Dio è donna e si chiama Petrunya
di Teona Strugar Mitevska
In concorso alla Berlinale 2019, Dio è donna e si chiama Petrunya della regista macedone Teona Strugar Mitevska, focalizzandosi sulla fisicità della corpulenta protagonista, denuncia la persistenza di una società retrograda patriarcale, infarcita dalla religione, che ancora permane in Macedonia.
Ma tutto questo Petrunija non lo sa
A Stip, una piccola città in Macedonia, ogni anno a gennaio il sacerdote locale lancia un crocifisso di legno nel fiume e centinaia di uomini si tuffano per cercare di recuperarlo contendendoselo. Buona fortuna e prosperità è garantita all’uomo che riesce nell’impresa. Petrunya, una donna corpulenta, si tuffa in acqua per un capriccio e riesce ad afferrare il crocifisso prima degli uomini che sono furiosi. Come osa partecipare una donna nel loro rituale? Ma Petrunya non si arrenderà… [sinossi]
La venerazione della croce, simbolo cardine dell’iconografia cristiana, viene fatta a risalire all’Imperatore Costantino. Si tratta quindi di una simbologia spuria, che ancora oggi nelle nostre società moderne pone problemi alla concezione laica dello stato. Il dibattito sul crocifisso nelle aule scolastiche è ancora attuale. In altri contesti, come quello che racconta il film Dio è donna e si chiama Petrunya (titolo originale: Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija, mentre l’internazionale in inglese suona God Exists, Her Name Is Petrunija) presentato in concorso alla Berlinale 2019, i problemi sono più atavici e difficili da rimuovere. Il 19 gennaio, giorno dell’Epifania ortodossa, il rito prevede una processione e il lancio di un crocifisso, da parte del sacerdote, in un corso d’acqua; i fedeli fanno a gara tuffandosi per recuperarlo e chi ci riesce riceve una benedizione speciale. Si tratta di una prova di virilità, di un’esibizione di vigore nell’immergersi in acque di paesi dove i climi sono molto freddi, di una cultura fallocratica sancita così dalla religione.
La regista Teona Strugar Mitevska lancia un macigno in questa tradizione consolidata, facendone emergere le contraddizioni. Se il crocifisso viene preso da un maschio, allora è suo di diritto, ma se a prenderlo è una donna, come succede nel film, è come fosse stato rubato. Senza mezzi termini Dio è donna e si chiama Petrunya è un film femminista, a tesi, che non si pone in un contraddittorio, che denuncia la condizione di subalternità femminile tuttora vigente nel suo paese. È un film di donne, di ritratti femminili. Quello di Petrunija ovviamente. Donna che invade l’inquadratura con la sua fisicità, con il suo corpo possente. Donna che vale molto di più degli uomini che la giudicano. Nubile, disoccupata, nonostante una laurea in storia. E la storia serve pure per marcare la sua superiorità e il suo sguardo oltre: a chi ricorda come vetta Alessandro Magno, figura lontana nel tempo e peraltro carica di valori nazionalistici, lei risponde di preferire la rivoluzione cinese, evento lontano nello spazio ma più vicino nel tempo. C’è poi la figura dell’anziana madre, con cui Petrunija vive un legame quasi morboso difficile da recidere, che rappresenta la tradizione, e la giornalista. Quest’ultima, con la sua determinazione a portare alla luce il caso, rappresenta lo sguardo esterno, di chi proviene da una società moderna che sa valutare l’assurdità di quella situazione patriarcale. Rappresenta la regista stessa e anche noi, il pubblico.
Un film, come si diceva, unidirezionale. Che non lesina rappresentazioni grottesche e toni umoristici. Per esempio nel momento della verbalizzazione delle dichiarazioni di Petrunija, c’è la contraddizione di vedere le vecchie macchine da scrivere, ancora in uso nei grigi uffici di quei luoghi, mentre si parla del filmato divenuto virale su youtube. Un mondo a due velocità, una realtà ancorata in una dimensione retrograda, mentre fuori tutto è avanti. «La vita non è un racconto di fiabe»: si dice all’inizio.
Nessun dubbio sulla sincerità dell’operazione, ma poco convincente appare lo stile di regia fatto di preziosismi inutili, ricercato, esibito, come lo è l’uso di facili metafore. Così nella prima scena Petrunya appare dall’alto in quella che sembra una piscina vuota. C’è poi il manichino che la protagonista porta con sé per separarsene poi in acqua, prima del momento cruciale della presa del crocifisso, come a simboleggiare la fine del suo status di asservimento, sociale e familiare. Ci sono riprese da sotto le coperte, soggettive che si scambiano, mdp schiacciate sulle facce, inquadrature antibergmaniane di due volti che si occultano a vicenda. E si arriva pure a un cerbiatto di sirkiana memoria. Era proprio necessario?
Info
La scheda di Dio è donna e si chiama Petrunya sul sito della Berlinale.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija
- Paese/Anno: Belgio, Croazia, Francia, Macedonia, Slovenia | 2019
- Regia: Teona Strugar Mitevska
- Sceneggiatura: Elma Tataragic, Teona Strugar Mitevska
- Fotografia: Virginie Saint-Martin
- Montaggio: Marie-Hélène Dozo
- Interpreti: Andrijana Kolevska, Labina Mitevska, Simeon Moni Damevski, Stefan Vujisic, Suad Begovski, Violeta Shapkovska, Xhevdet Jasari, Zorica Nusheva
- Colonna sonora: Olivier Samouillan
- Produzione: Deuxième Ligne Films, Entre Chien et Loup, EZ Films, Spiritus Movens Production, Vertigo
- Distribuzione: Teodora Film
- Durata: 100'
- Data di uscita: 12/12/2019

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