Intervista a Luísa Homem
Regista, montatrice, produttrice, tra i fondatori del collettivo Terratreme Filmes, la portoghese Luísa Homem è autrice documentari sull’arte per conto della Calouste Gulbenkian Foundation, della serie televisiva Um Dia no Museu, sulle gallerie e i musei d’arte in Potogallo. Ha diretto, insieme a Pedro Pinho, il documentario As Cidades e as Trocas, e No Trilho dos Naturalistas: São Tomé e Príncipe, stavolta con Tiago Hespanha. Ha collaborato alla sceneggiatura, al montaggio e all’art direction di A Fábrica de Nada di Pedro Pinho, che tanto successo ha riscosso ai festival internazionali. Il suo nuovo documentario, Suzanne Daveau, segue la storia di una donna avventurosa, la geografa che dà il titolo al film. Abbiamo incontrato Luísa Homem in occasione del Doclisboa ’19, dove Suzanne Daveau è stato presentato, dopo l’anteprima al IFFR.
Come sei venuta a conoscenza della figura di Suzanne Daveau e perché hai deciso di farne un film in questo modo, usando solo materiale di repertorio?
Luísa Homem: È iniziato tutto come una specie di sfida. Suzanne Daveau era sposata con Orlando Ribeiro, che è stato un famosissimo geografo portoghese. Sua nipote, pur non essendo imparentata con Suzanne, è ormai una donna, molto amica di mio zio. Un giorno è venuta da me e mi ha detto: «Guarda, mia nonna, non per legame di sangue ma per affetto – perché Suzanne non aveva figli – , è ancora viva, ha 94 anni. Mio nonno è morto circa vent’anni fa, e lei sta facendo un lavoro enorme per riordinare e rieditare tutto il suo lavoro, è così brillante. Anche lei ha avuto una carriera eccellente, ma è ancora un po’ nell’ombra di mio nonno e questo ovviamente è qualcosa che è successo a molte donne. Nonostante ciò lei non ha mai sofferto per non riuscire a fare qualcosa solo perché è donna, credo anzi che abbia fatto esattamente ciò che voleva mantenendo un profilo basso. Non so se è una cosa naturale, se è successo a molte donne. Lei poi è molto moderna, anche in tutti i suoi atteggiamenti in quanto donna». Sua nipote, ritenendo appunto che non fosse famosa come suo nonno, aveva pensato che sarebbe stato molto interessante fare un film su di lei. E io d’altra parte ero piuttosto interessata all’argomento, perché avevo appena comprato un libro riguardante Orlando Ribeiro e tutti questi nomi mi erano un po’ familiari, ma non sapevo che anche lei fosse una geografa. Me ne sono interessata tant’è vero che, con la nipote, siamo andate a trovarla. È stato davvero un grande piacere incontrarla perché non è una cosa che si fa spesso, andare a incontrare persone anziane; e lei era così solare, aveva un modo di essere così giovanile. È anziana ma molto in forma, non capita spesso di vedere donne così. Sono rimasta piuttosto impressionata, ho letto la sua biografia, e ho scoperto come ci fossero diversi luoghi di cui parlava che mi erano molto familiari. Quando decido di fare un film, mi chiedo sempre: «Perché io, perché questo soggetto?», è un’analisi che abbiamo bisogno di fare per capire se si è in grado di reggere tutto questo sforzo per un lungo periodo. Perché per fare un film ci vuole sempre tanto tempo. C’era molta complicità tra la sua vasta e la mia piccola vita, mi sono trovata a mio agio nel pensare di fare un film su di lei. Inoltre, ho pensato che fosse davvero un privilegio passare del tempo con questa donna. E ovviamente ho pensato che avrei potuto imparare molto da lei, anche grazie a questa complicità. Io sono francofona, perché ho vissuto in Svizzera quando ero piccola, e uno dei luoghi di cui lei parla è il confine franco-svizzero che conosco molto bene. Poi parlava dell’Africa, di paesi che conosco molto bene per via di altri miei film. Ho passato molto tempo in Mauritania, o anche a Capo Verde, dove ho girato un film. C’erano tutte queste piccole coincidenze, perciò ho pensato fosse una cosa possibile per me da realizzare, e che sarebbe stato piacevole per entrambe condividere del tempo insieme. È dunque cominciato tutto così. Poi ho