La terra
di Aleksandr Dovženko
La terra è la danza onirica e sognante di un popolo che si riappropria del senso comune, del valore della collettività e della condivisione. Nel 1930, nel pieno del primo piano quinquennale dell’Urss staliniano, Aleksandr Dovženko firma un poemetto lirico in difesa della terra.
La terra, la guerra, una questione collettiva
L’anziano Semën Trubenko muore serenamente, attorniato dai parenti e dagli amici. Il giovane contadino comunista Vasilij Trubenko, insieme ad altri compagni, vorrebbe dare vita a una cooperativa e ottenere un moderno mezzo meccanico per la lavorazione della terra. Suo padre non è d’accordo… [sinossi]
Quando Aleksandr Dovženko lavora alla realizzazione de La terra, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è nel pieno del primo piano quinquennale staliniano, introdotto nel 1928. Il piano, che parte dal presupposto che l’URSS deve mettersi al passo delle altre superpotenze industriali per evitare di essere schiacciato, prevede la collettivizzazione delle terre e la creazione di kolchoz e sovchoz, vale a dire cooperative agricole e fattorie gestite direttamente dallo Stato. Finisce l’epoca del contadino come entità autonoma. Ma è anche il momento della spinta verso l’industria pesante. Il NEP – acronimo che sta per Novaja Ėkonomičeskaja Politika, ossia Nuova Politica Economica – cede il passo a un futuro che vedrà il potere sempre più accentrato nel governo di Mosca, e le istanze collettivistiche della rivoluzione destinate progressivamente a scemare, a perdere d’importanza, ridotte in una posizione subalterna. La russificazione dell’URSS ha inizio, attraverso una dittatura del proletariato che non concede più condotti d’aria. Dovženko si inserisce in questo contesto storico ponendo la firma su un poemetto visivo struggente e in grado da un lato di non “urtare” la suscettibilità stalinista – infatti il film superò la censura senza problemi – e dall’altro di ribadire alcuni punti fermi che diverranno di lì a breve minoranza nel Paese.
Nel 1930 Sergej Michajlovič Ėjzenštejn è già negli Stati Uniti, e dopotutto La linea generale è stato pesantemente attaccato dalla censura perché troppo astratto e sperimentale, lontano dai canoni espressivi del realismo socialista ora in vigore. Nel 1928 Vsevolod Pudovkin ha concluso la sua “Trilogia sulla rivoluzione” con Tempeste sull’Asia, non troppo capito neanche in patria. Nel 1929, infine, Dziga Vertov ha diretto il suo indiscutibile capolavoro, L’uomo con la macchina da presa, e da quel punto in poi la sua carriera tenderà a perdere in vigore visionario, con l’eccezione parziale di Tre canti su Lenin.
Anche Dovženko, come Pudovkin, deve trovare il modo migliore per concludere quella che lui stesso definisce “Trilogia ucraina”. I primi due capitoli sono stati Zvenigora (1928), sorta di ripasso della storia millenaria dell’Ucraina, e Arsenale (1929), omaggio agli operai di Kiev che insorsero durante la cosiddetta “Rivolta di gennaio” con lo scopo di boicottare l’Assemblea Costituente Ucraina e agevolare l’avanzata dell’Armata Rossa. Dopo il ripasso della storia antica, e il ricordo di quella recente rivoluzionaria, La terra nasce con lo scopo di celebrare i progressi continui dell’Unione Sovietica, ora che le forze controrivoluzionarie e mensceviche sono state definitivamente debellate.
Non è forse un caso che il film si apra su una morte. L’anziano Semën Trubenko, nonno di quel Vladimir che sarà epicentro ed eroe della pellicola, è sdraiato a terra. Un amico gli chiede se sta morendo, e la risposta è affermativa. Non c’è dolore in questa sequenza. Non esiste disperazione, per quanto alcuni degli sguardi degli amici e dei parenti che lo circondano siano preoccupati. Il vecchio Trukenko non teme la morte. È un contadino, sa che fa parte del ciclo della natura. Sa che la sua morte non è un danno a nulla e a nessuno. Lì vicino a lui la vita già nasce, i bambini sono pronti a giocare. Si ricomincia. Dovženko si lancia in un incipit bucolico – i fili d’erba a perdita d’occhio che si muovono docilmente sotto la pressione del vento –, e chiarisce da subito le intenzioni: la celebrazione della vita collettiva, della cooperazione tra i contadini, ma anche e soprattutto l’inno alla terra, al suo essere preesistente all’uomo. All’eternità della terra. La spinta propulsiva staliniana non può, per Dovženko, andare oltre le regole della natura, il ciclo delle stagioni. Sotto questo punto di vista La terra sembra già anticipare il lirismo che Georges Rouquier farà deflagrare in Farrebique sedici anni più tardi.
Dovženko mostra una terra “in permanente rivoluzione”, come canterà Giovanni Lindo Ferretti, ed evidenzia la naturalezza di quel moto. Per questo il suo sguardo, sinceramente panteistico, possiede un afflato religioso, carico di una potenza che è sovrumana, sovrasta la quotidianità del popolo. Là dove i suoi colleghi, che come lui hanno ribaltato le regole del cinema vivendo con e nella Rivoluzione d’Ottobre – quei dieci giorni che sconvolsero il mondo per essere poi traditi dal comitato centrale del PCUS, che abbandonò ben presto il progetto di “tutto il potere a tutti i soviet” –, si spingono nel futuro preconizzando l’immaginario che sarà, inventando il montaggio, ricostruendo la prospettiva, dotando gli spettatori mondiali del Cinema nella sua forma meccanica più alta ed esaltante, Dovženko mostra già un contegno ieratico, misterico. Nel suo lirismo è trattenuto il potere dell’emozione, del sogno come istante dell’affetto, della memoria onirica. Nel sogno/realtà finale di Natal’ja, che come d’incanto si trova una volta di più tra le braccia dell’amato e perduto Vasilij, in quella chiusura che lascia a distanza di quasi novant’anni ancora a bocca aperta – e con una lacrima a rigare il volto – c’è tutto il senso politico del cine-occhio di Dovženko. La ricerca perpetua e incessante dell’umano, del suo candore ancestrale, e di un rapporto con la terra che è il vero punto di forza di una nazione davvero socialista. Un poema innodico per il mondo contadino, che deve sempre guardare verso il futuro – la collettivizzazione, il rifiuto della religione intesa come atto di supremazia del pope verso i suoi fedeli, la ricerca del moderno – ma senza perdere contatto col mondo già vissuto, esperito nel corso delle generazioni. È arduo imbattersi in opere pure come La terra, ed è impossibile non restarvi sedotti, e uscirne rivoluzionati.
Info
La terra su Youtube.
- Genere: drammatico, muto
- Titolo originale: Zemlja
- Paese/Anno: URSS | 1930
- Regia: Aleksandr Dovženko
- Sceneggiatura: Aleksandr Dovženko
- Fotografia: Daniil Demuckij
- Montaggio: Aleksandr Dovženko
- Interpreti: Luka Ljašenko, Nikolaj Nademskij, Pëtr Masocha, Semën Svašenko, Stepan Škurat, Vasilj Krasenko, Vladimir Michajlov, Yelena Maksimova, Yuliya Solntseva
- Colonna sonora: Lev Revuckij
- Produzione: VUFKU
- Durata: 69'