The Brink – Sull’orlo dell’abisso

The Brink – Sull’orlo dell’abisso

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Costruito come un documentario d’osservazione, The Brink – Sull’orlo dell’abisso ha per protagonista il gran burattinaio del sovranismo mondiale, quello Steve Bannon artefice della vittoria di Trump. Ma la regista Alison Klayman dà l’impressione di non sapere – o di non volere – affondare veramente il colpo.

Le vie del Male sono infinite

Quando Steve Bannon lasciò la sua posizione di capo stratega della Casa Bianca, era diventato già una figura ben nota per aver portato un’ideologia di estrema destra nelle più alte sfere della politica americana. Non più vincolato da un incarico ufficiale – anche se alcuni dicono che abbia ancora una linea diretta con il presidente Trump – ha continuato a usare la sua influenza per trasformare il suo movimento sovranista in movimento globale. [sinossi]

Steve Bannon ci sfugge ancora. Dopo essere stato trionfale protagonista di American Dharma, diretto da Errol Morris e presentato alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, l’ex capo della campagna elettorale di Trump e, anche se solo per la prima metà del 2017, suo capo stratega quando il miliardario pel di carota ha conquistato la Casa Bianca, questa enigmatica e luciferina figura dell’estrema destra mondiale, questo gran burattinaio (e burattino) del Male, mette sostanzialmente nel sacco anche la regista Alison Klayman, autrice di The Brink – Sull’orlo dell’abisso, dove per l’appunto l’oggetto del discorso è sempre Bannon, seguito e pedinato nel corso di un anno, dalla sua cacciata dallo staff presidenziale (in un raro momento in cui le colombe trumpiane hanno avuto la meglio sui falchi) passando per le elezioni americane di midterm del 2018 fino alla sua ambiziosa e spaventosa brama di voler condizionare le imminenti elezioni europee.

Klayman perde il confronto con Bannon, così come lo aveva già perso Morris, anche se per ragioni diverse, in questo caso perché la regista spera di poter rivelare in The Brink – Sull’orlo dell’abisso tutti i volti oscuri e inquietanti del personaggio lasciando campo libero allo strumento principe del cinema documentario, l’osservazione. Laddove infatti Morris si lasciava seminare per le vie tortuose del confronto dialettico, la Klayman crede ingenuamente nelle proprietà oggettive e dunque “curative” dell’immagine, capaci a suo avviso di mostrare il vero volto nascosto dietro la gommosa faccia pacioccona del suo protagonista, ignara probabilmente del fatto che, come dice Enrico Ghezzi: la presunta verità è il primo inganno.

Quello che emerge, infatti, da The Brink è solo un uomo grasso che cerca di dimagrire, sfatto dalla perdita del potere e voglioso di riconquistarlo, vagamente fastidioso ma non troppo, ripetitivo (ma chi non lo è?) sia nel corso dei suoi comizi inneggianti al sovranismo, sia nella ricorrente battuta che fa a chi, uomini e donne, vuole fotografarsi con lui (una rosa con due spine, vale a dire la donna al centro e gli uomini ai lati). Questi però sono solamente degli accidenti di fronte alla pericolosità di tale figura, che viene dunque smitizzata e mostrata nella sua aurea mediocritas in The Brink tanto da domandarsi a tratti come possa aver potuto quest’uomo così insulso orientare il destino attuale del più potente paese al mondo. Ma probabilmente anche Hitler, osservato mentre faceva colazione o mentre viaggiava in treno leggendo un libro, avrebbe potuto dare l’impressione di essere una persona normale.

L’approccio di Klayman è, dunque, sostanzialmente troppo semplicista, troppo timido, troppo razionalmente progressista, perché da un lato si avrebbe voglia di controbattere alle tesi del protagonista – e si spera in tal senso che la regista lo faccia, e ciò accade, in minima parte, solamente troppo tardi – dall’altro si ha l’impressione che la timidezza si sia insinuata anche nelle immagini stesse e nel montaggio, vale a dire che se The Brink avesse puntato veramente il tutto e per tutto sull’osservazione minuziosa di atti e azioni di Bannon forse qualcosa in più da questo personaggio che ingurgita beveroni verdi per dimagrire sarebbe riuscita a cavarlo. E, invece, manca qualcosa sia su un versante che sull’altro.
Ci sembrano in tal senso indicativi due momenti: in uno, veramente tardivo, un giornalista del Guardian intervista Bannon alla presenza della “nostra” Giorgia Meloni proprio nei giorni veneziani in cui veniva presentato il film di Morris; nell’altro, il “nostro” protagonista viene seguito in un movimento di macchina in continuità che parte dalle quinte di una convention e arriva fino all’abbraccio del pubblico. Il giornalista del Guardian, grazie al suo piglio veemente, riesce in pochi minuti a far tacere sia Bannon che la Meloni, li mette in ridicolo evidenziando le loro contraddizioni e, in tal modo, fa più di quanto la regista riesca a fare in tutto il film. Mentre, invece, quel movimento di macchina dal sapore scorsesiano è stato tagliato in sede di montaggio, rovinando l’epifania dello sguardo e contraddicendo dunque apertamente le presunte ambizioni di voler svelare il “reale” bannoniano.

Se dunque The Brink delude sia sul piano della dialettica che su quello della militanza visiva, quel che resta è un prodotto vagamente divulgativo che non riesce veramente ad affondare nel suo discorso. E non basta cominciare il film, così come accade, con un elogio da parte di Bannon proprio della scientifica e impiegatizia programmazione di sterminio di massa messo in opera dai nazisti, come a volerci suggerire un parallelismo tra loro e lui. Non basta perché quel discorso è, in fin dei conti, ragionevole e fa venire i brividi più per gli orrori che sono riusciti a realizzare i nazisti che per la paura verso chi ne sta parlando in quel momento. Se Bannon incarna una nuova forma di nazismo – o se davvero voglia aspirare a tale dominio del Male -, ciò dovrebbe essere inverato dalle immagini e dalle parole che si vedono e si sentono in The Brink. Ma questo non accade.

Info
Il trailer di The Brink.
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