Intervista a Jackie Raynal
Una carriera di montatrice iniziata nel 1963 con il corto Méditerranée di Jean-Daniel Pollet e Volker Schlöndorff, che l’avrebbe portata a lavorare più volte con Eric Rohmer. Jackie Raynal ha realizzato il suo primo film da regista, Deux fois, nel 1968, quando conobbe la mecenate Sylvina Boissonas, dando vita allo storico gruppo Zanzibar. Abbiamo incontrato Jackie Raynal nel corso de I Mille Occhi, manifestazione di cui è ospite e collaboratrice abituale.
[La foto è di Nika Furlani]
Puoi raccontarci com’è nato il gruppo Zanzibar?
Jackie Raynal: Appena prima del 1968 stavo lavorando al film Détruisez-vous e l’incontro avvenne con le persone che lavoravano nel film: Serge Bard, il regista, e Olivier Mosset. Olivier è un pittore, tornava da New York. Aveva fatto parte della factory di Andy Warhol. Cominciammo a frequentare il suo studio, e iniziammo a lavorare insieme, trovando una persona molto ricca, Sylvina Boissonnas, che ci dava un sacco di soldi. Potevamo girare in 35mm, il che era ottimo. I partecipanti erano artisti di varia provenienza. Io ero un tecnico del cinema ma c’erano anche Philippe Garrel e Pierre Clémenti, che già aveva realizzato film in 16mm. C’erano molti attori, Valérie Lagrange, Jean-Pierre Kalfon che lavorava con Rivette. Quello che volevamo fare era un cinema diverso. Con molti long shot, eravamo molto influenzati da Andy Warhol, dal suo modo di usare la camera. Lasciavamo partecipare la gente, ma non tutto completamente improvvisato comunque. Era una cosa molto bella. Non scrivevamo storie, non scrivevamo sceneggiature, non avevamo grandi attori. Eravamo liberi di fare quello che volevamo. Era tra marzo e aprile del 1968.
Perché avete dato questo nome al gruppo? Ci sono versioni diverse in merito.
Jackie Raynal: Perché Serge Bard amava Arthur Rimbaud, che anelava di andare a Zanzibar, come aveva scritto in una lettera alla sorella.
Un’altra versione vede un riferimento all’ideologia maoista del governo di Zanzibar.
Jackie Raynal: Può essere una parte della motivazione, per qualcuno di noi. Ma noi venivamo da Arthur Rimbaud.
In quel momento da montatrice sei passata alla regia con il tuo primo film, Deux fois. All’inizio del film annunci la fine del significato, enunciando il senso surrealista dell’operazione. Perché?
Jackie Raynal: Eravamo contro la narrazione statica, classica. Non volevo che lo spettatore fosse guidato a interpretare il film, solo lasciarlo andare.
Le influenze vengono anche da Jonas Mekas, oltre che da Warhol?
Jackie Raynal: Certo.
E non Maya Deren?
Jackie Raynal: No, non la conoscevo all’epoca, in Francia non era arrivata a differenza di Mekas, da noi si è cominciato a conoscerla più tardi, dopo il ’68.
E conoscevate il lavoro della regista ceca Vera Chytilova che due anni prima aveva firmato, con Le margheritine, un analogo manifesto contro il significato?
Jackie Raynal: Lei sì, certo, la conoscevamo bene.
La tua lunga carriera di montatrice è iniziata subito nel segno di Rohmer, con La carriera di Susanna e La fornaia di Monceau, e poi avresti fatto La collezionista.
Jackie Raynal: Mi aveva introdotta a lui il produttore Barbet Schroeder. Nei primi film abbiamo cominciato a lavorare con pochissimo materiale. Facevamo tutto da soli, finanche la colonna sonora. Erano film molto scritti.
È una caratteristica generale dei suoi film, visti i dialoghi brillanti?
Jackie Raynal: Sì, di quasi tutti. Rohmer era un uomo d’altri tempi, un uomo ottocentesco.
In La collezionista compari anche nel film così come il direttore della fotografia Nestor Almendros. Come mai?
Jackie Raynal: Ognuno di noi aveva la libertà di contribuire al film in vario modo. Gli attori Patrick Bauchau e Daniel Pommereulle scrivevano anche i dialoghi.
Nella tua filmografia di montatrice figura anche una Carmen diretta dal grande Herbert von Karajan. Di che si tratta?
Jackie Raynal: Ci lavorai a Monaco, nei Bavaria Studios. Si trattava di un qualcosa al limite dell’opera lirica filmata. François Reichenbach era il regista del film con Karajan direttore d’orchestra. Un film molto classico. Loro avevano girato molto, era un lavoro molto guidato. Pur nell’ambito di un’operazione così convenzionale, Reichenbach riuscì ad aggiungere delle parti da documentario. Filmò anche l’orchestra, e gli spettatori.
Hai curato il montaggio di tutti i segmenti del film collettivo Parigi di notte, tranne quello di Jean Rouch, Gare du Nord. Come mai?
Jackie Raynal: Non è così, avevo montato anche quello, ma si trattava di sole due inquadrature e uno stacco, quindi non molto lavoro.