Intervista a Yeo Siew Hua
Pardo d’oro all’ultimo Locarno Festival con A Land Imagined, Yeo Siew Hua, regista e scrittore, è uno dei fondatori del collettivo 13 Little Pictures che raggruppa giovani filmmaker indipendenti di Singapore. Ha esordito nel 2009 con il lavoro sperimentale In The House of Straw. Lo abbiamo incontrato durante il Pingyao International Film Festival, dove A Land Imagined ha ricevuto il premio della giuria nell’ambito dei Roberto Rossellini Awards.
Il contesto sociale di A Land Imagined riguarda l’immigrazione a Singapore e la forza lavoro di stranieri praticamente ridotta a schiavitù. Perché un film su questo tema?
Yeo Siew Hua: Credo che il 99,9% dei lavoratori nel settore della costruzione di Singapore provenga dall’immigrazione, dal Bangladesh, dalla Cina, e anche da nazioni come Thailandia, Myanmar, Vietnam. Così quando ho guardato approfonditamente a questa situazione ho realizzato che sono loro quelli che costruiscono il paese. Allo stesso tempo non sono persone apprezzate, non sono considerati parte della società perché persone di passaggio. In un certo senso rappresentano una moderna forma di schiavitù, ma le cose sono più complesse. Dopotutto questa situazione è dovuta all’economia globale. Ho trovato una situazione molto difficile per loro perché sono tenuti sotto controllo dalle compagnie che li hanno assunti. Loro pagano un sacco di soldi solo per arrivare a Singapore per lavorare e quindi hanno già contratto dei debiti anche prima di arrivare. Hanno molta paura di essere licenziati dal lavoro perché possono rimanere feriti o perché non piacciono al capo, se vengono licenziati e tornano indietro nel loro paese. Questa situazione li intrappola. Devono fare tutto quello che il boss dice loro di fare. Questa diventa una situazione molto difficile per loro. E volevo raffigurarla nel film. Ma non volevo fare un film sulle compagnie malvagie. La domanda da porsi è: «Cosa succederebbe se accadesse loro qualcosa di male? Chi se ne occuperebbe?». Dopotutto sono molto lontani dalle loro famiglie, non hanno sicurezza né risorse e non c’è una buona situazione nel paese per i diritti umani. In tanti altri paesi, a Dubai o in posti del genere, c’è un simile impiego di lavoro dei migranti in condizioni più o meno simili. Sono intrappolati in questa situazione economica globale. Tanta gente a Singapore non sa queste cose. In un certo senso sono ovunque, ma sono anche invisibili. Buona parte della società non li vede. Per me è questa gente è parte integrante della società, costruiscono la società, ma dobbiamo vederli chiaramente. Per me importante era fare un film che partisse dal loro punto di vista. Credo che molte delle esperienze nel film siano dal loro punto di vista.
Perché hai deciso di affrontare questa tematica con questo approccio, onirico, anomalo, e non per esempio con uno stile di realismo sociale?
Yeo Siew Hua: Io stesso credo che vivere in Singapore sia qualcosa come un sogno. La metafora è che Singapore è una città onirica. È un sogno ma al tempo stesso è una terra totalmente immaginata, c’è un’artificialità, nello skyline, nel groviglio di strade. È come un sogno per me anche se sono un abitante di Singapore. Ed è quello che mi hanno confermato gli stessi lavoratori, quando ho fatto le ricerche per il film: parlavano di un sogno. Per loro è così, per il fatto di essere molto lontani da casa, per la loro distanza sociale dal resto della comunità. Loro provano questo senso di sogno. Così io credo che abbiamo avuto un’allucinazione collettiva tutti insieme. Da qui questa idea di insonnia. Tutti soffriamo in qualche modo di una sorta di ansia, misteriosa. Un’ansia misteriosa che ci mantiene insonni ma allo stesso tempo ci rende dei sognatori svegli. Così credo che questo divenga il modo in cui ci riconciliamo. Come nel film per il detective e l’operaio che vengono da due contesti completamente diversi, una middle class privilegiata il primo, una working class in situazioni difficili il secondo. Vengono da due mondi totalmente diversi, ma per me era importante che il film aprisse un varco attraverso il quale i due mondi si unissero. Sono entrambi insonni ma sognanti. Il modo in cui l’ho fatto è stato come dire, in un certo senso, che sono tutti e due sonnambuli e sognatori svegli. E così questo momento onirico è avvenuto. Ho creato una struttura che è un flashback ma non è un flashback.
Il montatore del film è Daniel Hui, che conosciamo per il film Snakeskin. Esiste una new wave di giovani filmmaker a Singapore?
Yeo Siew Hua: Stiamo vivendo una situazione molto esaltante per il cinema di Singapore. Ora abbiamo altri due film prodotti dalla compagnia che ha fatto A Land Imagined. Eravamo a Cannes, c’è un maggior riconoscimento internazionale. Così Daniel Hui e io formiamo come un collettivo, chiamato 13 Little Pictures, ci aiutiamo a vicenda a fare i film. Io aiuto Daniel Hui, ho recitato in un suo film e lui è nel mio primo film. È importante questo movimento ma ci deve essere più attenzione da una prospettiva internazionale per il nostro cinema. In precedenza c’era ma allo stesso tempo non c’era questa attenzione, credo che ora ci sia più gente attenta a quello che succede in questa parte del mondo. E noi contribuiamo con queste storie, di Singapore e del Sudest asiatico. Mi fa molto piacere che il mio film possa avere l’effetto di spingere altri registi a unirsi al movimento, a questa new wave.
La vostra cooperazione reciproca riguarda anche il reperimento di mezzi produttivi?
Yeo Siew Hua: Certo, noi condividiamo anche le risorse e allo stesso tempo c’è qualcosa che si considera un brand del nostro collettivo. In parole povere, insieme si è più forti che da soli e la gente comincia ad accorgersi del cinema di Singapore. Siamo un gruppo di di autori che fa cose diverse, eterogeneo, come tutte le le nouvelle vague.
Il Pardo d’oro vi aiuterà.
Yeo Siew Hua: Lo spero. Credo sia l’inizio del nostro viaggio e vedremo dove si va. Sono molto felice di averlo vinto, e ha aiutato il film a viaggiare per i festival.