Cannes 2019
Morti che camminano. Si apre così il Festival di Cannes 2019, giunto alla settantaduesima edizione con la solita coda di polemiche, compresa la petizione contro il premio alla carriera ad Alain Delon. In fin dei conti, è la natura stessa del festival ad alimentare contrasti, la sua dimensione smisurata, il suo essere contenitore fagocitante, regno del tutto e del niente.
Dal Festival di Cannes 2019 – e poi da Venezia, Berlino, Locarno, Rotterdam – prendono vita moltissimi festival di secondo e terzo (e quarto) giro, si aggiustano i tasselli delle distribuzioni, mentre nel Marché si giocano i destini di grandi produzioni e di filmacci di serie z, spesso destinati all’invisibilità – prima o poi qualcuno dovrà prendersi la briga di raccogliere quantomeno le locandine di tutti gli incredibili horror, sci-fi e film d’animazione in cgi che si incrociano al mercato, cose dell’altro mondo.
Dalla Croisette prende il via un po’ di tutto. I selezionatori dei festival pescano a piene mani dalle varie sezioni, saltabeccando qua e là o si rinchiudono alla Quinzaine e alla Semaine, anche alla fertile Acid, spesso in cerca di carne fresca, di nuovi autori, di opere prime. Tutto può tornare utile, dai progetti che prendono vita al mercato, per giocare d’anticipo con le selezioni, ai titoli restaurati di Cannes Classics – ed eccoci al primo elenco, con l’atteso La leggenda del serpente bianco (Hakujaden, 1958) di Taiji Yabushita, prima pellicola nipponica d’animazione a colori, titolo seminale per la Toei e per l’intera industria del Sol Levante e secondo tassello di un percorso di riscoperta dopo il restauro di Momotaro, Sacred Sailors, presentato nel 2016 sulla Croisette. Tra le delizie di Cannes Classics, citiamo quantomeno la prima versione di Shining, le cinque decadi di Easy Rider, la tripletta buñueliana (L’âge d’or, Los olvidados e Nazarín), i nostrani Pasqualino Settebellezze, Miracolo a Milano e La prima notte di quiete, il granitico Rambo alla presenza dell’ancor più granitico Stallone… [continua a leggere]