Terminator – Destino oscuro

Terminator – Destino oscuro

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Il futuro (e il presente) è donna, e la saga di Terminator riparte consegnando il franchise nelle mani di Sarah Connor e delle sue “nipotine” con Terminator – Destino oscuro. Un sequel/reboot dove la morte non esiste (più), e che fa piazza pulita dei tre seguiti successivi ai film di James Cameron. Presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2019 e in sala.

I won’t be back

Sono passati più di due decenni da quando Sarah Connor ha impedito il Giudizio Universale, modificato il futuro e riscritto il destino dell’umanità. Dani Ramos conduce una vita semplice a Città del Messico, con il padre e il fratello, quando un nuovo ed evoluto Terminator – modello Rev-9 – viaggia indietro nel tempo per darle la caccia e ucciderla. Per sopravvivere, Dani dovrà unire le forze con due combattenti: Grace, avanzatissima super-soldato proveniente dal futuro, e un’agguerrita e temprata Sarah Connor. Mentre il Rev-9 distrugge senza pietà tutto quello che incontra sul suo cammino, le tre si dirigono verso un T-800, proveniente dal passato di Sarah, e che potrebbe essere la loro unica speranza. [sinossi]

L’ennesimo tentativo di rivitalizzare la saga di Terminator (1984 e 1991, gli anni dei due capitoli diretti da James Cameron) con Terminator – Destino oscuro si rivela, finora, il più azzeccato, il più in linea con lo spirito originario. E non è un caso che proprio Cameron sia tornato al timone, quantomeno in veste di produttore/soggettista: tra una pausa e l’altra dell’elefantiaco progetto legato ai sequel di Avatar, il cineasta canadese ha deciso d’inoculare sangue e idee nuove all’interno delle giunture meccaniche, ormai da tempo scricchiolanti, dei suoi cyborg umanizzati, con un giovane coproduttore, David Ellison, e un regista (dopo Deadpool e la serie animata Netflix Love, Death & Robots) sulla cresta dell’onda, Tim Miller. Il tocco produttivo di Ellison, classe 1983, ha rilanciato già, nell’ultimo decennio, saghe bisognose di novità come quelle di Mission: Impossible (Ghost Protocol, Rogue Nation e Fallout) e Star Trek, mentre tra un po’ arriverà anche un sequel per Top Gun. Chi meglio di lui quindi, per aprire nuovi scenari finalmente graditi dal pubblico, dopo il disastro artistico e produttivo dei seguiti diretti da Jonathan Mostow e McG? C’è solo da dimenticare che anche il precedente Terminator: Genisys di Alan Taylor era passato dalle sue mani…

La distopia futuristica (che tenta d’intervenire, per autolegittimarsi, nel passato/presente) alla base di Terminator: Destino oscuro è una versione alternativa di quella che tutti conosciamo. Skynet è stato fermato? Arriva Legion che, più o meno con le stesse modalità, prende il controllo di ogni macchina sul pianeta e in pochi giorni stermina gran parte della popolazione mondiale. John era stato salvato? Forse no, perché dal futuro si può sempre arrivare, in qualsiasi momento. Si parte con questa forzatura del racconto, in una saga dove la distorsione della/delle time-line è sempre stata elemento preponderante, che arriva come un pugno in faccia, insieme al de-aging digitale sui volti di Linda Hamilton, Arnold Schwarzenegger e persino di Edward Furlong, giovane John Connor nel ’91, scomparso poi nei meandri di Hollywood in seguito a brutte (e solite, per i divi arrivati in alto troppo giovani) storie legate all’alcolismo e alla tossicodipendenza.

