The Nest

The Nest

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Prodotto per certi versi interessante, testimonianza dell’attenzione dell’esordiente Roberto De Feo a un target potenzialmente internazionale, The Nest (Il nido) si regge tuttavia su basi fragili, costruendo un “gioco” filmico di cui si intuiscono facilmente gli sviluppi.

Radici oscure sotto il nido

Samuel, 14 anni e un infortunio alle spalle che lo costringe sulla sedia a rotelle, vive con sua madre, in totale isolamento, nella lussuosa residenza di Villa dei Laghi. La donna educa il figlio con rigidità quasi militare, vietandogli qualsiasi contatto – anche indiretto – col mondo esterno; ma l’arrivo nella casa dell’adolescente Denise, figlia di un amico di famiglia, cambierà radicalmente le cose… [sinossi]

Non si può non guardare con interesse, in certa misura anche con simpatia, a un esperimento come quello di The Nest (Il nido). L’esordio nel lungometraggio di Roberto De Feo, infatti, sembra voler proporre un diverso modello di cinema di genere nazionale, in cui alla messa in evidenza della “memoria storica” (e al tributo obbligatorio ai numi tutelari di alcuni decenni fa) si sostituisca la ricerca di una via originale al filone thriller-horror, più moderna e contemporaneamente più orientata alle platee internazionali. I riferimenti dell’esordio di De Feo sono chiari, e sono indubbiamente sotto gli occhi di tutti: la magnetica residenza di Villa dei Laghi, infatti – location quanto mai adeguata per il tipo di storia narrata – rimanda al gotico letterario prima che cinematografico, con echi soprattutto della recente serie televisiva Hill House; la trama del film, per com’è presentata, mostra qualche reminiscenza di classici moderni quali The Others di Alejandro Amenabar e The Village di M. Night Shyamalan. Quello di cui De Feo, soprattutto, sembra essere ben consapevole, è che la ricerca della classicità sotto una nuova veste (e il successo della serie prodotta da Netflix ne è prova) può essere tuttora una scelta vincente.

Questa classicità rivestita da un guscio moderno, e maggiormente orientata al gusto internazionale, The Nest (Il nido) la persegue fin dalle sue prime scene, da quei lunghi piani sequenza tra le stanze e i corridoi della villa in cui il film è ambientato, e dalla sequenza del prologo in cui veniamo edotti delle ragioni della disabilità del protagonista e della morte di suo padre (un tentativo di fuga finito male). Il film, in questo senso, sembra voler giocare a carte scoperte, prendendosi anche i rischi di questa scelta: piuttosto che andare a incrinare gradualmente una quotidianità magari particolare ma comunque rassicurante, la sceneggiatura ci mostra da subito la vita del protagonista per quella che di fatto è: un’esistenza da recluso, sotto il giogo di una donna che è più carceriera che madre, aiutata dalla complicità di un medico che appare per metà il mad doctor di tanto cinema horror, per l’altra una nuova versione di Mengele. La tensione narrativa, fin da subito – e ancor più con l’arrivo nella residenza del personaggio di Denise – si incentra sul mistero celato dietro l’ossessione della donna, e sui motivi che l’hanno portata a creare questo dorato carcere per suo figlio (e per se stessa). Incentrandosi sul perché piuttosto che sul cosa, il film non ha paura a essere anche, in alcuni passaggi, piuttosto esplicito nella mostra della follia che si annida nel “nido” del titolo.

Interessante nella sua scelta di mescolare una rilettura moderna del gotico con le tematiche familiari, a tratti molto inquietante nella sua esplicita descrizione delle deviazioni e dei tratti disturbati (e disturbanti) che caratterizzano gli occupanti della casa, The Nest (Il nido) soffre tuttavia di un’intrinseca fragilità nella sua concezione e nei suoi sviluppi. Il “gioco” della sceneggiatura, che sceglie di accumulare tensione nell’attesa dello scioglimento del mistero intorno alla villa (e di quello della follia della donna) si rivela esile e pretestuoso; i suoi sviluppi sono facilmente intuibili già a metà circa della durata del film. Il pubblico del cinema di genere – sempre più contaminato con quello delle moderne serie televisive – si è fatto ormai più competente e smaliziato; in questo senso, una costruzione come quella della sceneggiatura del film di De Feo mostra, inevitabilmente, i piedi d’argilla. Proprio l’aver scelto di incentrare l’intera costruzione narrativa sul mistero che circonda Villa dei Laghi, insieme agli indizi forse disseminati in modo un po’ troppo generoso all’interno del plot, rende fiacco e deludente lo scioglimento finale del mistero. Ci si rende insomma conto, al termine della visione del film di De Feo, di aver assistito a un prodotto di genere per certi versi ben assemblato, ma dal carattere un po’ pretestuoso e inevitabilmente fragile.

Sorta di “giocattolo” thriller-horror che alla sua conclusione si rivela pienamente come tale, divertissement rivestito di stile e gusto visivo, e con qualche buona idea, The Nest (Il nido) non si può dire esattamente un esordio riuscito, proprio per l’esilità delle sue premesse e il modo un po’ ingenuo di svilupparle. Possiamo perdonare al film alcune forzature (comprensibili anche in virtù di ciò che emerge nel finale) e una gestione forse un po’ ardita delle ellissi narrative, e più in generale dell’elemento temporale; tuttavia, a non convincere è proprio la scelta di dove indirizzare la tensione narrativa, e il modo in cui infine questa viene sciolta. Resta curioso, in questo senso, che proprio la consapevolezza mostrata dal regista nel selezionare il suo target (il moderno pubblico internazionale dell’horror, e quello della serialità televisiva) non tenga poi conto della raggiunta competenza di tale target, e della necessità di un surplus di attenzione nel modo di avvincerlo. Una contraddizione – o meglio, una mancata consapevolezza – che è forse la ragione principale della non totale riuscita del film di De Feo.

Info
Il trailer di The Nest.

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