scoperto che aveva un massiccio archivio di diapositive. È stata davvero una sorpresa perché suo marito faceva delle ottime fotografie ed è anche stato divertente, perché in alcune foto è come se fossero state concepite per un contesto artistico, ma sempre all’interno di una fotografia geografica; erano molto piccole, e senza le scale perché si supponeva fossero degli studi. Ma sono tutti ottimi scatti e ho pensato che fosse interessante che non ci fossero le scale, perché sì, sono degli studi ma quelle sono le foto migliori di tutta l’esposizione. E del lavoro di Suzanne ho pensato la stessa cosa, anche se le caratteristiche delle sue foto sono molto differenti. Lei ha fatto molte più istantanee, che però allo stesso tempo risultano molto interessanti per il cinema. Credo che il lavoro di suo marito fosse statico, statuario: puoi osservare ogni singola immagine per molto tempo. Mentre nel suo lavoro, con tante istantanee, si suggerisce una specie di movimento. Ho pensato fosse dell’ottimo materiale per il cinema. Dentro l’archivio c’era più o meno questo ed erano tutti in pellicola, perciò ho deciso anch’io di girare con la pellicola, in super 8, per creare qualcosa di più fluido, e allo stesso tempo non dare un’idea precisa del periodo storico. A un certo punto si è presentata l’opzione delle fotografie in bianco e nero, e ho deciso di dare un altro ritmo, in maniera che ogni immagine non avesse il medesimo ritmo. Ho anche deciso di osservare con occhio scientifico le immagini, in modo che il pubblico potesse capire perché queste fotografie siano così importanti in geografia, di cosa parlano, cosa c’è dentro. C’è una lezione di geografia nel mezzo del film, ma credo che si capisca meglio per immagini.
Tutto il film è impregnato di un senso vintage, e non solo per la qualità e la grana delle immagini fotografiche, ma anche per l’idea stessa della geografia, e delle esplorazioni geografiche. Ormai le mappe su internet hanno sostituito gli atlanti.
Luísa Homem: Si, anche le persone sono cambiate, come viene detto nel film, si studiano cose molto specifiche, non hanno più una formazione umanistica. Questa è ancora la vecchia scuola. È un po’ come Leonardo da Vinci, con molte conoscenze in diversi campi e questa vecchia generazione, anche se sono geografi, conoscono la storia, l’antropologia, conoscono molto di diverse aree. E questa conoscenza generale gli donava gli strumenti per permettergli di leggere la realtà. Ora possiamo andare a cercare su internet e vedere esattamente cosa sta succedendo minuto per minuto in una qualsiasi parte del mondo. Suzanne è molto moderna, per l’età che ha, anche nel suo rapporto con la realtà, usa internet, naviga spesso ad esempio per vedere il meteo e conosce tutti i programmi. Non si è fermata nel passato, anche se a livello professionale ha in qualche modo fermato il tempo, continua a seguire le tendenze e cerca di capire gli strumenti ai quali abbiamo accesso. Dice anche che ovviamente non possiamo sapere cosa potrà succedere domani, visto che le cose cambiano così in fretta. È incredibile il fatto che abbia 94 anni, un arco di tempo così impegnativo, e il XX secolo è stato davvero il centro di tantissimi cambiamenti. E lei se li porta tutti dietro, è cosciente di questo.
All’inizio del film usi la musica di Schubert, come mai?
Luísa Homem: Suzanne non ha una profonda relazione con la musica, ma suo marito l’aveva, in particolare con la musica classica e romantica. Perciò aveva questa grande collezione di dischi che lei però non ascolta più, perché li ascoltava solo per via del marito. Questa prima parte riguarda il loro incontro, la loro storia d’amore. E ho pensato che questa prima melodia dovesse essere qualcosa che lui avrebbe ascoltato. Ma l’abbiamo interpretata, perché non c’è il pianoforte ad esempio, c’è la marimba, è un’interpretazione di un pezzo classico, potrei quasi dire un’interpretazione moderna. E la musica dà anche modernità a questi materiali vintage, anche la musica classica può farlo.
