonisti di Fast Company appaiono di fatto poco carismatici, privati come sono di un pregresso e con un futuro davanti non ben delineato. Con lo scorrere del film diventa però chiaro quanto il culto della personalità, così legato com’è al mero utilizzo pubblicitario (la sponsorizzazione delle lattine di olio FastCo), sia qualcosa che deve necessariamente venire meno per lasciare il posto al gioco di squadra. Solo quando Lonnie e Billy uniscono le forze per un obiettivo comune, ovvero fondare una propria scuderia libera dalle regole mercantili dalla FastCo, il film raggiunge il suo punto di svolta, indirizzandosi verso una rivoluzione contro il “sistema”. Le cose che contano davvero, sembra proprio volerci dire Cronenberg, non hanno un valore quantificabile in denaro. E così, come la bella Candy non accetta di vendere il suo corpo alla FastCo andando a letto con un giornalista, allo stesso modo, quando Adamson sottrae la funny car a Lonnie e Billy, a loro non resta che una cosa da fare: rubarla. La sequenza in questione, tra le più divertenti ed esaltanti del film, ha nuovamente un sentore western. Esposta in un salone-fiera per le auto – e dunque sottoposta a un uso improprio come la Ducati di The Italian Machine – la funny car verrà liberata dai nostri eroi con un piano farsesco che rievoca il classico salvataggio dell’eroina femminile rapita dagli indiani cattivi. Una sequenza alla Sentieri selvaggi dunque, che termina non con Lonnie che solleva tra le braccia l’auto, ma con quest’ultima condotta dal suo pilota in bella mostra per le vie della città, con correlato fragore di valvole e turbine.

La squadra è dunque superiore all’individuo, come nei migliori sport movie di sempre, ma c’è dell’altro. Anche il ruolo del pilota è infatti nettamente superiore a quello dell’uomo comune, e il vertice della piramide delle cose che contano è occupato dall’auto. Dopotutto, la meccanica sovrasta l’uomo, l’auto è più importante di chi la guida e quanto a Dio, beh, Dio è un meccanico (come ci dirà meglio il personaggio incarnato da Willem Dafoe in eXistenZ) e non un architetto, come si suole pensare.

Tenendo fede a questo assunto, Cronenberg costruisce il vero duello finale di Fast Company come una lotta all’ultimo sangue tra due mezzi di locomozione: la funny car di Lonnie e l’aereo biposto di Adamson, dal quale il villain aveva all’inizio del film appellato i nostri protagonisti con l’epiteto di “creature stricianti”. Ebbene, saranno proprio queste crature striscianti ad abbattere il veivolo e il suo rapace pilota-avvoltoio.

È un film diretto con innegabile entusiasmo Fast Company, probabilmente l’unico film di Cronenberg con una title track e una playlist da rock agricolo, dove i buoni e i cattivi sono facilmente identificabili e la linea narrativa trova un suo ben netto compimento.
Cosa si nasconde tra le pieghe di questa storia, in profondità? Niente, sia ben chiaro, come spesso accade nel cinema di Cronenberg la superficie è tutto: solo ciò che si vede, si sente e si può toccare conta davvero. Inutile sovrinterpretare, questa attività è al limite lasciata al critico e allo spettatore più smaliziato. L’automobile, d’altronde, nel cinema di Cronenberg non è mai metafora per qualcos’altro, essa sta al limite per metonimia o superamento dell’organico, dell’uomo, ne segna in sostanza il suo completamento. L’auto, il suo sistema linfatico e di alimentazione, la sua scocca, sono organi aggiuntivi ed estensione epidermica per dei moderni gladiatori, o cowboys, che dir si voglia, per lo meno nel caso di questo film. Fast Company è dunque principalmente la storia di un’auto, forgiata dalle mani dei suoi piloti, nutrita da una miscela che loro stessi hanno composto, poi lanciata per pochi minuti a tutta velocità sull’asfalto. E il fatto che la funny car sia la reale star di questa storia è confermato dal post finale del film, in cui diventa chiaro che la vera vittoria del bene sul male non è l’abbattimento dell’aereo del perfido Adamson, bensì il passaggio, finalmente ufficializzato, dei tubi di scarico da tre a quattro turbine. Gloria e vita al nuovo motore.

