Moulin Rouge
di John Huston
Restaurato – in maniera non troppo eccelsa – in digitale, Moulin Rouge è un film di John Huston del 1952, in cui il grande cineasta ripercorreva la tragica vicenda di Henri de Toulouse-Lautrec per farne l’incarnazione dell’artista – da sempre e per sempre – ignorato dalla vita, ridotto a patetico spettatore. A Cannes Classics.
Ed è subito sera
La vita di Henri Toulouse-Lautrec che – per reazione alla grave malattia ossea che lo colse in gioventù alle gambe – rifiutò le comodità nobiliari della sua famiglia per andare a Parigi e seguire le sue aspirazioni artistiche. [sinossi]
Fa sempre un certo effetto rivedere un qualsiasi film di John Huston, in particolare uno qualsiasi dei suoi film meno celebrati e meno ricordati – e, in fin dei conti, sono tanti. Fa scalpore perché ogni volta Huston ci sorprende con il suo fare sornione. Non diciamo nulla di nuovo, la critica dei Cahiers du Cinéma seppe ravvisare la politica autoriale in ciascuno dei film anche apparentemente minori dei grandi cineasti della Hollywood classica, eppure vi è da dire che se per Hitchcock o Hawks, o naturalmente per John Ford o per Fritz Lang, l’autorialità – almeno ai nostri occhi di contemporanei – si auto-palesa in maniera irrefrenabile e incontestabile, non altrettanto si può affermare con certezza di Huston, che anzi sembra conquistarsi il suo spazio poetico ripartendo da zero ogni volta di film in film, ripercorrendo alacremente e pazientemente una via ostinata e contraria che ci conduce sempre, alla fine di ogni sua opera, a concludere: ebbene, sì, era proprio un film di Huston!
Ciò, se possibile, appare ancora più evidente in Moulin Rouge, biopic su Henri de Toulouse-Lautrec girato nel 1952 in uno sfolgorante Technicolor, un film presentato a Cannes Classics in un restauro digitale che solleva qualche perplessità, visto che i colori non appaiono poi così sfavillanti come immaginiamo che dovessero essere all’epoca della sua realizzazione e come, paradossalmente, sembra suggerire meglio il video pirata caricato da tempo su youtube rispetto al DCP proiettato qui a Cannes in anteprima mondiale.
Ma tant’è. Parlavamo di Huston e di questo suo biopic su un pittore francese recitato in inglese, come da sempre, a parte rare eccezioni, vuole la tradizione hollywoodiana, che tutto fagocita e tutto reinterpreta nel proprio idioma. E dunque Huston per Moulin Rouge aveva questi elementi estremamente rischiosi: un’operazione apertamente non filologica ma edulcorata all’americana, una ambientazione stereotipatamente romantica come quella della Parigi di fine secolo (in cui, ad esempio, è caduto maldestramente anche Woody Allen con Midnight in Paris), una figura d’artista – che per via dei suoi noti problemi alle ossa – appariva ben difficile da rendere credibile nella sua sofferenza (si pensi, tanto per dirne una, ai problemi incontrati da Martone di recente nel mettere in scena in maniera convincente la gobba di Leopardi ne Il giovane favoloso), e poi il can-can che si mescolava col musical americano allora di nuovo imperante dopo il picco degli anni Trenta (basti pensare che Cantando sotto la pioggia è sempre del ’52 e che Un americano a Parigi è del ’51). Insomma, tutto sembrava concorrere alla disfatta e all’etichetta del film malriuscito del grande regista ormai bollito. E la prima parte di Moulin Rouge sembra parzialmente confermare questa impressione, visto che Toulouse-Lautrec viene sfruttato in maniera abbastanza schematica da una donna di cui è innamorato, i cui strambi comportamenti fanno inevitabilmente pensare a una tardiva femme fatale. Ma è dopo che si chiude la relazione con questa donna, che poi lo stesso artista ritroverà in mezzo a una strada ubriaca e senza fissa dimora, è dopo quel momento che pian piano Moulin Rouge cresce e si stratifica, dando intanto la possibilità ai dialoghi di esprimere tutta l’arguzia tipica della Hollywood che fu, dialoghi che nella prima parte erano costretti su binari più semplicistici per via del banale rimbrottarsi uomo-donna.