Dopo lo spiazzante prologo, ambientato nel 1998, si arriva ai giorni nostri, ma questa volta non si atterra in una metropoli o in mezzo al deserto ma dall’altra parte del Muro, in Messico. La battaglia, questa volta, nasce lì, e una delle quest più complicate per i nostri eroi sarà quella di ritornare negli Usa, nascosti su un barchino, in mezzo alla palude. Una donna messicana, Dani, candida e inconsapevole, scortata da altre due donne, due soldati: una modificata tecnologicamente, la Grace di Mackenzie Davis, l’altra dall’esperienza e dal dolore, e parliamo, naturalmente, della granitica Sarah Connor che torna a portare le fattezze di Linda Hamilton. Il cambio sociale e politico ormai in atto a Hollywood si palesa chiaramente, senza troppe circonvoluzioni: un abbraccio ai “latinos”, che è anche un segnale di dissenso verso la politica dell’attuale Presidente in carica, e al “female power”, la messa in crisi dello stereotipo machista dell’action anni Ottanta/Novanta, ormai definitivamente desessualizzato e ridotto a comprimario. Se da una parte la capacità di recepire le istanze del contemporaneo è anche lodevole, dall’altra spesso sia ha la sensazione di assistere ad un catalogo di accadimenti già precompilato in funzione di quanto appena detto. Rimane interessante rilevare che, relativamente nello spazio di pochi anni, ogni equilibrio, persino nel fanta-action, si sia totalmente ribaltato. James Cameron comunque, creando Sarah Connor e riprendendo in mano Ellen Ripley negli anni Ottanta, aveva già, da visionario anticipatore quale è sempre stato, contribuito a tracciare il solco.

Dopo l’aggiornamento tematico, occupiamoci di quello tecnico, ugualmente in linea con il gusto contemporaneo, ma molto meno convincente. Tim Miller, come già in Deadpool, porta la libertà dell’animazione all’interno del live-action, disintegrando i confini del set, sfruttando in ogni modo possibile la tridimensionalità (ma senza occhialini, che forse avrebbe senso riconsiderare per film come questo), facendo compiere ai cyborg salti iperbolici, senza riuscire, in più di un momento, ad allontanare la sensazione di figurine appiccicate sullo sfondo che minano, alla base, la credibilità delle azioni. Ci si può inventare (e ci s’inventa) di tutto, elicotteri che si schiantano, inseguimenti sott’acqua, interminabili corse in autostrada disintegrando ogni tipo di veicolo. Il nuovo Terminator Rev-9 (non un gran villain, forse il problema principale) è, letteralmente, inarrestabile, ma forse, collaborando, queste tre donne potranno provare a fermarlo: idratandosi dopo un’azione, usando un vecchio zio per passare il confine o un contatto nell’esercito per ottenere armi più potenti. Il più banale degli “l’unione fa la forza” insomma, ma qui parliamo di tostissime donne contro massicci simulacri maschili automatizzati, una sfida che potrebbe assumere, e non riesce a farlo quanto vorrebbe e dovrebbe, i contorni dell’ancestrale.

Come nella coeva nuova saga di Star Wars, generazioni vecchie e nuove interagiscono e, sotterraneamente, cercano di mantenere/prendere il comando, opponendo sprizzante energia vitale alla saggezza maturata sul campo. I personaggi degli anni Novanta sono duri e inguaribilmente “battutari”, quelli del nuovo secolo fragili, empatici, ma capaci di tirar fuori, alla bisogna, energie insospettate: già Shane Black ragionava su questo meccanismo anni fa, sia “in diretta” nel finale de L’ultimo boyscout (1991), sia retrospettivamente con Kiss Kiss Bang Bang (2005), e qui lo stereotipo torna a nascondersi all’interno del racconto, ottenendo un effetto assicurato. Stando alle reazioni del pubblico convenuto nella bellissima sala del Politeama Rossetti (dove abbiamo visto, all’interno del Trieste Science+Fiction Festival 2019, il film in anteprima), ogni ingresso in scena, ogni battuta va perfettamente a segno, fin quasi a scatenare l’applauso.

Il finale è aperto a futuri sequel, e il destino della saga dipenderà, come sempre, dagli incassi. Questo sequel/reboot, che replica, fin quasi a ricalcarli pedissequamente, gli atti dei film cameroniani (prologo nel futuro / arrivo dei Terminator / prime schermaglie / pausa d’isolamento per curare le ferite e riflettere sull’esistenza / rutilante crescendo / finale dolceamaro), può portare facilmente le protagoniste verso nuove sfide. Recuperata Linda Hamilton, non sarà facile fare a meno di Arnold Schwarzenegger (intristito, malinconico, dolente: una buona prova), qui probabilmente al passo d’addio.

Info
Il trailer di Terminator – Destino oscuro.

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