L’arcano incantatore
di Pupi Avati
L’arcano incantatore segna il ritorno di Pupi Avati nei territori del fantastico a tredici anni di distanza da Zeder. Un’opera che mette in scena l’esoterismo ragionando una volta di più sul concetto di colpa, e di esplorazione del misterico. Al Fantafestival di Roma nell’omaggio riservato al regista bolognese.
Il ritorno di Nerio
Anno 1750. Il seminarista Giacomo Vigetti è costretto a lasciare Bologna per evitare la condanna, dopo aver ingravidato una ragazza, e averla indotta ad abortire. Il giovane, in cerca di un posto dove rifugiarsi, viene indirizzato a una villa, nella quale incontra una vecchia dama che, nascosta dietro ad un affresco, stipula con lui un giuramento di sangue, facendosi consegnare come pegno il cilicio della madre di Giacomo, con la promessa che gli verrà restituito una volta portato a termine l’incarico che gli viene affidato. Su indicazione della misteriosa signora, il ragazzo si rifugia a Medelana, nell’appennino bolognese, per svolgere la funzione di segretario al servizio di un enigmatico personaggio, un monsignore allontanato dalla Chiesa per i suoi studi sull’occulto che gli valsero la nomea di “arcano incantatore”. [sinossi]
Quando L’arcano incantatore esce in sala, nell’aprile del 1996, l’epoca/epica del gotico italiano è già evaporata: non è un caso che lo splendido esordio di Mariano Baino, Dark Waters, resti materia per pochi intimi. Michele Soavi ha abbandonato le atmosfere argentiane de La chiesa e La setta preferendo le lusinghe di Dellamorte Dellamore (pure a sua volta largamente sottostimato); lo stesso Argento dopotutto è più interessato alle vertigini contemporanee di Trauma e La sindrome di Stendhal, mentre Lamberto Bava è oramai impelagato nel televisivo Fantaghirò. Un mese prima della distribuzione de L’arcano incantatore muore Lucio Fulci: se Un gatto nel cervello resta il suo testamento teorico – e autoironico – gli immediatamente successivi Voci dal profondo e Le porte del silenzio attendono ancora con pazienza una vera riscoperta. Quella riscoperta che sotto certi punti di vista manca anche per L’arcano incantatore.
A più di ottant’anni (ne compirà 81 il prossimo 3 di novembre) Pupi Avati è ancora un regista difficile da inquadrare per una parte consistente del microcosmo critico: la sua vena eversiva, anarcoide, del tutto inappropriata nel contesto borghese nel quale si muove il resto della sua produzione – quella parte più facile da contestualizzare e categorizzare – è tutt’ora un oggetto non identificato, magari colmo di malie ma pericoloso e guardato con un certo sospetto. Non venne particolarmente apprezzato il viaggio nel Diciottesimo Secolo con protagonista Giacomo Vigetti, seminarista non proprio ligio ai dettami della Chiesa, così come sul piccolo schermo venne ingiustamente bistrattato l’angoscioso Voci notturne, che Avati scrisse per la regia di Fabrizio Laurenti e che la Rai trattò con malavoglia, cercando di liberarsi nel minor tempo possibile della sua messa in onda.
Per quanto alcuni dei tasselli imprescindibili della carriera di Avati abbiano a che fare con l’occulto, il misterico e il fantasmatico (si pensi a La casa dalle finestre che ridono e Zeder, per fare gli esempi più universalmente noti), la sua produzione “di genere” viene ancora oggi maneggiata con diffidenza, quando non scopertamente osteggiata. Perché così poco spazio si concede a titoli come Le strelle nel fosso, Bordella, Tutti defunti… Tranne i morti, per non parlare degli esordi Balsamus, l’uomo di Satana e Thomas e gli indemoniati? Per quale motivo una dozzina di anni fa Il nascondiglio uscì quasi alla chetichella, non certo come i coevi La cena per farli conoscere e Il papà di Giovanna? La storia si sta ripetendo anche con Il signor Diavolo, la cui uscita – prevista dapprima per la primavera – è via via slittata fino ad arrivare al 22 agosto, nel mezzo del nulla dell’estate e subito prima di Venezia, quando la sua presenza in sala verrà spazzata via dai titoli della Mostra del Cinema.
Meritevole è stato dunque l’omaggio che il Fantafestival capitolino ha offerto ad Avati (omaggiato qualche giorno dopo anche a Pesaro con la proiezione di Regalo di Natale), proiettando tra gli altri proprio L’arcano incantatore.
Ripartendo in qualche modo sempre dalle “dimore filosofali” così care a Fulcanelli, citato ripetutamente sia in
Forse è un film troppo oscuro L’arcano incantatore, lontano com’è dalla supposta modernità del “miracolo italiano” o dell’ottimismo progressista. Avati firma un’opera statuaria, impalpabile e ponderosa allo stesso tempo, sottile come le dita di un fantasma eppur desiderante – ma tragicamente indesiderata dal sistema cinematografico.
Info
Il trailer de L’arcano incantatore.
- Genere: fantasy, horror
- Titolo originale: L'arcano incantatore
- Paese/Anno: Italia | 1996
- Regia: Pupi Avati
- Sceneggiatura: Pupi Avati
- Fotografia: Cesare Bastelli
- Montaggio: Amedeo Salfa
- Interpreti: Andrea Scorzoni, Arnaldo Ninchi, Carlo Cecchi, Claudia Lawrence, Consuelo Ferrara, Eliana Miglio, Mario Erpichini, Patrizia Sacchi, Saverio Laganà, Stefano Dionisi, Vittorio Duse
- Colonna sonora: Pino Donaggio
- Produzione: Duea Film, Filmauro
- Durata: 96'