E i dialoghi nel cinema classico americano non sono mai da sottovalutare, anzi a volte – anche nei western (basti pensare proprio a Hawks o ad Anthony Mann) – sono tutto, o quasi, secondo la tradizione yiddish e teatrale dell’affidare alla favella la ricerca di una verità e di un senso all’esistenza. Qui le conversazioni che Toulouse-Lautrec intavola di volta in volta con i vari personaggi, in particolare con la donna che incontra a metà film e che poi scoprirà averlo amato, servono a esplicitare una visione del mondo cinica e divertita, mondana e sottilmente ipocrita e disperata, in cui si fortifica la figura centrale di questo artista costretto dalla semi-immobilità fisica a osservare la vita degli altri, a poterla commentare solo a voce, ma soprattutto straordinariamente capace di ritrarla su carta. Toulouse-Lautrec in Moulin Rouge diventa allora l’eterna incarnazione dell’artista estromesso dal vivere, dello spettatore partecipante che gode della cinetica altrui e che, avidamente, prova a riportarla, a registrarla, a eternizzarla. Ed è persino l’artista che, metaforicamente, uccide la vita altrui (oltre che la sua, per via della disperazione alcolica), giacché nel momento in cui la sua celebre affiche del Moulin Rouge viene stampata e affissa in centinaia di copie lungo le vie di Parigi decreta il successo mondiale del celebre locale ma ne snatura anche l’origine malfamata e popolana, così come gli dice ad un certo punto il gestore. E quella danza che i ballerini sotto forma di fantasmi dedicano al pittore morente è danza insieme di vita e di morte, perché – se lui sta sparendo dal mondo terreno – loro già non esistono più, in quanto sono diventati opera d’arte, si sono imbalsamati, sono finiti al Louvre come La gioconda, così come gli annuncia suo padre. Ed è questa una danza che, se vogliamo, anticipa i finali sia de Il settimo sigillo che di 8½.
Così Huston, senza mettersi a sbandierare volontà teoriche e ambizioni autoriali, riesce in Moulin Rouge a dirci qualcosa di fondamentale sull’arte, in un modo che nulla ha da invidiare ad esempio a un capolavoro come Van Gogh di Maurice Pialat. E questa sensazione viene confermata ad esempio dalla scelta di far interpretare a un unico attore (José Ferrer) sia Toulouse-Lautrec che suo padre, una scelta assolutamente necessaria, perché evoca il fatto che quel figlio deforme fosse come una costola mostruosa del genitore ed evoca allo stesso tempo la discussa ipotesi che la malattia dell’artista derivasse dal fatto che il padre e la madre fossero cugini di primo grado. Ma la potenza di Moulin Rouge viene confermata anche dalla scelta semplice, eppure radicalissima, di interrompere per un paio di volte la narrazione con l’intento di mostrare quadri e dettagli di dipinti di Toulouse-Lautrec, a evidenziare con maggiore precisione le capacità pittoriche dell’artista ma anche con lo scopo di sottolineare meglio come quelle sue opere fossero la fedele ed espressiva restituzione di un mondo; difatti, così come gli artisti del Rinascimento avevano ritratto i potenti del loro tempo e poi Caravaggio aveva ribaltato la prospettiva raffigurando i popolani suoi contemporanei, Toulouse-Lautrec ha scelto di rappresentare la vita – notturna – di un’altra epoca ancora, la sua, donandoci non solo un corpus artistico potentissimo ma anche la precisa testimonianza di un mondo che fu.
E così Moulin Rouge dovrebbe servire d’esempio al cinema biografico contemporaneo, che soprattutto negli Stati Uniti è un genere ancora in voga, ma che spesso cade sulle cosiddette bucce di banana, leggasi traumi infantili che connotano un’esistenza (si pensi a Ray o a Quando l’amore brucia l’anima). E anche qui Huston se la cava con grazia e con leggerezza, descrivendo l’infanzia di Toulouse-Lautrec con pochi ed essenziali flashback, senza indugiare su rimorsi e fantasmi del passato.
Ma vi è anche da dire che, se ad esempio la forza del nostro cinema degli anni Sessanta e Settanta si è ormai dispersa apparentemente per sempre, anche l’eleganza, la misura e l’analisi penetrante fatta senza troppo darlo a vedere sono da tempo qualità dimenticate a Hollywood.
Info
La pagina dedicata a Moulin Rouge su Wikipedia.
- Genere: drammatico, sentimentale, storico
- Titolo originale: Moulin Rouge
- Paese/Anno: USA | 1952
- Regia: John Huston
- Sceneggiatura: Anthony Veiller, John Huston, Pierre La Mure
- Fotografia: Oswald Morris
- Montaggio: Ralph Kemplen
- Interpreti: Alexis Chesnakov, Charles Carson, Claude Nollier, Colette Marchand, Diane Cilento, Fernand Fabre, Francis De Wolff, Gaylord Cavallaro, Georges Lannes, Harold Kasket, Hilary Allen, Hugh Dempster, Ina De La Haye, Irissa Cooper, Jacques Cey, Jean Claudio, Jill Bennett, José Ferrer, Katherine Kath, Lee Montague, Madge Brindley, Maria Britneva, Mary Clare, Maureen Swanson, Michael Balfour, Michèle Clément, Moyra Fraser, Muriel Smith, Pamela Deeming, Peter Cushing, Raf De La Torre, Suzanne Flon, Suzi Euzaine, Theodore Bikel, Tutte Lemkow, Victor Fairley, Walter Crisham, Walter Cross, Zsa Zsa Gabor
- Colonna sonora: Georges Auric
- Produzione: Moulin Productions Inc., Romulus Films
- Durata: 119'