Info
Il trailer originale di Veloci di mestiere – Fast Company.
Una sequenza tratta da Veloci di mestiere – Fast Company.
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-01.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-02.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-03.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-04.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-05.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-06.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-07.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-08.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-09.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-10.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-11.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-12.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-13.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-14.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-15.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-16.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-17.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-18.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-19.jpg
  • Veloci-di-mestiere-Fast-Company-1979-david-cronenberg-20.jpg

Articoli correlati

  • Zona Cronenberg

    Brood - La covata malefica RecensioneBrood – La covata malefica

    di Immateriale e materiale, psiche e corpo, mutazioni di stati d'animo che trovano loro corrispettivi in fenomeni di consistenza fisica. Brood - La covata malefica di David Cronenberg porta le consuete scissioni dell'autore tutte all'interno dell'essere umano, rileggendo e riflettendo sul genere.
  • Zona Cronenberg

    Crash RecensioneCrash

    di David Cronenberg in Crash incontra James G. Ballard e, dal suo romanzo, concepisce una nuova opera nella sua galleria di mutazioni, di ibridazioni tra uomo e macchina, carne e metallo. Vincitore del Gran Premio della Giuria di Cannes con la motivazione, divenuta celebre, pronunciata dal Presidente Francis Ford Coppola: «Per l'originalità, il coraggio e l'audacia».
  • Zona Cronenberg

    A Dangerous Method RecensioneA Dangerous Method

    di Passato senza ricevere particolari encomi prima alla Mostra di Venezia e quindi in sala, A Dangerous Method è in realtà un titolo ben più centrale di quanto si pensi all'interno del cinema di David Cronenberg, e si concentra su uno dei centri nevralgici della sua poetica, la psicoanalisi.
  • Zona Cronenberg

    La zona morta RecensioneLa zona morta

    di Al suo primo (e per ora unico) incontro con la narrativa di Stephen King, ne La zona morta David Cronenberg amalgama al meglio la sua poetica con quella dello scrittore, ampliando l’ottica della storia originale senza tradirne le premesse.
  • Zona Cronenberg

    M. Butterfly RecensioneM. Butterfly

    di M. Butterfly è un'opera fondamentale nel percorso di David Cronenberg: il tema della mutazione, della ridefinizione di sé e del mondo, perde la connotazione fantascientifica, biologica o anche strettamente medica per rientrare solo nel campo della percezione psicologica del singolo.
  • Zona Cronenberg

    Il demone sotto la pelle RecensioneIl demone sotto la pelle

    di Il demone sotto la pelle è il primo film di David Cronenberg non autoprodotto; un incubo psicosessuale che prende la forma di un body horror, un B-movie sudicio ed essenziale che mette già in campo alcune delle idee destinate ad attraversare tutto il cinema del regista canadese.
  • Blu-Ray

    Rabid – Sete di sangue

    di Corpo umano, mutazioni, malattia, sessuofobia. A quasi 40 anni dalla sua uscita in sala Rabid di David Cronenberg è ancora capace di raccontare inquietudini esistenziali in chiave pre-digitale. In blu-ray per Pulp Video e CG.
  • CITAZIONE

    David Cronenberg CitazioneDavid Cronenberg – Citazione 1

    La maggior parte degli artisti sono attratti da ciò che è tabù. Un artista serio non può accettare i tabù, qualcosa che non puoi guardare, pensare, toccare.

    David Cronenberg
  • Archivio

    Maps to the Stars RecensioneMaps to the Stars

    di Hollywood secondo David Cronenberg, un microcosmo attraversato da sensi di colpa, violenze segrete e stelle prive di luci. In concorso a Cannes 2014.
  • Blu-Ray

    Cosmopolis

    di L’alta definizione si addice con perfezione al cinema di David Cronenberg tutto e naturalmente anche a Cosmopolis, adattamento dell'omonimo romanzo di Don DeLillo. In BRD per 01 Distribution.
  • Cult

    La mosca

    di Una tragica storia d'amore, evoluzione e morte: La mosca di David Cronenberg compie i suoi primi trent'anni e non ha alcuna intenzione di invecchiare.

Leave a comment