A volte fai scorrere velocemente le immagini con il montaggio, creando un ritmo che diventa una sinfonia, come una partitura di musica e immagini.
Luísa Homem: Ho pensato a Schubert e alla sua musica in particolare, sapevo che mi sarebbe piaciuto avere alcuni momenti così nel film, con le città portoghesi, le diapositive, le città africane o del mondo. Ho pensato che Schubert dovesse essere il Portogallo per la sua relazione con Orlando, suo marito. Dopodiché ho scelto la musica di Maryam Guèbrou, che è una pianista etiope e vive in Svizzera. Ha creato una parte di questa serie di dischi, chiamata Éthiopiques, è una collezione davvero bella. Poi abbiamo provato a vedere quanto sarebbe costato tutto, ma era molto di più rispetto al budget che avevo per il film, quindi non è stato possibile. Perciò ho suggerito alla persona che si occupava della musica che si sarebbe dovuta ispirare a queste melodie per creare delle improvvisazioni. Quindi una parte della colonna sonora dell’Africa è parzialmente ispirata a Éthiopiques. È molto bella, è con il pianoforte e dura circa sette minuti, ed è stata la mia prima esperienza con musica e diapositive. Ho pensato che fosse una sorta di destino, che fosse qualcosa che dovevo fare per questo film. Ho pensato che ci fosse una bellissima relazione tra la musica e le diapositive, e volevo assolutamente presentare il suo lavoro. Ci sono tantissime immagini che non ho utilizzato, che non ho potuto mettere nel film perché non c’era più spazio. Ma volevo davvero avere dei lunghi momenti.
Anche immagini recenti di Suzanne Daveau nel film appartengono comunque a un footage preesistente. Come mai hai deciso di non uscire mai dall’archivio, per esempio con riprese girate ex novo?
Luísa Homem: C’era l’idea di dare spazio e tempo all’archivio per mostrarne l’infinità, perché è davvero grande. Ho davvero scelto molto materiale e lo so, a un certo punto il pubblico vorrebbe rallentare o fermarsi su un’immagine in particolare. Ma il senso è completamente diverso dal rapporto che puoi avere con l’archivio stesso nella realtà, se ci vai di persona. Mostrandone le immagini al cinema è più interessante lavorare su questa idea di istantanee. Per creare una sorta di interesse nel nostro lavoro, abbiamo provato a dare delle dimensioni diverse a queste immagini, che pensavo appunto fossero utilizzate semplicemente per degli studi. Quando Suzanne ha visto il film, non a questa proiezione ma perché gliel’ho mostrato io su un grande schermo, era la prima volta che vedeva le immagini così ingrandite. È stato un momento in cui si è confrontata con il suo lavoro su una differente scala e ne ha compreso il valore, è stato davvero bello creare questa situazione.
Il film inizia con una scena dove vengono mostrate delle pietre, tenute in una mano, di colori diversi, poi in una scena simile ci sono però dei fichi. Perché questo inizio?
Luísa Homem: Volevo far iniziare il film con qualcosa che il pubblico potesse capire, per capire che stiamo per fare il ritratto di una donna anziana. E abbiamo le sue mani che ci parlano di tutto questo, e allo stesso tempo penso che le rocce non abbiano età, o comunque noi non la conosciamo. È difficile dare a Suzanne un’età, sembra più giovane, ed è qualcosa di astratto non sapere la sua età anche se le sue mani ci indicano che è anziana. Allo stesso tempo, credo che le rocce ci raccontino delle storie, ognuna ha la propria. Durante la sua vita lei ha collezionato rocce, così come faccio anche io. È stato anche questo un momento di complicità tra di noi.
Info
La pagina dedicata a Suzanne Daveau sul sito di Doclisboa.