Un giorno all’improvviso

Un giorno all’improvviso

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Un giorno all’improvviso, esordio alla regia di Ciro D’Emilio, è un coming-of-age in grado di cogliere bene la personalità del giovane protagonista, ma in maggiore difficoltà a mettere a fuoco il personaggio della madre. In concorso a Venezia nella sezione Orizzonti.

Mother and Son

Antonio ha 17 anni e vive in una cittadina campana con la madre, Miriam, che ha problemi psichici da molti anni. Miriam ha infatti cresciuto da sola suo figlio, che il padre non ha neppure riconosciuto, e non ha mai ritrovato un suo equilibrio. Antonio la adora e la accudisce, sebbene su di loro penda sempre la minaccia dei servizi sociali, convinti che la donna non sia in grado di occuparsi di lui. Ma Antonio è anche un promettente calciatore, tanto da essere chiamato per un provino per una grossa squadra. [sinossi]

Curioso che, come nell’esordio di Letizia Lamartire presentato alla Settimana della Critica, Saremo giovani e bellissimi, anche nel film d’esordio di Ciro D’Emilio, Un giorno all’improvviso, presentato alla Mostra nella sezione Orizzonti, si parli del rapporto tra una madre scombiccherata e suo figlio. In entrambi i casi vediamo in scena donne rimaste incinta da ragazzine, che poi hanno dovuto crescere da sole, e senza uomini al loro fianco, i loro bambini, divenuti poi ragazzi dolci, responsabili, che amano tantissimo quelle loro mamme fragili e da accudire che, contrariamente a loro, non sono mai cresciute davvero. Due film che mettono al centro del racconto donne-bambine narcisiste e figli senza padri, che la vita ha responsabilizzato in fretta e che fanno da genitori alle loro “ragazze”, perché in entrambi i casi c’è una più (la Lamartire) o meno (D’Emilio) connotazione erotica nella relazione con queste mamme un po’ disgraziate ma tanto seducenti… La famiglia, il nucleo primario in cui il padre è assente è, a dire il vero, presente in svariati film di questa edizione (anche in ROMA di Cuarón o, con una declinazione differente, in Vox Lux di Corbet), ma in questi due titoli italiani centrale è il rapporto tra il figlio maschio e la mamma ancora giovane e soprattutto decisamente irrisolta. E se nel film presentato alla Sic la musica è il crocevia delle scelte mentre in Un giorno all’improvviso il calcio è la grande via di fuga di Antonio (Giampiero De Concilio), le due vicende convergono in un necessario “superamento” della relazione con la genitrice.

Un giorno all’improvviso è infatti quello in cui la vita ti sbatte in faccia la sua brutalità, in cui quel che conoscevi si rompe e il futuro si impone senza averlo interpellato. Ricorda alcuni lavori di Ken Loach (tipo Sweet Sixteen) questo esordio girato e scritto con notevole consapevolezza, e che, pur essendo ambientato in Campania, compie la felice scelta di non portare sullo schermo l’ennesimo giovane dal destino segnato (magari perché invischiato con la camorra o la piccola delinquenza) ma un personaggio positivo e credibile, Antonio, la cui psicologia e le cui reazioni sono concepite e sviluppate molto bene. Antonio, come dirà anche in una battuta, non ha mai goduto del privilegio di sentirsi spensierato e giovane a causa dei problemi psichici e caratteriali della madre (Anna Foglietta), ma nonostante questo è un ragazzo socievole, ben voluto dagli amici, ama il calcio, e quando non è con la madre abita perfettamente i suoi 17 anni. La scelta di non schiacciare Antonio sui meri traumi famigliari o sull’essere un figlio non riconosciuto dall’orrido padre (che la madre, inspiegabilmente, rivorrebbe con sé), dona al film una naturalezza che è a ben vedere il rispecchiamento della ben architettata naturalezza del protagonista adolescente. Che ha imparato a interpellare parti differenti di sé a seconda delle situazioni e dei contesti: con la madre deve essere concentrato perché deve avere controllo emotivo anche per lei, con gli amici è un semplice ragazzino, nel campo di calcio si diverte e si appassiona. Anche la “grande occasione”, quella di fare un provino per il Parma e magari finire in serie A, non è “avvicinata” dal racconto con enfasi e di sicuro non è la sfida esistenziale di Antonio, che gioca a calcio con lo stesso approccio emotivo che lo porta a essere sempre nelle cose, a sentirle. È insomma la buona scrittura del protagonista a scandire e strutturare Un giorno all’improvviso, in cui le svolte accadono sempre con un ottimo timing, conducendo al finale e soprattutto alla crescita definitiva del personaggio. Interessante poi che nessuna delle azioni che fanno progredire la storia sia messa in moto dal protagonista: Antonio, potremmo dire, è intenso quando è presente ed efficace nelle reazioni a quel che accade (deve esserci abituato fin da piccolo), ma non è mai artefice del suo destino. Questo non significa che non sia “attivo”: gioca a calcio, ha desideri e sogni… Ma, se si legge bene il racconto, sono sempre gli altri a tradurre (anche del tutto casualmente) le sue necessità o a portare in avanti la sua vita: la ragazza che fa la prima mossa, l’amico che gli risolve un problema, il tutor che lo porta a fare il provino a Parma, ecc. Almeno fino alla fine quando le cose, ovviamente, cambieranno per sempre e il ragazzo dovrà prendere davvero in mano la situazione.

Un giorno all’improvviso è un buon esordio, che si nutre di una scabra freschezza, di una regia accurata nel restituire la giovinezza con il suo piccolo mondo di caos e perfettamente capace di fermarsi o “rallentare” nei momenti più drammatici. Ben tratteggiati sono anche i rapporti con i personaggi secondari e la percezione di una comunità “paesana” in cui convivono negativo e vitalità. Forse il personaggio meno centrato è proprio quello della madre Miriam, motore immobile della psiche del figlio, che però a differenza di Antonio sembra patire una forte, eccessiva, stilizzazione. Come se, in fondo, stesse lì solo per arrivare al finale e costringere il figlio finalmente ad abbandonarla.

Info
La scheda di Un giorno all’improvviso sul sito della Biennale.
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