Il Bi e il Ba

Il Bi e il Ba

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Probabilmente nulla, nella storia del cinema italiano, si avvicina al livello di nonsense espulso dal corpo de Il Bi e il Ba. Merito del protagonista Nino Frassica, ma anche della regia ordinatissima e anarchica di Maurizio Nichetti, un talento dimenticato della produzione nazionale.

Un, due, tre… Paùsa

Antonino Scannapieco vive nel piccolo paesino di Scasazza, ma ha un unico sogno: conoscere Maria Giovanna Elmi. Per permettersi il viaggio fino a Roma, dove soggiornerà dagli zii, convince i suoi amici che tutti i loro problemi dipendono esclusivamente dalla forfora. Per questo deve recarsi da un celeberrimo medico romano per farsi dare la lozione miracolosa che li guarirà… [sinossi]

Il Bi e il Ba è l’unico film da regista per il cinema di Maurizio Nichetti in cui l’artista milanese non recita in prima persona. Può apparire come un dettaglio del tutto inessenziale o secondario, ma a ben vedere non è così. Nichetti è sempre stato un performer oltre che un regista: il lunare esordio Ratataplan non lasciava adito a dubbi di sorta già nel 1979, e a rincarare la dose erano poi arrivati Ho fatto splash e il geniale e a lungo tempo dimenticato Domani si balla!, di recente omaggiato con una serie di proiezioni nel capoluogo meneghino. Per non parlare, ovviamente, della partecipazione ad Allegro non troppo di Bruno Bozzetto, dove l’elemento umano e quello animato hanno modo di darsi del tu fronteggiandosi da vicino (una riflessione che Nichetti porterà a compimento nell’ambizioso Volere volare, punto di non ritorno della sua poetica espressiva insieme al metacinematografico Ladri di saponette, acida rappresaglia contro il potere televisivo.

Alla luce di tutto ciò Il Bi e il Ba assume i contorni sempre curiosi dell’eccezione che conferma la regola. In realtà Nichetti si limita al lavoro dietro la macchina da presa per lasciare spazio nell’inquadratura alla logorrea invasiva e dominante di Nino Frassica. È infatti il comico messinese, reso celebre in tutta Italia grazie ai programmi di Renzo Arbore, l’unico e incontrastato mattatore di un film che travalica il senso logico lanciandosi a rotta di collo in un’avventura completamente nonsense.
Nel prendere posto nella ricca e composita famiglia delle commedie di situazione basate sul dialogo Nichetti e Frassica vi entrano per minarla dall’interno, massacrandola a ogni pie’ sospinto. Basterebbe un breve accenno alla storia per rendersi conto della follia anarchica in cui si è precipitati: Antonino sogna di conoscere Maria Giovanna Elmi, ma non può permettersi il viaggio fino a Roma. Convince allora i suoi amici – vitelloni all’ultimo stadio – a prestargli i soldi con la scusa di recarsi da un dottorone capitolino, tal Svernagovich, che fornirà loro la soluzione a tutti i problemi, vale a dire una crema in grado di debellare la forfora. Appena arrivato a Termini però Antonino non solo utilizza tutti i soldi che ha per acquistare un’enciclopedia dedicata agli innaffiatoi, ma perde anche i regali che ha portato agli zii. Li rimpiazza dunque con delle scatole che sgraffigna a un clan mafioso, ignaro di regalare al nipotino un mitragliatore con cui sparare dal balcone.

Ma questo è solo l’inizio, perché Il Bi e il Ba non si ferma davanti a niente e a nessuno, tra calembour linguistici, giochi di parole ai limiti dell’infantile (Antonino storpia via Nomentana in via Momentanea, e ogni volta ripete “Via Camillo Benso, ma non sono sicuro, Conte di Cavour”), situazioni che farebbero impallidire i cultori del surrealismo. Tanto per fare un esempio visto che per spiegare (male) il funzionamento di un frigorifero ha scarabocchiato su La Repubblica, Antonino afferma di “scrivere sui giornali” e per questo viene trattato con tutti i riguardi in questura, dove incontra un uomo ossessionato dal cinema d’autore italiano. “Ma chi sono i fratelli Taviani?”, ripete senza sosta. È forse qui che si può cogliere con maggior precisione l’eleganza e l’intelligenza della regia approntata da Nichetti: attraverso un gioco di campi lunghi e di dissolvenze il regista rende quasi infinito il soliloquio paranoide dell’uomo (a interpretarlo uno spiritato Marco Messeri), portando alle estreme conseguenze la situazione.

Non esistono davvero molto paragoni possibili per questo oggetto deforme e così serio da non prendersi mai sul serio. Una comicità elettrica, quasi isterica, in cui ogni singola occasione può essere sfruttata per spostare di qualche centimetro il confine del lecito (in motorino alla domanda “l’hai messa la freccia?” la risposta non può che essere un delirante “e che so’, un indiano?”). E poi spostarlo ancora. E ancora. E ancora. Demenziale e mai demente Il Bi e il Ba è un gorgo che tutto assorbe e ingloba, e di fronte al quale è solo controproducente opporre resistenza. Ma che lascia un triste quesito. Perché Nino Frassica non ha continuato a sabotare il cinema con la stessa virulenza? E, in seconda battuta, per quale motivo il genio creativo, eversivo e mai prono di fronte alla prammatica produttiva di Maurizio Nichetti è stato progressivamente spostato, riposto in un angolo, completamente dimenticato? Perché i suoi film non vengono programmati in televisione? Perché nessuno nel corso degli ultimi diciassette anni, da Honolulu Baby in poi, ha pensato che ci fosse bisogno di un’idea di cinema così libera, fuori tono e fuori posto? Nichetti si è “ridotto” a lavorare per prodotti televisivi di scarso interesse, e a risentirne è stato l’immaginario complessivo del Paese. Sempre più standardizzato, sempre più allineato a una medietà culturale agghiacciate.

Info
Una clip de Il Bi e il Ba.

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