Bliss

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Bliss conferma il talento di Joe Begos, punto di riferimento per gli amanti dell’horror hardcore d’oltreoceano, e mette in scena il tema (ormai abusato) dell’artista alle prese con il rovello creativo, da prospettive originali e inquietanti. Al Trieste Science+Fiction Festival 2019.

La mia droga si chiama ispirazione

La vita di Dizzy Donahue è dura: una volta richiestissima per le sue macabre copertine e i suoi angoscianti dipinti, oggi alterna il lavoro a nottate tutte alcool e droghe pesanti sulle strade di Los Angeles. Di recente, tuttavia, Dezzy sembra non essere in grado di disegnare nulla e il suo blocco creativo sta avendo effetti disastrosi. A prendersi cura di lei è solo Clive, una sorta di fidanzato che è chiaramente più innamorato di lei di quanto lei non lo sia di lui. Qualcosa deve pur accadere. E quel qualcosa arriva grazie al suo spacciatore, sotto forma di una potente nuova droga chiamata “Bliss”, fatta di cocaina e DMT. Naturalmente, Dizzy non si fa pregare e la prova subito: ed è allora che tutto cambia. [sinossi]

Non esiste solo la Los Angeles delle ville in collina, degli artisti milionari, del sole abbacinante. C’è n’è anche una diversa, sotterranea seppur in bella vista, quella dove laidi e untuosi padroni di casa vengono a cercare l’affitto, che non ci si può comunque permettere di pagare. E ci sono delle contaminazioni, uomini e donne che cercano di elevare, proprio su quelle colline, la loro condizione economica e insieme il proprio status sociale, rimanendovi (spesso fatalmente) abbarbicati/e. Grandi maestri del cinema, nel passato più o meno recente, hanno raccontato la città californiana e, più in generale, la società dello spettacolo, da quest’ultimo punto di osservazione: David Lynch (Mulholland Drive, 2001), Paul Schrader (The Canyons, 2013), per arrivare fino a Quentin Tarantino (C’era una volta … a Hollywood, 2019). Joe Begos, con Bliss, mette al centro della scena un’artista, una pittrice (ottimamente interpretata dall’attrice televisiva Dora Madison) dal tocco macabro, che deve all’ispirazione artistica il suo stile di vita. Si barcamena nella downtown losangelina, è stata celebre e “cool” in un recente passato, ma la fonte della sua creatività s’è improvvisamente inaridita. Quelle colline, per abbandonare la metafora, le sta discendendo alla velocità della luce.

Cosa fare, dunque, per recuperare qualcosa di così effimero e intangibile come l’ispirazione? Dizzy, la nostra protagonista, si affida ad additivi chimici, provando la nuova sostanza che fa anche da titolo all’opera. Non è solo (o forse per nulla) questione di soldi, ma del sacro fuoco dell’Arte che va alimentato, che richiede continuamente tributi da versare in suo onore. Proprio quel sacro fuoco, in maniera ingenuamente letterale ma visivamente efficace, va a comporsi, pian piano, sulla tela che Dizzy sta ora cercando di portare a termine, dopo averla fissata, immobile e impotente, per giorni, forse mesi. Finirà per incontrare, all’interno di un locale, durante le sue peregrinazioni notturne, una “strana” coppia, un uomo e una donna che, attraverso un orgiastico rito intriso di sangue e bagnato di umori sessuali, la inizierà al vampirismo. Da qui in poi tutta l’opera procede su una doppia chiave di lettura, quella letterale e quella metaforica, e Begos, pur virando poi nettamente su quest’ultima, tiene lo spettatore in bilico attraverso una serie di “aggressioni” visive e sonore (i titoli di testa sono preceduti da un avviso che invita gli eventuali affetti da epilessia ad abbandonare la sala), vertiginosi cambi di prospettiva, lisergiche perdite di contatto con la realtà.

Si parte da Addiction di Abel Ferrara, e lo s’inverte completamente di polarità: L.A. invece della Grande Mela, vividi colori al neon (bellissima, specie negli interni, la fotografia “eighties” di Mike Testin) invece di un contrastato bianco e nero, ma il percorso di discesa negli inferi attraversa la medesime tappe del capolavoro del 1995. Non è l’unico riferimento/omaggio al cinema che più piace al giovane cineasta dello Stato del Rhode Island: ripetute sono le citazioni da Brian De Palma, da Darren Aronofsky (forse le più smaccate, da Requiem for a Dream per lo stile registico a Mother! per l’approccio al tema), da Gaspar Noè, da Jim Jarmusch, tutte però armoniosamente organizzate in un flusso continuo e avvolgente, il cui merito principe è quello di dare coerenza e progressione emotiva e narrativa ad un materiale filmico per sua natura slegato ed episodico.
L’ultimo atto, il più genuinamente horror, porta alla conflagrazione dei due piani che abbiamo cercato (inutilmente) di tenere distinti per buona parte del minutaggio precedente. Qualche ripetizione affiora, ma ormai non è più molto importante. Con il suo approccio lisergico, con la martellante colonna sonora che unisce grind e black metal, noise, industrial e hard rock, Joe Begos ha sostanzialmente vinto la sua scommessa. E l’ha vinta anche il Trieste Science+Fiction Festival 2019, selezionando il film e poi piazzandolo in una collocazione che è subito apparsa ideale, già durante lo scorrere dei titoli di testa: la proiezione speciale, fuori competizione, nella notte di Halloween, conclusasi poco prima delle due del mattino tra applausi scoscianti del pubblico accorso al Teatro Miela.

Chi è, dunque, un’artista? Ancora una volta in maniera letterale, ma ancor più efficace, il quadro di Dizzy prova a dare una risposta. Angelo con i piedi piantati all’inferno, sfruttatore e divoratore di anime e attenzioni altrui, mostruoso connubio tra candore e cinismo, l’Artista, qui la maiuscola è d’obbligo, continuerà, con il suo mezzo d’espressione, qualunque esso sia, a tentare di condurci verso la luce. Perire, o rischiare di farlo, nell’impresa è solo qualcosa da mettere in conto…

Info
Il trailer di Bliss.
Bliss sul sito del Trieste Science+Fiction.

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